Il marcio, il putrido ed il fetido non aspettano a palesarsi. Non sono mascherati e non si nascondono dietro falsi nomi e situazione equivoche. Lo schifo, dietro la regia Gabrielli-Pallotta, ci ha messo ben poco ad andare in onda allo stadio Olimpico di Roma.

E’ una giornata di metà agosto, che oltre a portarsi dietro i suoi 34 gradi con il 70% di umidità, dovrebbe aprire le danze della stagione romanista. Ricordo, tempo addietro, queste occasioni come il nonplusultra della rilassatezza, con settori venduti a 5 Euro e pochissimi controlli agli ingressi. Ma siamo in un’era differente, quella della sicurezza a tutti i costi, anche laddove non serve. Ci sono i vari Repubblica e Corriere della Sera da sfamare, e presidenti ingordi e despoti da assecondare. Per il piacere di tutti. Perché il tifo, non solo gli ultras, va eliminato quanto prima. Come ogni spazio aggregativo che si rispetti nella nostra penisola.

Ore 18,10: un lunga fila si snoda fuori a tutti i prefiltraggi di quello che dovrebbe essere uno stadio a cinque stelle. La presentazione della squadra dovrebbe aver inizio da lì a venti minuti, eppure la fantomatica macchina organizzativa non vuol sentir ragione di aprire quelle cancellate. Fa caldo e in tanti si accalcano perdendo quasi il respiro, in una delle tante situazioni create ad hoc da chi dice di agire per il bene collettivo, quando in realtà parole come “buon senso” e “rispetto” non sa neanche dove siano di casa. Ci sono bambini che piangono, signore incinta che decidono di arretrare per sedersi sul prato ed attendere miglior sorte e anziani che oscillano storditi dall’afa, quasi fossero capitati in un girone dantesco anziché in un luogo che, paradossalmente, dovrebbe essere sinonimo di svago e divertimento. Qualcuno prova a chiedere spiegazioni alle pettorine gialle, ricevendo indietro la sgarbata risposta: “Ma che volete da noi, potevate venì prima!”. E in fondo non è neanche colpa loro, del resto da chi fa dell’inadeguatezza e dell’impreparazione i propri cavalli di battaglia, non ci si possono attendere reazioni migliori.

Ancora ci vengono ad imboccare la favoletta delle famiglie allo stadio. Oggi, come mille altre volte, è tutto uno spot per non farcele venire mai più. E non solo le famiglie, ma anche il settantenne che all’Olimpico ci viene da una vita. La tortura infatti non finisce qui, dove si consuma soltanto il preambolo di questa assurda serata. Mentre dal cielo un elicottero della questura sorveglia e vigila, affinché non ci siano chissà quali problemi in un’amichevole senza tifosi ospiti, le porticine gialle si aprono e la fila si sposta dai filtraggi ai tornelli. Il tutto sotto gli occhi di centinaia di celerini, poliziotti, carabinieri e finanzieri. Tutti rigorosamente schierati in assetto anti-sommossa, coadiuvati da agenti in borghese che con le loro telecamere riprendono l’afflusso del pubblico. Giuro, una roba del genere da queste parti non l’avevo mai vista.

Sono frastornato e incredulo. Oltre che incazzato nero nel vedere cosa hanno architettato questi fenomeni e come trovano modo di spendere danaro pubblico in un Paese che di certo non è privo di problemi e campi dove meglio investire questi fondi. Comunque voglio vederci ancora più chiaro, passo tra la selva di gendarmi e mi porto al prefiltraggio dell’Obelisco, il più grande. Mi si ripropone lo scenario da check-in di guerra, con persone che offendono palesemente steward e poliziotti per l’attesa lunghissima. Poi si chiedono perché queste figure siano invise a molta gente. Di certo ciò non rappresenta un buono spot ne’ per le divise, ne’ per le istituzioni.

Scatto qualche foto e poi torno indietro, non prima però di essere fermato da un Robocop con accento piemontese. Con fare tracotante mi chiede biglietto e documento oltre a mostrargli cosa ci sia nella borsa. Non gli rispondo, mi limito a “eseguire gli ordini”, capisco che non è giornata per fare polemica. E qui mi si ripropone la stessa scena vissuta ad Avellino qualche giorno prima: appena l’agente vede la mia tessera stampa cambia espressione in volto, più rilassato, e mi lascia andare quasi senza perquisirmi. Come già detto, per loro i criminali si annidano soltanto nei settori popolari; se fai parte di qualche casta, al loro pari, puoi anche portare dentro una bomba atomica, sei giustificato.

Mi avvicino alla Sud, perché manco a dirlo, è lei l’obiettivo di tutto questo spiegamento. Lorsignori ragionano da carcerieri, e come tali provocano, umiliano ed offendono in attesa di una reazione utile a scatenare l’inferno e, ovviamente, a incolpare il loro bersaglio. Da un pertugio osservo attentamente cosa sta accadendo dopo i tornelli: il fitto cordone ferma minuziosamente chiunque oltrepassi l’entrata, costringendo tutti a togliersi le scarpe. Noto ben due camionette della polizia stazionare a pochi metri dagli accessi. Mi chiedo come si faccia ancora a frequentare gli stadi. Trattati come camorristi, manco fossimo a Regina Coeli, dove probabilmente i controlli sono più blandi. Sono immagini che sbatterei in faccia a chi in questi anni ci è venuto a parlare di “civilizzazione delle curve”, oppure a chi, venuto d’oltreoceano, ha osannato in maniera ipocrita il settore popolare del tifo romanista, lavorando dietro le quinte per sbarazzarsene quanto prima.

La Capitale d’Italia, quella degli scandali a macchia d’olio (e lo ripeterò in ogni articolo, a costo di risultare stucchevole), dei posti assegnati ad honorem, delle aziende farcite da parenti entrati con falsi concorsi, delle mazzette, della corruzione, del degrado costante e continuo, sì proprio lei, non trova la forza e la voglia per riparare le buche dell’asfalto o far funzionare una metropolitana, ma mostra i muscoli per reprimere e maltrattare 32.000 persone, con un’occhio di riguardo alla Curva Sud. Come lo spieghiamo ai bimbi che avete fatto piangere, che fate schifo? Dal primo all’ultimo. Bisognerebbe spiegargli che il calcio è uno sport da non seguire mai più, anzi da boicottare e distruggere ove possibile.

Mi cominciano ad arrivare messaggi e foto su Whatsapp. La cosa, a quanto sembra, è anche peggio di come la immaginavo. Il muro che dovrebbe dividere la curva non c’è, in compenso qualcuno ha assoldato un’agenzia di sicurezza privata, con veri e propri buttafuori posti sulla scalinata centrale. Rimane da capire chi li abbia pagati. In caso fosse stata la questura, ognuno tragga le sue conclusioni sulla ridicolezza della stessa; in caso fosse stata la società, sarebbe soltanto la conferma di quanto essa stia concorrendo in questo scempio. Inoltre ogni angolo della curva è stato riempito di agenti in borghese, dal piazzale esterno, alle scalinate, alla balaustra. Un monito, come per dire: “Provate solo ad alzare un dito e vi apriamo il culo”. Comportamento consono ad uno stato di polizia. E pensare che per anni ci hanno imbottito di fandonie su quanto sia importante togliere la polizia dagli stadi. Situazioni del genere credo che neanche nella più pericolosa e remota zona di guerra si possano vedere.

Intanto, sempre per la serie “rispetto dei tifosi”, le file non si sono certamente diradate ma la presentazione dei giocatori è iniziata. A scapito di chi per un’amichevole ha sborsato ben 16 Euro (32.000 Lire per un’amichevole in uno stadio da terzo mondo, ancora parlate di famiglie allo stadio?). Vane sono le lamentele della gente, il pugno di ferro voluto dall’ineffabile Gabrielli deve fare il suo corso, cascasse il cielo.

Sento lo speaker introdurre i giocatori: “Con il numero 16 Daniele De Rossi”. Mi sembra di vedere uno spettacolo sotto una dittatura militare. Tutto è finto e preconfezionato. Entro in tribuna stampa, lo scenario è desolante. Non c’è uno striscione, una bandiera e un minimo di colore. Entrano Dzeko e Salah, vengono osannati, ma è chiaro che più di qualcosa non va. Anch’io, da una posizione privilegiata, non mi sento più a casa. Anzi, come i ragazzi che stanno subendo soprusi per entrare in un luogo pubblico, mi sento defraudato e indesiderato. Non nego che vorrei andar via.

Inizia la partita, ed ovviamente il consueto “Quando l’inno s’alzerà” appare solo un ricordo lontano dei bei tempi andati. Azzittito ed assassinato dal modello italiano. Sembra di assistere a una partita di tennis, con qualche sussulto alle azioni più belle o ai gol che la Roma realizzerà a grappoli. Ma stasera di quanto accade sul manto verde mi interessa davvero poco. Probabilmente bisognerà farci il callo ed essere coscienti che questo è lo stadio del futuro prossimo. Un futuro che ha visto la propria alba a Roma.

La Sud marca la propria presenza al 30′ con qualche coro per i diffidati e contro il Prefetto. Qualcuno dietro me vocifera: “Per questi possiamo anche vincere 3-0, ma non cambieranno mai. Così facendo danneggiano la Roma”. Bene, vedo che avete capito proprio tutto. E forse è inutile anche perdere tempo a scrivere articoli come questo. Le battaglie sono perse, resta solo la “tigna” di dire le cose come stanno, senza fingere che tutto vada normalmente. Per il resto è una serata amara, e con la morte nel cuore alle 22,30 lascio l’Olimpico con un solo pensiero nella mente: “Fate schifo!”.

Simone Meloni