La Roma torna all’Olimpico dopo poco più di due mesi. Il pubblico giallorosso aveva lasciato la propria squadra in una calda sera di giugno, contro lo Spezia. Una di quelle partite in cui più che il risultato contava esserci. La cocente delusione di Budapest era ancora un ingombrante fantasma, difficile da cacciar via o da mettere da parte. Gli uomini di Mourinho erano reduci da una stagione complicata, in cui però l’eroica cavalcata europea aveva fatto sognare tutta la tifoseria. Se l’epilogo sportivo è stato sotto gli occhi di tutti, quello dell’attaccamento è stato ad appannaggio di chi quella sera c’era. E con la sua presenza ha voluto a tutti i costi ribadire l’attaccamento e la dedizione al vessillo, ben al di là di qualsiasi sconfitta.

Atteso da tanti e patito da molti, il campionato anche quest’anno ha riaperto i battenti nel mese più bollente dell’anno. Infischiandosene completamente dell’aspetto sportivo (difficile praticare calcio con 40 gradi e il 70 percento di umidità) e dei tifosi, che imperterriti hanno comunque affollato le gradinate. Sulle presenze, sull’aumento dei numeri e su quella che ormai è diventata l’imprescindibile voglia di seguire ogni evento del proprio club, mi permetto di dire sarcasticamente che sovente si è arrivati a livelli veri e propri di tossicodipendenza! Ma proprio da qua voglio dipanare la prima critica stagionale, quella che riguarda il prezzo dei biglietti. Se la Roma in questi anni ha sempre mantenuto un costo degli abbonamenti tutto sommato calmierato (una Sud costa 269 Euro, circa 14 Euro a partita) stessa cosa non si può dire per il singolo biglietto dei match, incrementato ancor più quest’anno. Basti pensare che per una Curva Nord contro il Milan (e quindi, verosimilmente, anche contro le altre big) si dovranno pagare 62 Euro. Non che nelle altre partite i costi siano più sostenibili: per la sfida di oggi, ad esempio, una Nord costava ben 35 Euro, al cospetto dei 25 dello scorso anno.

Sicuramente è giusto dare priorità agli abbonati, che a scatola chiusa decidono di seguire diciannove partite di campionato più la Coppa Italia e le Coppe Europee, ma al contempo prezzi del genere dovrebbero far riflettere su come in tutta la Penisola si proceda ormai in maniera granitica verso la “gentrificazione degli stadi”. Un processo che, diciamocela tutta, non è mai stato veramente combattuto e osteggiato dalle tifoserie italiane, le quali difficilmente sono andate oltre qualche striscione polemico o qualche sporadico boicottaggio: il modo più ovvio per prestare il fianco ed evidenziare un modus operandi che spesso e volentieri non va oltre la cura del proprio orticello. Si invoca spesso un tetto comune per il prezzo dei tagliandi e dei settori ospiti (a proposito, 40 Euro sborsati dai salernitani quest’oggi) e addirittura da quest’anno la Juventus ha annunciato che i tifosi in trasferta allo Stadium non pagheranno oltre 45 Euro. Il che mi induce a una riflessione: non bisogna solo stabilire un tetto, ma una cifra massima. Che non può essere, ad esempio, quella decisa dal club bianconero. Un settore popolare non dovrebbe costare oltre 20 Euro per quanto mi riguarda (a chi si stupisce ricordo che in Premier League è stato stabilito un costo massimo di 30 Sterline per i settori ospiti, fate voi i dovuti rapporti tra il costo della vita dei due Paesi). Ma sinché non ci sarà una coesione d’intenti queste non solo saranno parole urlate al vento, ma leghe, federazioni e società continueranno nello scempio del caroprezzi. Se non si sa difendere neanche il principio elementare con cui si va allo stadio, vale a dire la base popolare di questo luogo, forse è meglio chiudere i battenti a accettare di essere a tuttotondo parte dello showbiz, anche nel mondo delle curve (almeno per quanto riguarda la Serie A). Sarò utopista, sarò esagerato e forse sarò anche anacronistico: ma per me il naturale messaggio da esporre all’inizio di ogni stagione sarebbe proprio quello per uno stadio accessibile a tutti. Certo, è chiaro che se si registrano sold out consecutivi e se le gradinate presentano sempre pochi spazi vuoti, questo problema può sembrare inesistente. O comunque non prioritario. Ma la discriminazione economica compie anche un’ovvia scrematura su chi frequenta gli spalti. Perché sappiamo tutti che un conto è avere migliaia di spettatori “occasionali” o che pagano una tantum prezzi esorbitanti credendo di andare a teatro, un altro è favorire l’accesso anche a tutti quelli che il pallone lo vivono ancora dal basso e sono in grado di costituire la parte più chiassosa e ruvida.

Qua non si tratta neanche di contestare le società. Ma di cercare un modo per intaccare il loro unico scopo (ci sta ovviamente, parliamo di Società per Azioni): quello di fare profitto e tramutare la partita in una macchietta da sport americano. Fatta di speaker urlanti, musiche gridate (e ok, facciamo finta che vogliamo pure sopportare questo becerume) e pubblico in stile Premier League o, peggio ancora, NBA. A questo discorso lego strettamente tutto quello che riguarda la tradizione del club. Personalmente in questo concetto ho sempre fatto primeggiare tre punti cardine: nomi, colori e simboli. Imprescindibili per tifare una squadra e seguirne le gesta in modo coinvolgente e passionale. Per quanto concerne il simbolo, ormai da anni assistiamo a una rimodulazione a dir poco bislacca di loghi storici. Trasformati spesso e volentieri in vere e proprie patacche da designer e addetti al marketing, che penso difficilmente abbiano mai visto una partita all’interno di uno stadio. A Roma, sponda giallorossa, ciò è avvenuto ormai undici anni fa. Con la sostituzione dello storico stemma della Lupa Capitolina che sormonta l’acronimo ASR, in luogo di una Lupa “rifatta” e con la scusa di mettere i risalto la parola Roma (che idiozia, parliamo di una città che solo per la sua storia è conosciuta e studiata anche dall’ultimo bambino del posto più remoto nel globo terracqueo). E, purtroppo, in un modo o nell’altro non si è mai riusciti a tornare indietro. Anzi, quest’anno sulla prima maglia campeggia addirittura il lupetto stilizzato disegnato da Gratton, quello – per intenderci – divenuto famoso negli anni ottanta. Posto che non ho nulla di personale contro un logo a cui tutta la tifoseria è ovviamente affezionata, occorre sottolineare come però sia davvero assurdo possedere uno dei simboli più riconosciuti e celebri nel Mondo (la Lupa Capitolina) e non utilizzarlo. O utilizzarne la forma storpiata sotto la presidenza Pallotta!

Anche su questa tematica, tuttavia, mi voglio permettere una piccola polemica: le contestazioni ci sono state, anche in altri simili casi accaduti altrove, ma mai davvero corpose, continue e in grado di coinvolgere tutto il tessuto della tifoseria. In Italia si dà veramente troppa libertà di azione a chi vuol mettere mano sui punti sacri della storia di un club. Ci possiamo (dobbiamo) far star bene terze maglie a dir poco tremende, ma non si può rimanere in silenzio quando anche la prima e la seconda casacca vengono pesantemente vilipese (e nel caso della Roma è sufficiente vedere la seconda, molto più vicina a quella della Juve o del Real Madrid anni novanta, per non parlare delle tenute di allenamento o riscaldamento, vade retro!) in nome del Dio danaro, che sarà pure il motore di ogni aspetto della nostra società, ma che almeno in alcuni ambienti più radicali dovrebbe essere visto con il fumo agli occhi se in grado di cancellare i punti cardine di cui sopra.

Ecco, francamente io ho messo a fuoco con difficoltà questo Roma-Salernitana pensando a tutte le suddette questioni. E mi chiedo: si sbandiera ai quattro venti l’ennesimo sold out, ma a che prezzo? Si parla di maglia più venduta nella storia del club, ma a che prezzo? Forse risulto pedante e puntiglioso, ma se il dazio da pagare è in termini di identità, io sono sempre per un passo indietro. In tutto, in ogni campo della vita.

Venendo alla sfida tra le due tifoserie e alla partita in generale, come detto il caldo non favorisce propriamente il godimento dalla giornata. Da Salerno sono oltre cinquemila i tifosi ad affollare il settore. I granata mettono in mostra la solita, ottima, prova di tifo. Bei picchi canori, soprattutto in concomitanza con le reti dei campani, una sciarpata, qualche fumogeno e l’ennesima conferma di quanto quella tirrenica sia una piazza che trova la sua naturale collocazione in massima divisione. Discorso un po’ diverso per il pubblico di casa che – nessuno me ne voglia -, salvo gli ultimi dieci minuti, oggi non si dimostra propriamente all’altezza. In campo il match finisce con un’emozionante 2-2. Da segnalare l’ingresso con dieci minuti di ritardo dei gruppi posizionati nel Distinto lato Tribuna Tevere per protestare contro il divieto di portare bandieroni piovuto qualche giorno prima e interpretato come una vera e propria doccia fredda, soprattutto in seguito al grande lavoro fatto negli ultimi due anni per animare un settore generalmente poco avvezzo al tifo. Numerosi striscioni esposti per ricordare Carlo Mazzone, scomparso qualche giorno prima.

Testo Simone Meloni

Foto Prospero Scolpini