Ci sono modi e modi di vivere la propria casa. C’è la routine, quella a cui tutti siamo un minimo legati e che sovente sembra sopraffarci. C’è il fine settimana, quando tutti si riuniscono tra le mura amiche per passare più tempo assieme. Discutere, divertirsi, godere del tempo libero e magari, perché no, incappare in qualche salutare discussione. Poi ci sono quelle serate particolari. Ancor più dell’aria festosa del Natale. Ancor più del compleanno dei bambini, che con occhi sognanti si apprestano ad aprire i propri regali. Ci sono serate in cui la casa si trasforma in un dolce e caldo palcoscenico, dove gli oggetti di sempre, le facce di sempre e il normale incedere del tempo, assumono un aspetto profondamente differente. Quasi ci si spostasse in un mondo parallelo.

Sono serate dove tutti si sentono importanti e tutti vivono lo spazio comune come un tempio, mescolando paura, speranza, emozione. Queste sono le serate europee a Roma, da qualche tempo a questa parte. Momenti in cui il vecchio e trasandato Olimpico si veste a festa e assume quei contorni che ancora riescono a distinguerlo da asettici e moderni impianti europei. Stadi che, diciamoci la verità, da un punto di vista strutturale non possono neanche esser paragonati ai nostri, ma che non avendo una vita vissuta alle spalle e rispondendo alle contemporanee esigenze, non hanno la capacità di trasmettere quel pizzico di magia che tante gradinate italiane ancora propugnano.

A Roma raggiungere una semifinale, trovarsi a un passo dall’atto finale della seconda competizione continentale, non è un qualcosa di normale. Lo si capisce scambiando quattro chiacchiere con la masnada di tifosi che già nel primo pomeriggio cominciano ad affollare le vie adiacenti allo stadio. Pochi vogliono parlare della partita, la tensione è così alta che c’è chi non riesce a mangiare e viene letteralmente divorato dall’ansia. L’ondata di entusiasmo portata da una Roma che negli ultimi due anni ha mostrato una faccia misera e spesso impacciata in campionato, al cospetto di una più granitica e rognosa in campo europeo, finisce per diventare una vera e propria bomba a orologeria in questo caldo pomeriggio di inizio maggio. Le prime maniche corte hanno fatto spazio a cappotti e giacche invernali, di pari passo con un clima che si scalda ancor più dei pressi del Ponte della Musica, dove il pullman della squadra viene intercettato da ultras e gente normale, per esser scortato fino agli ingressi a suon di torce, fumogeni e cori. Da dietro i vetri oscurati si nota qualcuno riprendere il mare di persone. Anche staff e giocatori sono evidentemente estasiati dal clima che li ha accolti. Torna alla mente il sempreverde Nick Hornby che nel suo celebre Febbre a 90 sottolineava: “Il casino che hai fatto è stato un momento cruciale e tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?”. E per quanto il riportare alcune delle sue frasi sia ormai un esercizio a dir poco stucchevole e retorico, credo che davvero ci sia un passaggio più adatto per descrivere quello che passa nella mente di ogni tifoso in questo momento. E quello che questo sport sarebbe senza i suoi seguaci più folli e fedeli.

Su Lungotevere alcune bombe carta vengono esplose per caricare l’ambiente, mentre la maggior parte dei presenti comincia a convogliare verso gli ingressi. Sono oltre 63.000 i biglietti venduti, con una rappresentanza tedesca che si aggira attorno alle 2.500 unità. Non si parla di sold out solo perché i supporter del Leverkusen non hanno finito i biglietti a disposizione. Mentre un accento andrebbe messo sulla capienza dell’Olimpico, ancora in parte ridotta sia per ragioni strutturali che…legate all’emergenza Covid (sic!). Quando alle 18 i cancelli aprono, sono in molti a fare immediatamente il loro ingresso. E la motivazione – oltre all’ansia di cui sopra – è presto detta: nel giro di un’oretta le code che si formano nei pressi della Sud sono a dir poco impressionanti, con steward impreparati a gestire il tutto e una classica situazione all’italiana di potenziale pericolo, sventata fortunatamente più dal fato e dall’intelligenza dei tifosi, che dall’intervento di chi viene settimanalmente chiamato a gestire afflusso e deflusso del pubblico. Aspetto macchiettistico su cui bisognerebbe scrivere un articolo apposito, citando poi tutte le boiate (relative anche a divieti e limitazioni) che ci vengono somministrate da giornali e Osservatori vari in seguito alle criticità riscontrate.

Mentre lo stadio va man mano riempiendosi, le classiche musiche del pre partita vengono irrorate dagli altoparlanti. Ma oggi non c’è la distesa voglia di canticchiare e divertirsi, già nel pre partita si carpisce quella tensione di chi sa di trovarsi di fronte al primo tempo di un palese appuntamento con la storia. E sebbene la paura di fallire oggi faccia tremare meno le gambe rispetto a un tempo, come detto in precedenza, raggiungere una semifinale europea non è cosa comune e innesca nella mente dei presenti sogni che in novantasei anni di storia sono sembrati quasi sempre proibiti. C’è la sensazione di trovarsi di fronte tutto il “pacchetto” di quella Roma illogica e incapace di vivere la propria giornata al di là del pallone. Perché in esso ritrova purezza, ritrova stimoli sentimentali e riesce a trasporre tutta la propria anima senza dover essere troppo attenta al suo cliché o, peggio ancora, ai suoi patemi esistenziali.

Così, mentre le due squadre fanno il loro ingresso in campo, il popolo romanista serra i propri ranghi. Sembra quasi abbracciarsi in un tormento interno ed esplodere quando l’avversario può esser fischiato. Non di certo in virtù di una rivalità o di chissà quale astio, ma semplicemente per far capire che oggi per la propria casa è una di quelle serate speciali e che i suoi alfieri saranno pronti a indirizzarne l’esito, sfruttando anche l’ultima goccia di sudore a disposizione.

Le due squadre si sono affrontate abbastanza di recente. Era la stagione 2015/2016 e si trattava del girone di Europa League. In quell’occasione l’Olimpico che si presentò ai supporter teutonici era ben diverso da quello di stasera. Ci trovavamo nel pieno della diserzione per le barriere e non furono propriamente novanta minuti esaltanti da un punto di vista ambientale. I tifosi del Bayer stessi erano, numericamente, ben inferiori rispetto a questa sera. Aspetto che ci dice due cose: l’importanza di una semifinale ha inciso, ma la crescita delle tifoserie organizzate tedesche è un dato di fatto incontrovertibile. Poi possiamo discutere sulle modalità, sul loro approccio allo stadio e su una fama che troppe volte si costituiscono solo attraverso video ad hoc, spammati sui social. Ma che il germoglio ultras in Germania sia sbocciato e stia vivendo stagioni importanti è innegabile. Peraltro, a dispetto di una reputazione alquanto sottaciuta, i ragazzi della Nord Kurve di Leverkusen sono una realtà tutto sommato rispettabile. Come avevo avuto modo di dire già in occasione del match disputato otto anni fa alla Bayarena, i rossoneri fanno una bella impressione dal punto di vista del tifo, riuscendo durante il match a coinvolgere in diverse occasioni tutti i presenti, mostrando battimani stilisticamente perfetti, producendosi in una coreografia semplice ma ben riuscita e facendosi sentire da tutto lo stadio in più di un’occasione. Certo, non abbiamo di fronte una tifoseria “cattiva”, o rogonosa – come testimonia la non reazione alle molteplici provocazioni piovute dagli “scalmanati” ragazzi sparsi in Curva Nord – ma sicuramente interessante e “godibile”. Da segnalare, tra le fila tedesche, la presenza dei gemellati dell’Offenbach e di un paio di pezze contro la Uefa.

Quello che, tuttavia, “rimprovero” sempre alle realtà nord europee, è la poca partecipazione all’evento calcistico. Il che è sicuramente parte integrante del loro modo d’essere e della loro cultura antropologica. Da italiano capisco e vengo “rapito” di più da uno stadio che non riesce ad esprimere appieno tutto il proprio potenziale, perché teso come una corda di violino e coinvolto in ogni tocco di palla delle due squadre. Le torce che durante l’inno piovono in campo copiose, coprendo con il loro fumo anche la bella sciarpata, sono il marchio di fabbrica di un’epoca passata. E fanno bene al cuore di chiunque ami questo mondo. Così come d’impatto sono i fumogeni accesi nelle tribune, luoghi dove per antonomasia dovrebbero sedere i tifosi “più tranquilli” ma dove, almeno a Roma, ormai da qualche tempo si assiste a un bello spettacolo partecipativo. A completare il tutto c’è una coreografia organizzata dalla società in tutti i settori (tra che in Curva Sud, per ovvie ragioni) che contribuisce sicuramente a colorare l’impianto di Viale dei Gladiatori.

La voce di tanto in tanto fatica ad uscire potente nella prima frazione, strozzata dalla tensione, mentre si scioglie di più nella ripresa. Un po’ perché la paura lascia spazio al voler spingere gli uomini di Mourinho alla vittoria, un po’ perché il gol di Bove rompe definitivamente gli indugi. Bandiere e bandieroni sembrano voler soffiare sul pallone, sventolando di continuo e mettendo in mostra tutta la loro ottima fattura, cosa che obiettivamente ha sempre più caratterizzato il materiale dei romanisti negli ultimi anni. Una menzione la merita ancora una volta il gruppo posizionato in Curva Nord lato ospiti. Un muretto che ormai da diverso tempo ha oleato i propri ingranaggi, riuscendo a coinvolgere i presenti e risultando davvro importante per far rumoreggiare anche settori dello stadio storicamente più “posati”. Il fatto che in ogni settore dell’Olimpico si trovino delle menti ultras, è un valore aggiunto notevole per il prodotto finale!

In campo, come accennato, è la Roma a spuntarla per 1-0. Un risultato che sicuramente non sposta troppo l’equilibrio della qualificazione, ma permette ai giallorossi di affacciarsi alla Bayarena con un piccolo vantaggio morale.

Al triplice fischio il classico “Grazie Roma” impiega un po’ a partire, per favorire i cori della Sud che ovviamente si propagano e coinvolgono il resto dello stadio, facendo leva sul tormentone di “Tu lo sai la domenica”. La gioia è ovviamente frenata dalla consapevolezza di altri novanta minuti – una settimana più tardi – tosti, difficili e mentalmente sfinenti. Ma si vive di calcio proprio per arrivare a questi appuntamenti, per farsi trovare pronti e tentare di portare i propri colori il più lontano possibile. Saranno 1.750 in terra du Germania, con molti altri fuori perché rimasti senza biglietto e tantissimi attaccati a radio e televisioni, con un solo – ideale – cuore a battere. Delusioni e gioie fanno parte dell’esistenza che ognuno di noi ha scelto di vivere. E se è normale che esse siano precedute da ansie e adrenalina, è altrettanto normale che vadano a scrivere un pezzettino di storia da incidere nelle menti di tutti i presenti. Perché è il cammino a tramandarsi. A rendere immortali i sentimenti per i colori che si è deciso di sposare.

Testo Simone Meloni