Un’afa opprimente ingloba buona parte dell’Italia, rendendo difficoltoso e pesante anche il minimo movimento. È il 14 luglio e – presa della Bastiglia a parte – l’unica cosa di cui necessiterebbe l’essere umano sarebbe una sana giornata di mare o una rigenerante camminata in montagna, possibilmente oltre i mille metri.

C’era una volta la sosta estiva. Un momento in cui il pallone “dei grandi” andava in soffitta e a rotolare, per strada o nelle spiagge, era solo quello di noi ragazzini che – orfani dei campionati – ci dilettavamo in infiniti tornei dove ognuno sceglieva una squadra da rappresentare. Era là che con la fantasia potevi pensare di essere Roberto Baggio, Francesco Totti, Gabriel Batistuta, Alessandro Nesta o Luis Nazario da Lima, al secolo Ronaldo.

Per i ragazzini di oggi è anche difficile dar sfogo alla propria inventiva e vedere almeno per tre mesi il pallone come una cosa “propria”, senza per forza dover ricorrere al calcio giocato. Tutto è incanalato progressivamente verso il restringimento delle tempistiche: le preparazioni anticipate per far fronte ai preliminari europei e le amichevoli in Oriente per incassare qualche milione.

L’inizio dei campionati ad agosto rappresenta (giudizio personale) una delle scelte più rivedibili effettuate negli ultimi anni. Vuoi per le temperature non certo “morbide” dell’Italia in quel periodo, vuoi per i tanti che ancora hanno il viziaccio (sic!) di prenotare vacanze, e vuoi perché per decenni il mese di settembre era tradizionalmente odiato per l’inizio delle scuole e amato per il ritorno del pallone. Ma quest’ultima è soltanto una perversione tradizionalistica che, lo comprendo, ormai rischia di suonare ridondante, unendosi in maniera becera alla filosofia mercificata delle paginette Facebook pro “nostalgia”.

Forse le amichevoli di luglio rimangono in minima parte dei momenti ancorati al nostro passato. Sebbene suddette partite si svolgessero al massimo tra le fresche montagne dell’Austria o del Trentino. Al massimo, ciò che ci era concesso, erano rassegne come il “Trofeo Dino Viola”, giocatosi nel 1992 a Firenze e nel 1993 a Roma, con tanto di mini derby della Capitale, incidenti in Nord e sfottò laziali per la vittoria ottenuta grazie a un gol di Signori (all’epoca funzionava così, il calcio trasmetteva talmente tanta adrenalina che guai a perdere una stracittadina, anche se giocata a burraco).

La Roma ha deciso di effettuare la preparazioni tra le mura amiche di Trigoria, optando così per due amichevoli a pochi passi da casa: il match del Francioni sarà infatti seguito dalla partita contro l’Avellino che si disputerà a Frosinone venerdì prossimo.

Già un paio d’anni fa i capitolini fecero visita ai nerazzurri, all’epoca militanti in Serie B. Malgrado il tempo trascorso non sia moltissimo, tante cose sono cambiate a Latina. Il vecchio club è fallito, costringendo il calcio locale a ripartire dalla Serie D. Un colpo basso, che non ha sicuramente aiutato una tifoseria volenterosa e impegnata a sensibilizzare una città umorale e incostante nei confronti della propria squadra.

Certo, diciamocela tutta: oggi tanti fattori non hanno invogliato i tifosi pontini a raggiungere l’impianto di Piazzale Prampolini. Innanzitutto la politica dei prezzi è stata alquanto discutibile. A fronte degli onesti 11,50 Euro applicati alla curva di casa e al settore ospiti, chi ha voluto sedersi in Gradinata ha dovuto spendere 26,50 Euro, in Tribuna Laterale 36,50 Euro mentre per la Tribuna Centrale il prezzo arrivava addirittura a 46,50 Euro. Un paradosso se si pensa che nell’amichevole di due anni fa Gradinata, Tribuna Laterale e Tribuna Centrale costavano di meno (rispettivamente 18, 27 e 35 Euro).

Paradosso accentuato poi dai diversi valori in campo rispetto al 2016, quando il Latina era comunque una buona squadra di Serie B e la sfida in campo non poteva assumere palesemente i contorni di una sgambata senza grande mordente calcistico. Quando si vende un “prodotto” si dovrebbe anche tener conto del valore della “merce”. Non si può dar via un chilo d’oro allo stesso prezzo di un chilo di acciaio. O no?

Quando si dice che il caro prezzi è una vera e propria piaga del nostro calcio ci si riferisce proprio a queste situazioni. All’abitudine, ormai neanche tanto rara, di alzare il costo dei tagliandi anche in circostanze in cui davvero non servirebbe. Sta di fatto che il risultato è sotto gli occhi di tutti: Francioni non al completo (e con prezzi più morigerati probabilmente si sarebbe raggiunto senza problemi il sold out) e tifosi del Latina praticamente concentrati solo al centro della Curva Nord.

Se ci si mette poi l’orario lavorativo (18:30) e la vicinanza del mare, si capisce che questa gara non era propriamente destinata al pubblico di casa.

I biglietti staccati in prevendita sono circa 4.000, a cui se ne aggiungeranno altri mille acquistati direttamente ai botteghini. A tal merito da sottolineare le solite scenette all’italiana, con la disorganizzazione latente che provoca ingenti code ai cancelli e il conseguente ingresso a partita iniziata da parte di molte persone, giustamente inviperite per essersi perse buona parte della prima frazione nonostante il caro obolo versato.

Con il settore ospiti ancora sotto sequestro, il contingente ultras romanista è stipato in tribuna coperta. Sono presenti quasi tutti i gruppi (a occhio non ho visto lo striscione dei Boys) e il primo coro che parte dalla zona occupata dai Fedayn è indirizzato ai ragazzi ancora detenuti a Liverpool per gli incidenti di Anfield Road dello scorso aprile. Una vicenda spinosa, in cui primeggiano ancora molti punti d’ombra e che nei prossimi mesi dovrebbe conoscere se non l’epilogo, quanto meno un’importante svolta determinata dal processo fissato per ottobre.

Intanto proprio in serata si verrà a sapere che Sean Cox – il tifoso dei Reds finito in coma a margine dei tafferugli – si sta lentamente riprendendo. Una buona notizia che ovviamente dovrà esser seguita anche da un congruo iter legislativo, nella speranza che venga fatta luce e i ragazzi detenuti non vengano giudicati in base alle pressioni mediatiche ma in relazione ai fatti realmente accaduti.

Tornando “all’ovile”, posso inoltrarmi nel campo che meno preferisco: la cronaca del tifo. Passano le stagioni, si accatastano gli articoli scritti, ma parlare di manate, cori a rispondere e bandieroni mi dà sempre più urto. Anche perché, ahinoi, troppo spesso gli scenari sono simili. Non me ne voglia nessuno, ma a un certo punto ti interessa solo la storia che c’è attorno al tifo, ai gruppi e a chi li compone. O magari a una particolare partita.

Tuttavia posso dire che il settore romanista offre una discreta prova, rapportata ovviamente alla poca importanza della partita e al contesto amichevole. Buoni picchi soprattutto nel secondo tempo, con un nuovo coro partorito sulle note di una celebre canzone di Raffaella Carrà e il ritorno dello storico “Quando al ciel s’alzeran le bandiere, e i tamburi a suonar torneran…”. Coro che ha segnato intere generazioni di tifosi romanisti e che risale addirittura alla fine degli anni ottanta: i tamburi che dovevano “tornare a suonar” erano infatti quelli banditi dalla Questura (assieme allo striscione del CUCS) dopo il tragico derby del 28/10/1979, culminato con la morte di Vincenzo Paparelli.

E se parliamo di tamburi allora possiamo aprire una finestra anche sulla tifoseria di casa, dove questo strumento è tornato da qualche tempo a far breccia nel cuore dei suoi astanti. Una scelta retrò, che ha sicuramente contribuito a dare vigore al tifo nerazzurro. Quest’oggi inoltre, viene esposto per la prima volta lo striscione centrale Ultras Pontini, dietro cui si raggruppa lo zoccolo duro del tifo locale.

I presenti sosterranno a gran voce la propria squadra per tutto il tempo, colorando sovente il settore con bandieroni e bandierine. Ovviamente il risultato (9-0 finale per la Roma) non può essere davvero indicativo. Il Latina ha iniziato la propria stagione da pochi giorni e la squadra è ancora in costruzione. L’intento è quello di riconquistare il professionismo e a tal proposito la rosa si sta arricchendo di giocatori importanti per la categoria.

Al termine della partita sono proprio i giocatori pontini ad affrettarsi sotto la Nord, per ricevere l’abbraccio dei propri sostenitori. È un reciproco incoraggiamento per la stagione che verrà. Ma anche una scena che fa da contraltare i loro “colleghi” più celebri. Salvo il bel gesto del neo acquisto Justin Kluivert, “reo” – almeno per il calcio di questi tempi – di regalare una maglia ai tifosi capitolini – (quasi) tutti tirano dritto verso lo spogliatoio. Come da copione.

Anche per questo sono sempre più dell’idea che, ammainate le bandiere e scomparsi quasi in toto i giocatori attaccati alle proprie vesti, occorra prendere una netta distanza dagli uomini che scendono sul manto verde. Nel bene e nel male. Troppe volte il loro opportunismo rischia di essere un boomerang per le curve stesse. L’ultras – al netto delle sue idiozie e dei suoi errori – resta comunque un bersaglio facile (e prediletto da alcuni) quindi altrettanto demonizzabile per un coro o una protesta. Sebbene in parecchie occasioni questi possano anche essere esagerati e fuori luogo, in tante altre sono figli di comportamenti e atteggiamenti distorti, boriosi e irrispettosi proprio da parte dei calciatori.

Simone Meloni