Il matto che non ti aspetti. Quello che dopo due giorni a Monaco di Baviera torna a casa alle 11 di mattina, si fa una doccia, pranza e poi riparte alla volta di Firenze. Certo, voi non ve lo aspettate. Ma per lui è tutto normale. Che poi quel lui sarei io. E con questa introduzione da “culto della personalità” possiamo iniziare il racconto della serata.

Tutto è curato nei minimi dettagli. Il treno prenotato in anticipo, gli orari per avere il tempo di rilassarsi qualche ora a casa e la nottata da passare a casa di un vecchio amico attualmente di stanza nel capoluogo toscano. L’unico dispiacere è il veder svanire, proprio all’ultimo, il ritorno a Roma con l’amico Emilio, noto scribacchino di queste pagine. Ma non tutte le ciambelle vengono con il buco.

Il mio Intercity lascia Roma alle 17. Scopro all’ultimo  il mio biglietto acquistato a 9 Euro è addirittura di prima classe. Un comfort che davvero poche volte nella vita mi sono concesso. Vuoi perché la divisione in classi non fa per me, vuoi perché di soldi a Trenitalia in vita mia ne ho dati davvero pochi. Ma stavolta si va. Che poi non è che cambi molto. A parte i colori dei sedili, grigi anziché blu.

Ciò che non cambia è il ritardo, quello sì vero marchio di fabbrica delle ferrovie italiane. Questa sera il margine che ho a disposizione è davvero minimo, arrivando alla stazione di Rifredi ho infatti il cambio, dopo soli 10 minuti, con un Regionale che mi lascerà a Campo di Marte. Riesco ad effettuarlo davvero per il rotto della cuffia, dandomi appuntamento con il mio amico direttamente all’interno del convoglio.

Scesi a Campo di Marte già si intuiscono le luci del Franchi. Ognuno può pensarla come vuole, sicuramente non è uno stadio modello. Ma a me piace. E’ vecchio, vissuto, fatiscente. Ma ricco di storia. Se i suoi spalti e le sue mura potessero parlare troppe ne avrebbero da raccontare. Il caso curioso è quello di trovarsi al momento giusto nel posto giusto, oppure al posto sbagliato nel momento sbagliato. Dipende dai punti di vista. Mentre percorriamo il viale che porta allo stadio infatti ci accorgiamo che qualche pullman con a bordo i tifosi greci è stato erroneamente fatto passare dietro la Curva Ferrovia. Evidentemente questo non è piaciuto ai padroni di casa. Così per qualche minuto la zona si illumina di torce volanti ed anche noi siamo costretti ad arretrare per non trovarci nella bagarre.

Una volta ristabilita la situazione possiamo raggiungere le entrate. Le nostre strade si separano. Io ritiro l’accredito ed entro in tribuna stampa. Non c’è molto tempo per sistemarsi, manca giusto un quarto d’ora al fischio d’inizio. Proprio di fronte a me ho il muro bianconero dei supporters ellenici. Sui giornali si parlava di un migliaio, in realtà penso che raggiungano tranquillamente le 2.500 unità.

Alla mia sinistra la Fiesole invece stenta a riempirsi ed alla fine lo zoccolo duro in piedi a fare il tifo sarà quantificabile attorno alle 200 persone. Non me ne voglia nessuno, ma è una cifra davvero bassa per una città come Firenze. Certo, c’è sempre da tener conto di tutte le attenuanti del caso, come il turno infrasettimanale, i biglietti che rappresentano una spesa non secondaria ed il clima che stasera non è per nulla benevolo. Ma una quindicina di anni fa sarebbe stato impensabile vedere curve mezze vuote in sfide come queste, che sono il vero fiore all’occhiello del duello ultras.

La partita inizia e l’impatto con gli ultras del Paok inizialmente è traumatico. Battimani stupendi ed una potenza nei cori davvero da brividi. Tuttavia devo ammetterlo, nel computo generale della serata mi aspettavo di più da loro. Una buonissima tifoseria, sia chiaro, soprattutto se confrontata alla maggior parte delle nostre curve attuali, però mancano di quella costanza e quel mordente con cui generalmente identifichiamo le curve di quella data area geografica.

A volte a fare il tifo rimangono solamente i 2-300 ragazzi che, come ben visibile ad occhio nudo, fanno parte del gruppo portante. Un peccato, perché quelle volte in cui tutto il settore si accende è da orgasmo. Da segnalare la numerosa presenza di bandiere serbe ed i petti nudi che da un certo punto del match animano il settore, anche quando comincia a cadere copiosa la pioggia.La curiosità poi è di vedere diverse decine di tifosi bianconeri proprio sotto la tribuna stampa, a pochi passi da me. Armati di bandiere e sciarpe seguono i cori del settore ospiti suscitando l’ilarità di giornalisti e tifosi appostati a pochi passi da loro.

Uno dei momenti clou della serata, senza dubbio, è l’esultanza al vantaggio ospite. Martens porta in vantaggio il Paok ed il settore ospiti viene letteralmente giù. I minuti che seguiranno sono da immortalare non dieci, ma cento volte.

E i viola? Beh, il loro compito lo fanno. Sciarpe, bandiere, voce, mani e qualche torcia qua e là. Su questo non gli si può davvero imputare nulla. E’ l’aspetto numerico, come detto in precedenza, a lasciarmi perplesso. Ripenso a quelle foto dell’anno in cui i toscani giocarono in C2. Partite fondamentalmente insulse, eppure il Franchi faceva spesso registrare cifre da capogiro con una curva perennemente sold out. E’ un discorso applicabile un po’ a tutte le grandi realtà nostrane. Purtroppo abbiamo perso tanto del nostro attaccamento allo sport ed alla curva. C’è poco da fare. Ci si augura solamente che tutto ciò faccia parte di una ruota pronta a girare nuovamente a nostro favore. Di certo se nessuno si decide a toccarla rimarrà ferma.

In campo Gomez sbaglia tutto il possibile ed alla fine sono gli ellenici a trovare il vantaggio per l’euforia, come detto, dei 2.500 bianconeri. Ma per la Fiorentina sarebbe una punizione davvero esagerata, così ci pensa Pasqual a rimettere le cose a posto. Il suo tiro da fermo muore sotto il sette e regala ai suoi la certezza della qualificazione suscitando l’ovvia delusione degli ospiti che, a tre minuti dal termine, pregustavano uno storico successo.

Finisce con gli applausi di ambo le tifoserie e la pioggia che scroscia beata ed incurante di persone, come me, che devono uscire e cercare di ripararsi. Il bilancio finale è certamente positivo, anche se manca quel qualcosa in più per definirlo perfetto. Forse mi ero fatto troppe aspettative, o forse sono caduto vittima di quell’immaginario in cui ormai navighiamo e secondo il quale tutto ciò che viene da fuori è perfetto. Questi di Salonicco erano certamente belli, lo specifico onde evitare fraintendimenti, ma in vita mia posso dire di aver visto anche di meglio. Ad essere onesti.

Simone Meloni