Prologo: passato e presente

Doveva essere la stagione 96/97, quella di Carlos Bianchi sulla panchina della Roma. Sì, era in settembre. Dopo il Mondiale del 1994 avevo ben capito, nella mia pur fluttuante testolina da bambino, che il calcio non era solo uno sport. O almeno non lo era qui in Italia, figuriamoci a Roma. In quella serata di settembre la Roma era di scena a Mosca, contro la Dinamo, per i trentaduesimi di Coppa Uefa (alzi la mano chi ricorda il retro degli album panini in cui erano elencati tutti, e ripeto tutti, i risultati delle competizioni europee fino a dicembre).

Che l’annata fosse tra le peggiori della recente storia giallorossa, ancora non lo sapeva nessuno. E poi quella volta Fonseca, Tommasi e Berretta annullarono con facilità l’iniziale vantaggio moscovita. Io ero seduto davanti alla televisione, sul mio letto. Quasi come ora, mentre scrivo. Mio padre non c’era, si giocava nel tardo pomeriggio, come spesso accade in Russia, e per la prima volta mi trovavo da solo di fronte a quella che poi, in un futuro neanche tanto lontano, sarebbe diventata una passione immensa, nel bene o nel male. Ricordo ancora che pioveva allo “Stadio Dinamo” e i giocatori avevano i guanti. Cosa davvero incomprensibile per la mia ingenuità, impossibilitata a realizzare che non tutto il globo terracqueo fosse ancora in piena estate a settembre inoltrato.

Perché ho voluto riprendere questo ricordo? Innanzitutto perché credo che sia sempre bello rivangare nel passato e ricordarci da dove veniamo, e poi perché mi viene il sorriso sulle labbra nel pensare che da quella serata sono passati vent’anni (mi fa davvero strano scriverlo), e il tempo si è portato via tanta di quella magia con cui vivevo ed ho vissuto questo sport, e non solo la squadra del cuore. Tuttavia un pizzico d’orgoglio nel sapere che a così tanto tempo di distanza, praticamente nello stesso periodo, non solo potrò essere in quelle zone al seguito della Roma, ma anche nel ruolo di cronista, ce l’ho.

Pronti, partenza…via!

Il traffico scorre veloce sull’autostrada per l’aeroporto di Fiumicino. Il mio fedele zaino dell’Invicta mi comprime le ginocchia, come ai tempi delle superiori. In fondo lo spirito che mi fa muovere da un paese all’altro, attraversando città, culture e lingue differenti, è rimasto quello dell’adolescente. E non me ne vergogno a dirlo. Senza di lui sarebbe un’esistenza più piatta di quello che già non è. Seguire il calcio deve essere un sogno, aperto a tutti. Come lo è stato, in ultima battuta, per noi nati sul finire degli anni ottanta.

Andare a Borisov è un qualcosa che mi riempie di curiosità. Agli occhi di noi occidentali, la Bielorussia è vista un po’ come il Vaso di Pandora del continente. Quel paese che non è riuscito a scrollarsi di dosso la tirannia del suo dittatore Lukashenko e dove ogni libertà personale e collettiva è negata dal regime oppressivo e dilaniante del suddetto. Sarà, ma per avere un’opinione in merito credo sia importante tastare con mano la realtà. Perché conoscendo “i miei polli”, so quanto a queste latitudini esistano limitazioni in fatto di libertà basilari e manipolazioni della stampa a seconda delle esigenze.

In aeroporto mi aspetta Mauro, con cui condividerò l’ennesimo viaggio Oltralpe. L’itinerario è semplice: Wizzair fino a Vilnius e treno per Minsk la mattina successiva. Nel mezzo un ostellaccio dove riposare qualche ora. Le due ore e mezza che ci separano dalla capitale lituana passano tutto sommato lisce. Al nostro arrivo non ci aspetta certo un freddo polare, ma una decina di gradi in meno di Roma richiedono comunque un giacchetto e qualche accorgimento.

Nel piazzale antistante l’aeroporto troviamo una soave coppia locale, che ci invita a prendere il taxi per dividere la spesa. Considerato l’orario (mezzanotte) e la mancanza di mezzi pubblici, accettiamo di buon grado, cavandocela con due Euro a testa fino al centro città. In ostello il primo siparietto di questo viaggio: abbiamo prenotato per una sola persona, con l’intento di posare i bagagli e farci la nottata “on the road”. Una volta saggiato il tepore della struttura ci viene però il dubbio che forse qualche ora di sonno si renda necessaria. Peccato che i letti siano terminati. Insomma, tra una cosa e un’altra, alla fine il timido receptionist ci concede il divano della hall, in maniera di dormire entrambi. L’italian style…non fallisce mai!

La mia sveglia suona imperterrita alle 6. Il treno per Minsk lascerà Vilnius alle 8, ma trattandosi di un viaggio “particolare”, è consigliato presentarsi in stazione con un po’ di anticipo. Non senza qualche difficoltà, siamo riusciti a comprare i biglietti online, sull’ottimo sito delle ferrovie Bielorusse, sponsorizzato dalla foto di una ferroviera in stile “hard”, manco fosse la pubblicità di un night club.

Camminiamo abbastanza velocemente attraverso una Vilnius che si è svegliata freneticamente. Sarebbe stato bello visitarla, ma il tempo è tiranno. Come colui che governa la Bielorussia (ma sarà vero?). Ci stiamo per conficcare in un mondo nuovo e pieno di punti interrogativi. Per farvi un’idea pensate solamente che cercando notizie per il web su Minsk e il Paese in generale, dopo Wikipedia, il portale più accreditato è nientepopodimeno che l’esimio www.gnoccatravels.com. C’è chi consiglia di non parlare mai in italiano, chi di non fare foto ai palazzi istituzionali e chi dipinge i bielorussi come burberi senza educazione. Peccato che questi impeccabili consiglieri omettano di raccontare espressamente le loro grandi performance da “latin lover” a pagamento. Motivo per il quale verrebbero visti male ovunque, con tutta probabilità.

Mentre pensiamo a tutto questo, riflettendo se sia davvero il caso di entrare in questo inferno dantesco dalla temperatura rigida, mostriamo i nostri passaporti al gendarme lituano della dogana. Ci controlla i biglietti dei treni e poi ci lascia andare sulla banchina. Un fastidioso vento saluta il nostro addio alla civile e tollerante Unione Europea (sic!), due ferroviere ci parlano in russo, indicandoci posti e carrozza dove salire. Due cose vanno chiarite: sul sito delle Belarus Railways raccontano un sacco di balle, ‘ste due erano tanto gentili quanto stagionate. Poi, non è che abbiamo capito cosa abbiano detto in russo, ma siamo stati bravi ad interpretarne i gesti. Tipo pagina 777 del Televideo insomma.

Orbene, ecco il convoglio sferragliare libero nelle campagne baltiche, per avvicinarsi con passo serrato al confine. La curiosità è che le strade ferrate della Bielorussia sono dotate di uno scartamento differente rispetto al resto d’Europa, vale a dire quello russo. Fatta eccezione per il collegamento con Vilnius. Così facendo non c’è bisogno di cambiare i carrelli e l’unica perdita di tempo è quella del controllo passaporti/visti che avviene subito dopo il confine, quando nella stazione di Hudahaj salgono in maniera silente e ordinata gli uomini della Milizia.

Porgo loro il prezioso visto, ottenuto con vari improperi e tanta, ma tanta, pazienza. Visto cui va aggiunto quello necessario per esercitare la professione giornalistica sul territorio nazionale. Per ottenerlo è necessario inviare un modulo al Ministero degli Affari Esteri bielorusso ed aspettare che la loro decisione venga comunicata al consolato di Roma. Cervellotica e sicuramente selettiva la cosa, però c’è da dire che le risposte sono quasi sempre celeri ed in un inglese perfetto. Gioie e dolori della burocrazia. Suoni inquitanti della censura, probabilmente. Ma ogni contrada, ahinoi, ha i suoi modi per porre le museruole su chi vuol fare informazione.

Dunque, tra una sbirciatina al passaporto e un controllata alla fauna del treno, composta più che altro da pendolari, eccoci finalmente sbarcare a Minsk. Ci accoglie un cielo plumbeo, che man mano si farà più sereno mentre noi siamo severamente impegnati a decifrare strade e indicazioni in cirillico per raggiungere l’ostello. Ci riusciremo solo a tempo debito, alzando i pugni al cielo per un’impresa titanica che segna nettamente il nostro essere, fondamentalmente, dei rincoglioniti cronici visto che la cosa si ripete ciclicamente ogni qual volta ci avviciniamo agli Urali.

Essendo la Bielorussia un’ora avanti rispetto all’Italia, la partita si giocherà alle 21,45. Sede naturale dell’incontro la nuova Borisov Arena. Quasi tutti gli italiani hanno scelto di raggiungerla con transit organizzati dagli alberghi o da tour operator, noi preferiamo il più sfizioso treno, in maniera da passare un’altra ora in balia degli abitanti del posto. Che poi, a dirla tutta, il rapporto con gli autoctoni si rivelerà tutt’altro che conflittuale, smentendo una delle tante nefandezze lette su internet. In fondo l’essere umano è diverso ma uguale. E con le buone maniere e il rispetto della cultura e delle tradizioni altrui, difficilmente si ottiene scortesia o indifferenza.

Rispetto all’Ucraina, dove anche chiedere un’informazione era un’impresa titanica, con signore che fuggivano al solo intendere una parlata terron/inglese, manco fossimo il KGB (a proposito, la Bielorussia resta l’ultimo paese post sovietico ad aver mantenuto questo nome per i servizi segreti), qua tutti sembrano alquanto disponibili e disposti ad aiutare. Inoltre al termine dei quattro giorni di soggiorno, potrò tranquillamente dire che sì, magari il governo di Lukashenko sarà autoritario, ma in fondo la vita non mi è sembrata tanto diversa da quella di noi “privilegiati” europei. Ho visto tanta gente in giro, abbastanza aperta mentalmente e vogliosa di confrontarsi. Ovvio, per un bielorusso lasciare il proprio paese è un qualcosa di difficile, vuoi per il poco valore della propria moneta, vuoi perché ottenere un visto non sia la cosa più semplice di questo mondo.

Ma nel nostro tanto amato Ovest, dietro lo sfrenato consumismo e la vacua certezza di essere i più liberi, belli e saggi, spesso si celano magagne ben peggiori. Facendo un esempio calcistico: io, Simone Meloni, residente a Roma, non posso seguire un Napoli-Roma o un Napoli-Lazio se non con uno strumento di schedatura in tasca (e comunque ormai non basta neanche quello). Se io fossi nato a Minsk, potrei tranquillamente seguire la Dinamo a Borisov piuttosto che a Gomel senza alcuna tessera. Questione di punti di vista.

Ci pavoneggiamo di esportare democrazia infangando posti come la Bielorussia per la scarsa libertà. Ma non è l’Italia quel paese che non primeggia per libertà di stampa e dove se scrivi un articolo scomodo o punti il dito contro la stanza dei bottoni, rischi minacce e rappresaglie? Inoltre, e qui mi vien da ridere, si dice: “Eh ma in Bielorussia non ci sono vere elezioni dal 1994”. Scusate, miei prodi, mi dite chi di voi ha votato gli ultimi Primi Ministri in Italia? Suvvia, diciamo che è un po’ tutto relativo e le cose andrebbero analizzate distaccandosi dalla propria realtà che induce, per forza di cose, a considerare migliore tutto ciò che la compone e la protegge (vedasi esportatori di democrazia con il simbolo del Dollaro) e peggiore o inumano ciò che non gli è congeniale.

Con questo non voglio certo dire di esser arrivato nel posto dove le libertà personali siano ligiamente rispettate, anzi nel racconto di Dinamo Minsk-Rapid Vienna avrò modo di approfondire proprio questo aspetto, ma desidererei indurre al ragionamento attraverso la conoscenza di una cultura e di una storia profondamente diversa dalla nostra, sia come italiani che come europei.

Direzione Barysau

Terminato il primo giretto della capitale bielorussa, tutto sommato accettabile, intorno alle 18 ci dirigiamo finalmente alla stazione armati di zainetti e Rubli. E su questi ultimi ci sarebbe da fare una riflessione. Praticamente non esistono monete di ferro, ma soltanto contanti. Indice di quanto la valuta sia inflazionata. Ci ritroveremo spesso ad avere in mano mazzette di carta straccia equivalenti a poco più di un Euro.

Marciamo verso la banchina dove il nostro treno internazionale Varsavia-San Pietroburgo ci attende. Ironizziamo su chi questo viaggio lo compie per intero ed una volta saliti a bordo capiamo che ci si è organizzati di conseguenza. Torniamo indietro con la mente alle nostre scorribande ucraine, ed a quando viaggiammo da una parte all’altra dell’immenso paese a bordo di simili convogli. Tutti i vagoni sono dotati di letti, coperte, cuscini e tavolini. Come tipico dell’Est, un po’ tutti armeggiano con cibo e vettovaglie sistemate un po’ ovunque. Sembra di essere in un bazar, e la cosa, manco a dirlo, ci piace.

Approfittiamo dell’oretta di viaggio per schiacciare un pisolino, senza prima aver buttato l’occhio su alcune ragazze tanto carine quanto vestite da soubrette Fininvest di fine anni ’80. “Cin-cin cin-cin, diventeremo amici”, ridacchiamo ipotizzando si tratti di un “Colpo grosso”.

Intorno alle 19,30 ecco palesarsi la stazione di Barysau. La sua struttura verdognola ci dà il benvenuto, come gli uomini della Milizia appostati sui binari. Ci guardano senza proferire verbo, mentre noi usciamo nel piazzale per cercare un autobus che ci porti allo stadio. Di girare il piccolo centro posto a 70km da Minsk non abbiamo molta voglia, fondamentalmente non c’è nulla, a parte una chiesa ortodossa che esce ad ogni ricerca su Google. Ed in effetti, al primo sguardo, si capisce che grigiore e mestizia fanno da padrone. Del resto basti pensare che la maggiore attrazione locale viene identificata nella Borisov Arena.

Chiediamo informazioni a un autista, ma con il suo sigarone in bocca mostra di mal sopportarci. Allora entriamo in un tabaccaio e una signora sulla sessantina, ovviamente non parlando una parola di inglese, capisce i nostri primordiali gesti da uomini della pietra, indicandoci la fermata dove passa il bus 10. “Spassiba”, gli diciamo ed in men che non si dica ci posizioniamo in attesa del piccolo Van che con 5.000 Rubli (40 centesimi) ci porta a destinazione in un quarto d’ora.

Scendiamo sotto lo sguardo vigile di una coppia con le sciarpe del Bate. Costoro si disperdono poi nel boschetto di fronte lo stadio, perché e per quale motivo non è dato sapersi. Noi, ovviamente, prendiamo la direzione opposta e dopo pochi metri si apre ai nostri occhi la Borisov Arena. Sicuramente caratteristica vista da fuori, molto piccola (13.000 posti) e costruita a mo’ di astronave.Dallo scorso anno è la casa del Bate, dopo che per mezzo secolo il  club ha disputato le sue gare interne allo stadio Haradzki, dotato di 5.400 posti ma ugualmente omologato per le competizioni europee. Il Bate non è certamente una società che può vantare un passato glorioso nel calcio sovietico. Va detto che il club gialloblu è nato nel 1973 ma è stato rifondato nel 1996, tuttavia da quando esiste la Vysejsaja Liha (il massimo campionato bielorusso), ha saputo conquistare ben 11 volte il titolo nazionale, intaccando di fatto lo strapotere della Dinamo Minsk (quest’ultima era stata in grado di aggiudicarsi persino un campionato dell’Unione Sovietica, che allora comprendeva squadre potenti e titolate come quelle di Mosca o la Dinamo Kiev).

Certo, è inutile nascondere che un impianto del genere ha parzialmente cancellato il fascino degli stadi dell’Est. Quel tipico grigiore sulle gradinate aride, con tifosi imbacuccati che ruotano attorno ad impianti generalmente poco sviluppati e da un fascino retrò a dir poco unico. La Borisov Arena assolve a tutte le richieste della Uefa, oltre a quelle dettate dalla logica del profitto (a proposito, per dice che la Bielorussia è l’ultimo paese comunista in Europa, dal nostro arrivo abbiamo visto Mc Donald’s, insegne della Coca Cola e negozi dai brand internazionali a go-go. Quindi per un momento lasciate perdere ciò che vedete in apparenza, e ragionate sulla sostanza), con palestre, ristoranti e fan shop situati proprio al di sotto delle gradinate.

La gara contro la Roma è ovviamente sentita da queste parti. Il Bate ha avuto il merito di portare il calcio bielorusso per la prima volta in Champions League. Era la stagione 2008/2009, ed in quell’occasione i gialloblu riuscirono persino a strappare un punto alla Juventus, pareggiando per 2-2 dopo esser stati in vantaggio per 2-0. Pertanto, i biglietti sono andati quasi tutti esauriti, mentre nel settore ospiti alloggeranno poco più di 100 supporters italiani, nonostante i 680 biglietti venduti (in tanti, visto il basso costo del tagliando, hanno deciso furbamente di acquistarlo per avere la prelazione nelle gare successive).

Un’ora prima del fischio d’inizio decido di entrare in tribuna stampa. Dopo aver subito la classica perquisizione della polizia locale salgo le scalette che mi portano sulle gradinate. I seggiolini dell’impianto sono multicolor, un po’ come è stato deciso di fare a Udine, ed è possibile girare attorno al perimetro dello stadio liberamente, come avviene in Germania. Mi colpisce invece il divieto di fumo sugli spalti. Per strada e nei locali di tutto il Paese un po’ tutti hanno la sigaretta in bocca, ed il bielorusso medio sembra proprio non poterne fare a meno. Invece qui dentro, a riprova di come un tutti ormai si pieghino alle richieste europeiste e spesso idiote della Uefa, fumare è proibito. Bah!

Sistemo il mio computer sulla postazione ed osservo i seggiolini riempirsi minuto dopo minuto. Alla fine ci sarà quasi il tutto esaurito. La curva del Bate è alla mia sinistra e nella sua parte centrale si annidano gli ultras di casa. Tutti indossano una maglia gialla e questo dà comunque un tocco di colore al settore; da segnalare anche la presenza dei gemellati polacchi del Piast Gliwice. Dirimpetto loro, nel settore ospiti, sono presenti tutte le attuali insegne del tifo romanista e i primi cori, manco a dirlo, sono diretti allo sceriffo Gabrielli, per poi virare all’incitamento della loro squadra impegnata nel riscaldamento.

Una specifica va fatta: la tenuta di gioco con cui la Roma scenderà in campo rientra di diritto nelle prime dieci oscenità viste da me sui campi di gioco. Maglia, pantaloncini e calzettoni totalmente bianchi con effigi e strisce nere griffate Nike. L’annullamento di qualsiasi tradizione esistente dal 1927 ad oggi.

La gara sta per iniziare e la classica musichetta della Champions risuona dagli altoparlanti dello stadio. Gli ultras di casa si raggruppano e seppur in numero minuto riusciranno a fare un discreto tifo per tutti i 90′, aiutati anche da una buona partecipazione dello stadio. Ora, noi possiamo dire quel che vogliamo. Sicuramente in Bielorussia il movimento ultras è un qualcosa di recente e non ramificato come lo era da noi. Intanto c’è da prendere atto di una cosa: nel Paese dipinto come privo di qualsiasi diritto, i tifosi possono introdurre striscioni, tamburi e megafoni senza alcun problema. Poi non mi aspettavo che anche il pubblico normale spesso partecipasse ai cori della curva, seppur in maniera primordiale, ma comunque rumorosa.

I padroni di casa mostrano due coreografie durante la gara e tre belle esultanze ad ogni gol. Per me sono promossi a pieni voti, da noi sarebbero perfetti per una Lega Pro o una Serie D. Su fronte ospiti la prestazione è a luci alterne. Primi venti minuti abbastanza buoni, con belle manate e cori tenuti abbastanza a lungo. Dopodiché, con il tracollo dei giallorossi che subiscono tre reti in trenta minuti, il settore ospiti si ammutolisce riprendendosi di tanto in tanto per invitare la squadra a tirar fuori gli attributi.

Inutile dire che il pubblico di casa è a dir poco galvanizzato sul 3-0. Un momento storico per il calcio bielorusso che non viene scalfito neanche dalle due reti giallorosse nella ripresa e dalla traversa di Florenzi che per poco non pareggia i conti allo scadere. Vince il Bate, meritatamente, e per i supporters gialloblu è festa grande che fa da contraltare all’umiliazione di quelli italiani, ancora increduli di aver perso nettamente contro una compagine che occupa attualmente il sessantaduesimo posto nel Ranking Uefa.

Freddo e stanchezza, così finisce il mio esordio bielorusso

Osservo gli ultimi ringraziamenti della curva di casa ai propri idoli e poi mi avvio anche io verso l’uscita. Il freddo ora è calato sovente su Borisov: il termometro segna infatti 5 gradi, resi ancor più pungenti da un breve sgrullone che ha preceduto l’incontro. La mia prima tappa alla Borisov Arena sta per terminare, vi farò ritorno due giorni dopo per Dinamo Minsk-Rapid Vienna. La stanchezza ed il sonno cominciano a prendere possesso di me, e non mi rimane che recuperare Mauro per poi avviarci silenziosamente verso il ritorno a Minsk.

Il primo giorno di Bielorussia in fondo è stato intenso, e ci ha fornito delle indicazioni basilari: non siamo sbarcati in un universo intriso di cattiveria e malvagità d’animo, possiamo sopravvivere altri tre giorni. Abbiamo avuto l’onore di assistere a un momento storico per il calcio nazionale; almeno la figura del romano egoista e presuntuoso per stasera è andata a farsi benedire grazie a dell’ottima beneficenza.

Ah, infine. Vi starete chiedendo come sia finita la cavalcata della Roma nella Coppa Uefa 96/97. Ovviamente al turno successivo, vale a dire i sedicesimi. Malamente estromessa dal Karlsrhue, vittorioso per 3-0 in terra tedesca ed inutilmente battuto per 2-1 all’Olimpico. Ci ripenso mentre il pullman arranca nel traffico dell’unica strada che unisce Borisov alla capitale, una sorta di Pontina adibita ad autostrada. Ma invece di arrivare a Latina verremo scaricati a venti minuti dal nostro ostello, che raggiungeremo con una simpatica camminata. In fondo anche questa è andata, e l’ho potuta raccontare!

Simone Meloni