Quando arriviamo allo stadio Ştiinţa sono quasi le otto di sera. È l’ultima tappa di una lunga camminata che partendo da Piața Unirii mi ha permesso di vedere tutta la città. Un arrivo simbolico, perché questo luogo rappresenta l’inizio, o per meglio dire la rinascita, di tutto. L’impianto sorge all’interno del campus universitario, il buio rende difficile scorgere le tribune, ma anche così si capisce che è un campo piccolo, per quanto raccolto. Ma è comunque il luogo dove il cuore viola della città ha ricominciato a battere.

 

Era il 2012, quando un gruppo di tifosi del Politehnica Timișoara decise di percorrere una strada raramente battuta e si rifiutò di sottostare agli sbalzi d’umore e agli interessi particolari di un nuovo proprietario. Si recarono dal Decano dell’Università e gli proposero: “Che ne pensi se ci occupiamo noi della squadra universitaria? Leghiamo a doppio filo il nome dell’ateneo con quello della squadra. Voi non dovete fare niente, noi faremo rinascere il calcio nella nostra città”. Più o meno le parole dovevano essere state queste, ma quello che è sicuro è che sortirono l’effetto sperato, e da allora lo storico sodalizio cittadino nato nel 1921 poté vantare un soggetto che andava in continuità con la storia della società.

 

Nella lunga passeggiata per le strade e per i bei quartieri di Timisoara mi accompagna Licu, che di questo progetto è uno degli artefici. Adesso ha lo sguardo rilassato, come chi, dopo aver atteso a lungo un momento importante, può finalmente allentare i nervi. Mentre parla sorride, ha voglia di raccontare. Ma quando l’ho conosciuto nella mattina dello stesso giorno era una corda di violino, aveva lo sguardo serio e l’espressione di chi sta pensando a qualcosa di lontano. Ma sapendo cosa lo aspettava era del tutto comprensibile.

Per la prima volta si sarebbero incontrate in campionato le due formazioni di Timisoara che portano lo stesso nome: Politehnica Timișoara contro Politehnica Timișoara. “Quando siamo falliti nel 2012, sono state prese due strade diverse. Loro, i rappresentanti della municipalità, hanno deciso di fare una cosa che distruggeva la storia della nostra squadra. Hanno comprato il titolo di un’altra società appena promossa in seconda divisione, l’Acs Recaș, l’hanno portata in città e le hanno cambiato nome in Acs Politehnica Timișoara. Noi, come potevamo accettare tutto questo? Abbiamo deciso di ricominciare dalla quinta divisione, stringendo un accordo con la squadra dell’Università. E da quel punto siamo ripartiti”.

 

L’appuntamento era per le 9:30 a piazza Traian. Da lì corteo fino allo stadio, scortati a vista dalla polizia. Quando siamo arrivati nel piccolo Stadionul Electrica, ci siamo disposti sui gradoni riservati agli ospiti. Dall’altra parte, sotto la struttura coperta, un pubblico misto (per fede) di persone e dodici componenti (contati più e più volte per essere sicuri) del gruppo organizzato dei tifosi della squadra di casa. Le presenze dell’Asu, invece, erano intorno al migliaio di supporter. Cori continui, tamburi, battimani, sciarpate, qualche torcia in occasione delle marcature. Rarissimi i silenzi. Lo striscione principale ricordava la nascita della Peluza Sud, mentre quello alzato nel secondo tempo mandava un chiaro messaggio agli avversari: “Sei anni a spendere milioni per niente, quest’anno sarà il vostro ultimo anno”. Infatti la società mantenuta con i soldi del comune versa in una situazione economica molto complicata e concluderà la stagione soltanto se i giocatori accetteranno di non percepire i loro stipendi. In caso contrario la squadra abbandonerà la corsa verso la salvezza prima del dovuto.

 

Però il pallone è rotondo e nel primo tempo l’Asu ha avuto tre occasioni semplicissime per portarsi in vantaggio, ma a segnare è stata l’Acs con un gol abbastanza rocambolesco e contestato per un presunto fuorigioco. Probabilmente qualcuno vedeva già aleggiare i fantasmi della famosa sconfitta contro l’Unirea Urziceni, dove la vittoria avrebbe portato alla conquista del primo storico titolo di Romania, ma un black out nel secondo tempo aveva consegnato partita e campionato agli ospiti. Così il secondo tempo è iniziato con un incitamento ancora maggiore e due cambi dell’allenatore hanno portato, intorno alla metà della ripresa, ad un letale uno-due. La seconda marcatura in particolare ha rappresentato una vera e propria liberazione, tanto che i ragazzi si sono ammassati sulla recinzione dell’impianto, che ha ceduto catapultandoli in campo. Un cordone di polizia ha preso il posto della rete appena abbattuta.

Al minuto 94 l’arbitro ha fischiato tre volte. È stato il segnale. La tribunetta è scoppiata in un’esultanza rabbiosa. Ci sono stati abbracci e strette di mano. Gli sguardi si dicevano fra loro: “ce l’abbiamo fatta”. Hanno continuato a cantare, aspettando che la squadra venisse a ringraziare e a condividere il trionfo. È stata l’occasione per passare simbolicamente le bandiere agli 11 in campo, a dimostrazione di ciò che di grande e bello c’è in questa squadra, ovvero l’assoluta identità fra chi gioca e chi sostiene. I tifosi, i calciatori, i dirigenti sono tutti la stessa cosa: sono l’Asociația Sportiv Universitară Politehnica Timișoara.

 

“Essere arrivati a questo punto è una grande vittoria per noi. Quello che conta è sopravvivere, è riuscire a dare un futuro sicuro alla nostra squadra. Magari c’è chi vorrebbe tornare in prima divisione, ma a che prezzo? Riuscire a salvarci e tenere il bilancio a posto per noi è tutto. Abbiamo iniziato dalla quinta serie, abbiamo adottato un modello di governo della squadra che riprendesse in qualche modo quello del 50+1, alla tedesca. Noi non vogliamo che domani arrivi un presidente o uno sponsor e ci faccia ripiombare nel passato, che possa mettere un giorno a rischio la sopravvivenza del club”.

 

La squadra è ripartita dalla quinta divisione, a differenza di molte altre che invece hanno bruciato le tappe cominciando dalla quarta. Questo ha permesso di acquisire un’esperienza e una solidità che poi è mancata a progetti simili. Il passaggio dalla quarta alla terza, ma soprattutto dalla terza alla seconda, ha spesso messo a nudo la fragilità di idee che da quella dell’Asu prendevano ispirazione, segnandone contestualmente la fine.

E la città come si è schierata? Talvolta se non si è dentro ai problemi è difficile seguirli, come è difficile scegliere di fare il tifo per una squadra di quinta serie invece che per una di seconda. “Questo è un problema con cui dovremo fare i conti. In molti ancora ci vedono come la “squadra dei tifosi”, intendendo con tifosi un gruppo di ragazzacci che va ad ubriacarsi alle partite. Per ora non è servito a molto dimostrare che un’altra idea di calcio fosse possibile, come non è servito a niente prendersi a cuore le sorti della squadra della città o fare raccolte fondi, impegnarsi nel sociale. Ma riusciremo anche a convincere gli scettici che noi siamo la vera e unica Politehnica Timișoara”.

Gianni Galleri – Curva Est

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