Sfruttando l’asse mittle/est europea che consente di volare sempre a prezzi modici, decido di raggiungere Bucarest dopo aver assistito al derby di Graz. Tappa intermedia, prima della sfida finale del sabato: la stracittadina di Varna, che torna dopo quindici anni. Un trittico che ho organizzato capillarmente, non lasciando nulla al caso e riversando nei dettagli tutta la mia passione per gli spostamenti arzigogolati e insoliti.

Teoricamente il mio aereo per la Capitale romena partirebbe la mattina del giovedì. Consentendomi un giorno di riposo (il match è in programma venerdì sera) per poi godermi appieno il restante tour. Ma non ho fatto i conti col destino.

Arrivato a Vienna in pullman a notte fonda, la tabella di marcia mi impone di attendere il treno per l’aeroporto qualche ora nella simpatica stazione di Wien Mitte. Ho preso a cuore questo scalo ferroviario, riscaldato nella già fredda Vienna e dotato di connessione internet. Infatti il tempo scorre tutto sommato veloce e – benché non sia fresco come una rosa – reggo tutto sommato alla stanchezza. Almeno fin quando, una volta arrivato in aeroporto, individuo il gate e mi abbarbico su una seggiola, incontrandomi mio malgrado con Morfeo.

Mi risveglio poco dopo, con due corpulente hostess austriache che stanno eseguendo l’imbarco. Ma io sono furbo e non voglio mettermi subito in coda. No. Voglio che tutti entrino, affinché io possa farlo per ultimo e trovare – all’evenienza – un triplice posto libero per schiacciare un profondo pisolino fino a Bucarest. Peccato che quando, per la seconda volta, mi risveglio, il gate sia chiuso e le due corpulente donne stiano espletando le ultime pratiche per andarsene.

L’incubo si è avverato: perdere un volo addormentandocisi davanti. Non ho mai perso un aereo, nemmeno facendo tardi, figuriamoci arrivando addirittura a dieci metri dalla porta. Provo a spiegarmi disperatamente alle due. Mi dimeno, cerco di tramutare la rabbia in pietà. Vedo il mio aereo là, poco distante. Con il portellone ancora aperto e carico di umanità. Sono le 7 e il velivolo lascerà l’Austria alle 7:15. Ma non c’è nulla da fare. Anzi, le due minacciano di chiamare la polizia. E io posso solo tornare indietro, con la coda tra le gambe. Auto offendendomi e schiumando dal nervosismo.

Ma qual è la differenza tra il viaggiatore convenzionale e quello ai limiti del nomadismo? Il non perdersi d’animo, sta tutto là. I mezzi per recuperare li ho, ma è come se stessi perdendo una finale di Champions 2-0 all’85. Devo fare almeno due gol e arrivare si supplementari. Difficile, ma non impossibile!

Tornare in Italia è categoricamente escluso. Innanzitutto costerebbe tantissimo (se devo “buttare” soldi, allora lo faccio per la meta prestabilita) e poi sarebbe uno smacco rinunciare, senza neanche provare soluzioni alternative. Controllo innanzitutto Blablacar e trovo, peraltro, un passaggio Vienna-Bucarest la sera. A 40 Euro. Sono quattordici ore di macchina, è vero, ma so che se non troverò un volo a prezzi “potabili” dovrò per forza ripiegare su ciò.

Fortunatamente c’è Skyscanner (tuo è il regno, tua è la potenza, tua è la gloria!). Bucarest è impraticabile, così come Craiova, Cluj, Timișoara, Iași e Suceava. Ma tutto d’un tratto noto una magica correlazione: Sibiu, 15 Euro, ore 12:30. Poco meno di quattro ore dopo il mio personale autogol potrei mettere piede su territorio romeno e raggiungere comunque la Capitale, in treno. Controllo che anche ciò sia fattibile e apprendo che gli orari quasi collimano, con l’aereo che atterrerà alle 14:30 ora locale e il treno che partirà alle 16.

Mi faccio coraggio, nella speranza che il prezzo non aumenti al momento della prenotazione. E così non è. Da uno stato di delusione passo quasi all’esaltazione, perché capisco comunque di essermela cavata nel miglior modo possibile. Tamponando alla grande una situazione critica. Peraltro sottolineo come la Dea Bendata mi abbia dato una mano provvidenziale: questo volo, infatti, è effettuato solamente il giovedì!

Certo, le mie peripezie non sono propriamente finite. Se il volo giunge puntuale a Sibiu, infatti, l’autobus che dall’aeroporto dovrebbe portarmi alla stazione rimane incagliato in un traffico che credo si possa trovare nelle ore di punta solo a Bombay. Non ci si muove di un centimetro per decine di minuti e il sinistro presagio di perdere anche il treno si fa sempre più concreto. Tant’è che trovo comunque delle pezze d’appoggio: un passaggio Blablacar, un pullman e un altro treno. Che partirebbero tutti di sera però, mettendo davvero a repentaglio il minimo quantitativo di ore necessarie al riposo.

Per il rotto della cuffia ce la faccio, correndo come un forsennato e salendo sul treno. Ma c’è un piccolo particolare. Malgrado abbia scaricato l’app della CFR (Căile Ferate Române, la compagnia che gestisce il trasporto ferroviario in Romania e che dà anche nome all’omonima squadra di Cluj) e abbia quasi ultimato l’acquisto del biglietto, ho atteso di arrivare veramente sul treno per non perdere altri soldi. E ora non riesco a terminare la transazione. Faccio presente il tutto a un signore col cappello da ferroviere, che apparentemente sembra essere il capotreno. Mi dice che è tutto ok, non mi devo preoccupare e potrò farlo sul treno senza sovrattassa. Insomma, una robetta facile, non mi devo preoccupare.

Così facile che, qualche minuto dopo la partenza del treno, passa la vera capotreno. Una signorona che sembra aver mangiato la locomotiva e che le sia rimasta indigesta, per quanto è gigante e scorbutica. Oltre a non parlare una parola di inglese. Cerco di spiegarmi, le faccio vedere il messaggio dell’app. Ma questa in tutta risposta mi strappa il cellulare dalla mano e urla qualcosa per me incomprensibile. Chiama successivamente un paio di passeggeri, usandoli da traduttori. Insomma, morale della favola? Oltre ai 14 Euro del biglietto vuole anche una sovrattassa di 50 Euro (proprio tutto tranquillo come diceva il suo collega, che ora è ovviamente scomparso). La cosa mi irrita talmente tanto che sto quasi per scendere dal treno e porre fine a questo teatrino, quando un barlume di lucidità mi induce a farle una proposta ragionevole: far comprare il biglietto per la stessa tratta ma per il treno successivo da un amico e farmi mandare il pdf sul cellulare.

La locomotiva umana abbozza addirittura un sorriso e accetta. Dopo quasi un’ora di parole inutile, urla e (sicuramente) insulti da parte sua. Le sbatto in faccia il ticket e, esausto, me la levo dalle scatole cercando di riposarmi fino a destinazione. A pensarci ora mi fa anche ridere questa diatriba, ma in quel momento la stanchezza mi avrebbe portato a scendere in mezzo alla steppa e rimanervi chissà quanto pur di non regalare cinquanta Euro a questa tizia.

Prima di arrivare a Bucarest un episodio, però, mi riconcilia parzialmente con l’umanità: andando al vagone ristorante ordino un panino, ed essendo sprovvisto di valuta locale chiedo se posso pagare con l’Euro o con la carta. Ovviamente nessuna delle due opzioni è contemplata. Sbuffo palesemente di fronte alla risposta del barista. Un signore, intento a sorseggiare una birra, assiste alla scena e mi chiede se non abbia Lei. Faccio cenno di no. In tutta risposta fa riportare il panino facendomi cenno di prenderlo e aggiungendo che non è normale non avere un pos su un treno a lunga percorrenza. Inizialmente rifiuto, gli dico che non c’è bisogno. Lui insiste. E io accetto, capendo l’umanità del gesto e apprezzandone veramente il simbolismo. Poi, onestamente? Dopo una giornata del genere, in cui non avevo mangiato nulla per la frenesia, se non avessi ingerito almeno un panino mi sarei sentito male.

Quando arrivo alla Gara de Nord sono le undici passate. Non fa neanche tanto freddo. Mi rincuora di avercela fatta. Mi fermo a comprare una birretta, almeno il supermercato accetta la mia carta, e poi mi avvio verso l’ostello. Per riposare, non prima di aver ritirato una bottiglia di ottima Pálinka inviatami da un noto personaggio (grazie ancora!). La doccia è l’ultimo atto delle ventiquattro ore tra le più folli della mia vita. Ora è tempo di trovare davvero Morfeo, senza indugi. Per ricaricare le pile e dedicarmi, l’indomani, alla sfida d’alta classifica tra Rapid București e Farul Constanța.

IL GIORNO DELLA PARTITA

Un venerdì mattina di metà ottobre a Bucarest è un qualcosa che, dopo un sonno profondo, ti rigenera silenziosamente. La Capitale romena è una città (almeno per quanto mi riguarda) in grado di entrarti dentro lentamente. Ricordo bene la mia prima visita a queste latitudini e il mio scetticismo nei suoi confronti. Era inizio dicembre: faceva troppo freddo, trovavo il piccolo centro storico di Lipscani affollato, piccolo e “fornito” solo di bordelli e locali dozzinali. Ma ammetto di esser stato superficiale. Ci sono tornato anni dopo, in agosto. Rimanendo rapito dai suoi parchi rigogliosi, ricchi di acqua, laghi e vegetazione. Dai suoi Boulevard ordinati e imponenti, dal possente Palazzo del Parlamento e stavolta anche da Lipscani. Sì, proprio dalle sue viuzze e dai suoi balconcini arroccati. Che di giorno assumono tutt’altra connotazione.

Certo, Bucarest rimane una metropoli “giovane”. Figlia involontaria ma legittima del fantasma di Ceaușescu, che durante la sua dittatura ne ho modificato profondamente la conformazione e l’architettura, con l’intento di renderla la Parigi dell’Est. E al netto di tutto, per onestà, va detto che una piccola parte di questo obiettivo è tangibile. Affacciatevi dal Parlamento e guardate all’orizzonte, oppure passeggiate tra gli sfarzosi palazzi compresi tra l’Ateneul Romano e Lipscani, o ancora respirate la voglia di vita dei romeni negli immensi e verdi parchi per comprendere quanto scritto. Magari brandendo in mano un pezzo di Plăcintă con la verza (torta rustica che spunta in ogni chioschetto) da mandar giù con l’onnipresente Ayran.

Ovviamente si porta dietro tutta una serie di problemi mai risolti, di zone degradate – caratterizzate da un livello di povertà e scarsa qualità della vita davvero spaventoso – e di microcriminalità tipica delle grandi città. Sebbene alcuni stereotipi di noi occidentali sarebbe il caso di archiviarli e chiuderli a doppia mandata in qualche libro di storia ormai anacronistica. Ma si sa, in questa parte d’Europa abbiamo la presunzione di dispensare lezioni di moralità e insegnare agli altri come si vive, quindi dubito che cambieremo a breve giro di quadrante.

Ma Bucarest è anche una città che vive di calcio e che sarebbe calcisticamente difficilissima da descrivere. Basti pensare che attualmente esistono due Steaua Bucarest (una in massima divisione e l’altra in seconda), che la Dinamo annaspa in seconda divisione e che il Rapid solo negli ultimi tempi è riuscito a rimettere quasi completamente dritta la barra della propria storia e della propria militanza calcistica. I motivi di questo caos pallonaro, che domina senza dubbio l’intero Paese, avrebbero bisogno di un’analisi a parte. Di un dossier vero e proprio, in grado di affondare le radici nel malcostume e nel malaffare di una Romania che – purtroppo – sotto questo aspetto rimane una delle Nazioni più problematiche del Vecchio Continente. Facile comunque pensare a quello che possono essere le gestioni dei grandi club e sommariamente semplice anche comprendere la deriva che ne porta sovente alla dissoluzione, alla sparizione e alla ripartenza dai bassifondi.

Se questo articolo arriva con alcuni mesi di ritardo – ad esempio – oltre che per negligenza del sottoscritto è anche a causa delle frammentarie informazioni reperite, almeno sui due club che mi troverò di fronte questa sera. Ritengo che sia meglio postdatare qualcosa, piuttosto che farlo in maniera incompleta o poco approfondita. E sì che sempre durante la mia prima visita a Bucarest (2016) prima di andar via volli assolutamente vedere lo stadio del Rapid, da appassionato di ferrovie e – di conseguenza – amante di tutte le squadre che a esse sono legate. Era il vecchio Giulești (che prende il nome dall’omonima zona dove sorge) ed era un luogo sinistro e affascinante. Soprattutto alle 6:30 del mattino, quando il sole deve ancora sorgere per bene. Riuscii furtivamente ad entrare, osservando le sue gradinate deserte e sperando un giorno di mettervi piede.

Quel Giulești, in realtà, è stato demolito nel 2019, per far luogo al nuovo impianto (che sorge esattamente sulla stessa area) inaugurato quest’anno (e sempre di proprietà del Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti). Riapertura che con tutta probabilità ha significato quasi per tutti il ritorno completo e ufficiale del Rapid nello sconquassato calcio romeno.

Ma andiamo a ritroso. A causa degli enormi debiti accumulati e a delle sciagurate gestioni sportive, da inizio 2010 per i Feroviari inizia una lenta discesa verso il baratro, culminata nel 2016, quando il club viene dichiarato fallito e tutti i ricorsi vengono respinti. Nell’estate dello stesso anno due associazioni (AFC Rapid, fondata nel 2001 e parte del vecchio sodalizio) e CS Miscarea CFR (sostenuta dall’Associazione Aristocratics Club Rapid) si iscrivono al campionato di Lega 5 Bucarest. Nessuno dei due progetti viene riconosciuto dai tifosi.

Nell’estate del 2018 una parte di tifosi della Peluza Nord (più precisamente facenti parte del gruppo T2) cerca di iscrivere una nuova società (ACS Rapid – Frumosii Nebuni ai Giulestiului, letteralmente “I belli e pazzi di Giulești”) basata su un progetto di azionariato popolare. La richiesta per la Lega 5 Bucarest viene tuttavia respinta. Su un altro fronte il Municipio Settore 1 (quello a cui fa riferimento Giulești), con l’aiuto di alcune figure emblematiche della storia rapidista – Daniel Niculae (presidente), Daniel Pancu (direttore tecnico), Nae Stanciu (manager) e Constantin Schumacher (allenatore) – crea il progetto Academia Rapid Bucarest. La maggior parte degli ultras della Peluza Nord e del resto della tifoseria aderisce all’iniziativa e segue la squadra, iscritta alla Lega 4 Bucarest, in cui ottiene subito una promozione e nella quale ritrova – ironia della sorte – la CSA Steaua (una delle due esistenti, come detto sopra).

Nella stagione 2017/2018 la questione si sposta direttamente in tribunale, con l’AFC Rapid che fa causa all’Academia, obbligando il club sostenuto dalla maggioranza dei tifosi a cambiare nome in FC “R” Bucarest, che è poi l’attuale FC Rapid 1923. Tuttavia i ricorsi e le azioni legali successive hanno dato ragione all’Academia, divenuta di fatto la custode ufficiale della storia rapidista.

Nella stagione 2018/2019 la squadra fondata dal gruppo T2 (ACS Rapid FNG) ottiene l’iscrizione alla Lega 5 di Bucarest, vincendo il torneo e ottenendo la promozione. Il club è tutt’oggi attivo e negli ultimi anni ha sfidato anche CSA Steaua e Dinamo, in match che probabilmente hanno acceso i riflettori su quanto grandi identità del calcio romeno siano state calpestate, derise e utilizzate a proprio piacimento.

Parallelamente, l’FC Rapid riesce a scalare la piramide calcistica, conquistando la seconda divisione nel 2019 e la Liga 1 nel 2021. L’ascesa del sodalizio entusiasma i tifosi e invoglia nuovi imprenditori a investire, così nel 2022 alcuni imprenditori decidono di investire ulteriormente nella società, rinforzando la base economica e rimpinguando la rosa, divenuta di fatto una delle più competitive del Paese. E non a caso in lizza per vincere il titolo, proprio dietro il sorprendente Farul Constanța.

Ora, giusto per farvi capire quanto parlare di calcio romeno sia complicato e si presti a errori e strafalcioni, sappiate che pure questi ultimi non hanno una storia recente semplice alle spalle. Se ai più Constanța è nota per essere una famosa località romena posta sul Mar Nero (anche la più esosa, ma questa è una lamentela che lascio agli autoctoni) per il calciofilo non potrà che far rima con un nome: Gheorghe Hagi. Il Maradona dei Carpazi (Regele, il Re, in Patria). Il talento più forte che la Romania abbia mai annoverato tra le sue fila (nonché una vecchia conoscenza del nostro campionato), cresciuto proprio nelle fila del Farul. Un club che non ha conseguito grandi successi (sinora può annoverare un quarto posto e una finale di coppa nazionale persa nel 2005 contro la Dinamo Bucarest) ma che può vantare una costante militanza in massima divisione e un ottimo settore giovanile.

Una pessima gestione del presidente Giani Nedelcu – in stile Rapid – ha portato sul lastrico i Marinarii, dichiarati falliti nel 2017 dopo sette anni di agonia in Lega II. La società non viene ammessa neanche in terza divisione e, poco prima del fallimento, capendo la strada intrapresa i tifosi danno vita a un’azionariato popolare, iscrivendo in quarta divisione il Suporter Spirit Club Farul Constanța, in maniera da non perdere la continuità calcistica.

Questo progetto ha ricevuto il sostegno delle autorità locali e dell’ex calciatore Ciprian Marica che – dopo diverse aste andate nulle o osteggiate da Nedelcu – riesce ad acquisire (per circa 40.000 Euro) logo e storia del Farul. Divenendo proprietario del club e riportandolo in seconda divisione.

Contestualmente in molti puntano il dito contro Hagi, che pur di non entrare in contatto con Nedelcu per rilevare la società (e salvarla) ha preferito rimpinguare la sua scuola calcio (nata a metà anni duemila) e creare una prima squadra (il Viitorul) in grado di vincere campionati e arrivare in Liga 1. Tuttavia la spinta propulsiva della città, che nel Regele vedeva e vede il mito (che avrebbe dovuto indossare i panni del salvatore), ha fatto sì che nel 2021 Hagi rilevasse il titolo della società di Marica, cambiando il nome in Farul e riportando – de facto – i Marinarii in prima divisione. In tutto questo, i tifosi (fino a quel momento fedeli alla squadra ripartita dal basso e da loro fondata) hanno deciso di sposare appieno il progetto del loro beniamino.

Curiosità molto romena: il Farul militante in Liga II è stato acquisito da Becali (nome arcinoto nel calcio nazionale, in quanto presidente della FC Steaua, quella militante in massima divisione) ed è attualmente denominato Unirea Constanța, società che funge ovviamente da succursale al club della Capitale. Seconda curiosità: Gheorghe Hagi è attualmente l’allenatore del Farul (sic!).

Nella speranza di esser stato esauriente, ritengo fondamentale menzionare questi passaggi (seppur minimi rispetto alla complessità della questione) per dare al lettore una base su cui poi farsi un’idea e comprendere ciò che si può vedere dall’esterno.

Ironia della sorte Rapid e Farul si trovano rispettivamente al secondo e al primo posto in campionato. E daranno vita a una delle partite più seguite di questa prima parte di campionato. I circa 15.000 posti del rinnovato Giulești registrano il tutto esaurito già alcuni giorni prima, così come anche i poco più di 700 tagliandi a disposizione degli ospiti. Intendiamoci: questa non è la regola in Romania. Spesso e volentieri si assiste a trasferte striminzite (fatta eccezione per quelle poche tifoserie che preservano uno zoccolo duro in casa e fuori) se non addirittura ad assenze. I ragazzi di Constanța, per dirne una, seguono sempre ma con numeri non certo altisonanti. Ovvio che la partita di cartello abbia richiamato il grande pubblico. E questo non può che far piacere ai miei occhi.

Peraltro molto bella la scelta di raggiungere Bucarest in treno. Le due città distano circa 230 km e il tempo di percorrenza su rotaia è di quasi tre ore. Leggendo il volantino rilanciato dai vari account social della Peluza Marina (in cui ci si dà appuntamento in stazione per prendere il treno delle 16:47) faccio i miei calcoli e raggiungo la Gara Nord proprio in prossimità dell’arrivo del loro convoglio. La stazione – che sulla carta ha nomea di luogo degradato e pericoloso ma che francamente non mi è parsa molto diversa da una Termini qualsiasi – è nera di gente e solo quando scorgo il fitto cordone di poliziotti in tenuta antisommossa capisco dove dovrò appostarmi per riprendere l’arrivo degli ultras ospiti.

Con vecchie modalità “all’italiana” tutti i gruppi del Farul scendono dal treno formando un corteo che il servizio d’ordine indirizza verso le uscite. Ci sono canti, torce e insulti al Rapid. Una bella atmosfera che conferma giusta la mia scelta di perdere un po’ di tempo in stazione attendendo il loro arrivo. Cerco di posizionarmi nella maniera più defilata ma comoda possibile per fare qualche scatto e qualche video senza avere problemi. Poi quando il contingente è interamente passato e manca poco più di un’ora al fischio d’inizio capisco che è il momento di avviarmi allo stadio.

Uno dei tanti tram cittadini mi porta in breve tempo a destinazione. Tutti indossano una sciarpa attorno all’impianto mentre una grande e rumorosa fila mi mostra dove è situato l’ingresso per la Peluza Nord. Una volta tanto non fatico eccessivamente nel ritirare il mio accredito. Anzi, appurato il mio essere italiano gli inservienti locali mi salutano con una pacca sulle spalle dicendomi nella mia lingua madre che sono il benvenuto. Succede spesso in Romania che qualcuno ti si rivolga in italiano, del resto anni e anni di contatti dovuti anche e soprattutto all’emigrazione hanno prodotto tutta una serie di rapporti tra i nostri popoli. Controversi in taluni casi, cordiali in altri. Solita storia per chi è costretto ad abbandonare la propria terra, insomma.

Metto piede sul perimetro che circonda il manto verde. Ed è sempre emozionante, non lo nego, entrare in uno stadio importante, peraltro molto bello e raccolto. Il rifacimento magari gli avrà tolto un po’ di fascino sinistro, ma ha apportato migliorie essenziali. Minimal. Senza eccessi commerciali, ma con molta attenzione al tifoso. La curva dei Giuleștenii si presenta in un bel blocco di persone eterogenee. Per curiosità mi avvicino a loro, voglio carpirne la composizione. Non posso fare un raffronto vero e proprio con le altre tifoserie cittadine, non ho avuto modo di vederle dal vivo. Di primo impatto però mi sento di dire che con tutta probabilità quella del Rapid è la tifoseria più popolare, nel vero senso della parola.

Non vedo grande attenzione al vestiario, gruppi fissati con il total black, o ortodossia nel modo di fare. Tantissimi bandieroni e tutti con una sciarpa. Gente di ogni età e lanciacori magari poco belli da vedere ma molto efficaci. Basti pensare che il loro primo battimani arriva dopo un sermone del ragazzo deputato al megafono e avrà davvero un effetto granitico. Il Rapid ha bisogno di vincere per accorciare sulla capolista e il pubblico di Giulești sa che può essere determinante.

Guardando il settore ospiti vuoto, poco prima del fischio d’inizio, ho l’impressione che i controlli per l’accesso siano meticolosi. Sta di fatto che quando le due squadre danno il via alle ostilità gli ultras del Farul non sono ancora al loro posto. Mi soffermo così sulla Peluza Nord (composta da Oficial Hooligans, Original, Legiune Chitila, Alianța Berceni, Militari, Bombardierii 1998, Fanaticos del Grand, Alcoolica, Legiunea Chitila) rimanendo ammaliato dalla forza dei suoi cori e dalla capacità di portarsi dietro tutto lo stadio. Alle mie spalle la tribuna segue in piedi e la gente impreca e canta, parte integrante dello spettacolo. Vengono accese anche diverse torce, inebriando le mie narici con quel bellissimo odore che rimanda ai bei tempi andati e rafforzate dallo striscione “Il Rapid ci corre nelle vene senza sosta, quattro anni di pene capitali e una vita da cantare”.

Alla bella faccia di tutti i commissari di campo italiani, faccio a più riprese avanti e indietro nella sezione laterale del campo. E in un paio di occasioni anche dietro le porte. A nessuno interessa. Così esagero, in maniera da pareggiare tutte le volte in cui tale gioia mi è stata negata entro i miei confini nazionali.

Al 10′ fanno il loro ingresso anche i Marinarii. Ora la sfida è completa e avvincente. I Constănțenii entrano alla spicciolata, cominciando a cantare subito di gran voce. Aria Ultrà, Baricata e Fervent: i tre gruppi della Peluza Marina appendono le loro pezze, sventolano i bandieroni e incitano la folla alle loro spalle. Pochi minuti dopo l’ex Inter e Bologna, Denis Alibec, li premia portando in vantaggio il Farul. Esplosione del settore ospiti e cori che aumentano ancora di intensità.

A differenza dei dirimpettai, il tifo organizzato ospite sembra invece aver intrapreso la linea del total black. Dandomi quantomeno l’opportunità di vedere due stili a confronto. A proposito, cerchiamo di sfatare parzialmente un mito che vorrebbe tutte le tifoserie dell’Est fortemente politicizzate e impegnate a cantare più su sfondo politico che per la propria squadra. Stasera credo di aver visto pochi (se non nessuno) richiami a tematiche extra stadio. Persino poche bandiere nazionali, cosa (questa sì) strana in Romania. La verità è che ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a un pubblico molto italiano sotto alcuni punti di vista. Come detto, l’eterogeneità dei Feroviari mi ha lasciato positivamente impressionato.

Feroviari che, per giunta, non mollano e confermano la vicinanza alla loro squadra facendo vibrare, a più riprese, l’intero stadio con cori a rispondere davvero ben fatti. Verranno premiati nella ripresa, quando il trentottenne Saponaru pareggerà i conti facendo esplodere la Nord e cullando tutti nell’illusione di un sorpasso, che in realtà arriverebbe pure nel finale, ma viene invalidato dal Var. Sta di fatto che il livello di tifo e rumore fatto meritano assolutamente un voto alto e non necessitano molti altri commenti.

Ma, sono onesto, un’ottima performance la mettono a segno anche i ragazzi di Constanța. Mai in silenzio per tutto il tempo e in evidenza, nella ripresa, con una bella coreografia più torciata realizzata dal gruppo Aria. Il risultato chiaramente va loro più che bene e la squadra, a fine gara, si porta sotto al settore festante per fare le foto di rito e raccogliere l’abbraccio degli oltre settecento cuori Alb-albaștrii giunti nella Capitale.

Gli applausi ci sono ovviamente anche per il Rapid di Adrian Mutu, autore di una gara dispendiosa e generosa. Una prestazione che ai punti avrebbe forse meritato il successo. Per i quindicimila di Giulești c’è l’orgoglio di esser tornati a calcare scenari che più gli competono e di essere per giunta protagonisti. La folla rapidista canta ancora e si scambia qualche invettiva con il settore ospiti.

Nota di merito per gli striscioni. Tanti e ironici su sponda Farul, che fanno leva sullo stereotipo del rapidista con i seguenti messaggi: “Appassionati di numismatica che eccellono nella prova pratica”, “Dal vocalist al tamburista sono tutti Ursari e Caldarari” (gli ursari sono colori i quali provvedono ad esercitare gli orsi nei circhi, i caldarari sono quelli che realizzano le pentole), “Un grido dall’antica Troia: abbiamo bisogno di ferro vecchio”, “Il suono del treno si sente quando i magneti non sono stati rubati”, “Il giorno alla fisarmonica, la sera allo stadio”.

Attendo che lo stadio sia quasi vuoto per fare le ultime foto. Prima di risalire gli scalini, lasciare la pettorina e dirigermi verso la fermata del tram.

Alcuni bambini giocano con le bandiere, ondeggiandole sulle rotaie all’arrivo del mezzo, quasi a volerlo fermare. Mi lascio alle spalle lo stadio, i tifosi e questa serata di calcio romeno. Forse un po’ stanco, ma ancora soddisfatto di esserci stato. In attesa delle ore successive, che mi vedranno in viaggio verso la Bulgaria. Con il mio pullman che partirà alle 4 di mattina.

Comprendere anche un solo pezzetto di calcio e tifo romeno è stato un rompicapo. E troppe cose mi sfuggono per essere sazio. Mi riprometto di tornare a capirle meglio, magari osservando altre realtà e conoscendo nuova gente. Me lo dico tra me e me, camminando da solo nella notte di Bucarest, ragionando e ripensando con un sorriso alla follia del giorno precedente. Di cui comunque vado orgoglioso, per aver saputo sovvertire la sorte e continuare il mio percorso. A conferma che quando il viaggio è prima di tutto nella mente, si arriva sempre a raggiungere la meta prefissata.

Ad maiora! Anzi, a tra poco con l’ultimo racconto sul derby di Varna!

Simone Meloni