Inutile protagonismo? Voglia di dare un segnale netto e duro in vista dell’insediamento del nuovo Prefetto? Impuntatura puerile e pretestuosa? Desiderio di far pagare le notti di coppa, in cui qualche fumogeno in più ha colorato un Olimpico versione retrò? Vanagloria nell’infangare la memoria di un simbolo della Curva Sud, tramandato di generazione in generazione?

Ancora non è lecito sapere quale sia stata la reale motivazione che ha spinto le forze dell’ordine a negare l’ingresso dello striscione in memoria di Roberto Rulli. Ciò che appare tuttavia netto è il boomerang mediatico che ciò ha prodotto. Un divieto che si è ripercosso su pagine, siti e giornali, trovando – quasi stranamente direi – l’unanime condanna per la sua inutilità. Sarebbe stato, forse, più saggio lasciar passare l’innocuo e neutro messaggio, che al massimo sarebbe stato riportato a margine delle cronache sportive? La risposta è palese, quasi retorica.

Quello che rimane di un pomeriggio che avrebbe potuto essere davvero memorabile in fatto di tifo e folklore, è l’amarezza di una delle tante scelte repressive made in Italy. Nonché la granitica risposta di una Curva Sud uscita praticamente in massa e riversatasi nel piazzale antistante lo stadio per farsi immortalare dietro il suddetto striscione. Un segnale di maturità, verso chi ha vietato il ricordo, la memoria. Il rispetto per un ragazzo che ci ha lasciato ben trentatré anni fa e che forse, grazie al suo trait d’union generazionale, spaventa ancora qualcuno. A causa del suo pensiero libero e della sua anima ribelle preoccupa ancora oggi chi vorrebbe una gioventù ferma, immobile, acritica.

La reazione della Sud (ma anche della Tevere, dei Distinti e della Nord) è un qualcosa da cui traspare un importante senso di comunità e voglia di mantenere vive le proprie radici e la propria storia. Oltre alla sacrosanta risposta a un atto repressivo del tutto gratuito, verso il quale era doveroso mostrare il proprio dissenso. Esattamente come è stato fatto: in modo pacifico ma unitario. Forse qualcuno non si aspettava una curva così compatta nel difendere sé stessa, forse qualcuno sperava in altro (?). Eppure ieri dal settore non sono usciti solo gli ultras, ma anche gente “normale”. Anche chi non fa vita di gruppo, ma nei gruppi riconosce la guida costante e assidua del tifo organizzato. Perché si fa presto a voler essere tutti presenti a Tirana e a Budapest, quando c’è la possibilità di vivere il grande evento. Ma è sempre più difficile condividere con i propri sodali anche i momento bui, o quelli in cui è necessario mostrare le unghie.

Se poi, come sembra, alla base di questa decisione c’è il fatto che Roberto Rulli fosse un pregiudicato, allora non resta che alzare le mani e fare spicciola demagogia pensando a tutti quelli che con la loro fedina penale lercia hanno fatto e fanno carriera in seno a istituzioni e organi decisionali. A quelli che addirittura in più di un’occasione questo Paese lo hanno guidato e rappresentato. Perché se il problema “morale” è un ragazzo morto tre decenni fa, uno che ha vissuto il contesto sociale di un’Italia ben diversa da quella attuale, se c’è bisogno di rimestare nel fondo del pentolone per trovare precedenti penali e giustificare scelte draconiane, allora possiamo solo farci una triste risata pensando ancora una volta ai paradossi e alla povertà mentale dell’Italia. Eppure questa rigidità, questo essere integerrimi, non lo ritroviamo in altri campi della nostra società. Gli esempi sarebbero tanti, troppi. E si cadrebbe davvero nel populismo becero.

Ma affermare che l’aver tentato di calpestare il ricordo di un simbolo della Curva Sud è stato solo l’ultimo dei tentativi per dimostrare di non aver capito nulla del movimento ultras, delle sue dinamiche e, più in generale, delle dinamiche di chi frequenta gli stadi. L’applauso di chi è rimasto dentro ai cori di solidarietà partiti dai salernitani (ieri un gran tifo il loro) la dice lunga su quanto la cultura da stadio sia radicata anche nelle persone che non frequentano direttamente la curva. E la dice lunga su quanto il tentativo di mettere contro tifosi della propria squadra sia naufragato meramente. Chi fuori, chi dentro, ieri c’erano oltre sessantamila persone concordi sull’idiozia di non far entrare quello striscione. Un po’ come quando, in occasione del Derby del bambino morto, nessuno credette alla smentita del Questore. Uno Stato che non ha credibilità minima agli occhi dei propri cittadini, è uno Stato che ha evidentemente profondi problemi alla propria base. Ma, giustamente, deve mostrare il proprio pugno di ferro nei confronti delle tifoserie!

 “19/5/2023 a Roberto. Abbiamo vissuto nel tuo mito onorandoti ogni minuto. Seppur non ci è riuscito tu vegliaci e vedrai che un giorno nel tuo nome avremo ancora combattuto!”. Questo recitava lo striscione, che è stato ugualmente tenuto in mano, andando oltre ogni divieto e oltre ogni scelta fuori dalla logica basilare, e che è riuscito a marcare indelebilmente questo piovoso pomeriggio di fine maggio.

Perché il mito di Roberto Rulli non lo spegni con la burocrazia e non lo uccidi con le rappresaglie. E per sempre nel cuore dei ragazzi della Sud si tramanderanno le sue idee e la sua filosofia: “Io sono romano e come tale voglio che il nome della mia città prevalga sempre su qualsiasi altro. Quando la Roma vince per me è l’intera città che ha sconfitto quella avversaria. Questa è la miglior soddisfazione che possiamo avere. Quindi noi consideriamo i giocatori solo gli alfieri con i quali la Società porta in alto il nome della nostra amata città. Ribadisco quindi che non consideriamo affatto idoli queste persone”.

Simone Meloni