I nuvoloni neri che cingono l’agro nocerino non promettono nulla di buono. Man mano che la strada si avvicina al perimetro del Torre qualche goccia si disperde sull’asfalto andando a rimpinguare le pozzanghere che ricordano le forti e continue piogge cadute su questa zona in settimana.

Paganese-Bari è senza dubbio una delle sfide più interessanti di giornata per quanto riguarda gli spalti. Di fronte ci sono due realtà motivate, in salute e pronte a fronteggiarsi senza risparmiar colpi. In terra di Puglia sono stati staccati 480 biglietti, mentre su fronte casalingo come sempre a recitare il ruolo di primi della classe sono gli ultras, con lo zoccolo duro che entrerà a partita iniziata posizionandosi al centro della Nord.

Volendo indirizzare una critica ai paganesi, infatti, non mi posso soffermare sul tifo organizzato ma sul pubblico normale che, come spesso è accaduto in questi anni, sembra avere più di una difficoltà nel seguire in massa la squadra cittadina. Certo, va detto che quest’anno in più di un’occasione il Torre è tornato a riempirsi come ai bei tempi e il maltempo degli ultimi giorni non ha favorito l’affluenza in questa domenica. Tuttavia anche qui ormai si paga salato il conto della disaffezione nei confronti del calcio, delle sue cervellotiche regole per entrare sulle gradinate e della sua ormai scarsa credibilità.

Con la solita meticolosità che ormai contraddistingue l’ordine pubblico all’italiana, i baresi vengono fatti entrare a partita iniziata scambiando subito qualche sfottò con la vicina tribuna. Questo sarà l’unico momento di “attrito” considerando che per tutti i 90′ le due fazioni – almeno a livello di tifo organizzato – si ignoreranno completamente.

Ordunque con il suggestivo scenario dei Monti Lattari a vegliare sullo stadio, azzurrostellati e biancorossi possono ora affrontarsi a viso aperto, regalando più di qualche osservazione. Se si pensa che qualche centinaio di chilometri più a Nord la gara tra Rieti e Reggina è stata vinta a tavolino dai calabresi a causa dei problemi societari dei sabini, match come questi vanno presi come un isolato toccasana rispetto a un mondo ormai tumefatto e morente.

Il terreno di gioco si riduce ben presto in un campo di patate, con zolle che saltano e giocatori che impregnano le proprie maglie di fango. La pioggia, che nel secondo tempo si fa più battente, finisce l’opera non sembrando però intaccare le due tifoserie a cui va tutto il mio plauso: dopo diverso tempo ho finalmente visto tifare sotto l’acqua facendo a meno degli ombrelli e fregandosene di eventuali polmoniti postume. Considerato che anche gli ultras ormai sono spesso divenuti delle soffici e delicate statuette di porcellana, questo non può che farmi piacere.

Se in campo, per ovvie ragioni, la partita è rude e maschia, sugli spalti lo spettacolo ripaga il viaggio e l’acqua che malgrado gli ombrelli filtra bellamente. Su paganesi e baresi mi sono ampiamente espresso in questi anni e penso che a livello di tifa siano quasi inappuntabili. I galletti hanno ben assorbito la caduta verticale dalla Serie B e mostrano orgogliosamente il loro tifo, identificabile in quei vecchi striscioni un tempo appesi al San Nicola: stampo italiano.

Comunque, nessuno me ne voglia, chi mi sorprende sempre sono i ragazzi di Pagani. La loro scelta di ricompattarsi in curva è stata a dir poco azzeccata e negli ultimi anni li ha portato a una vertiginosa ripresa. Belli da vedere, compatti, massicci, sempre costanti nel tifo e con quel tocco di originalità che non guasta in un mondo ultras che ormai si è fatto omologato in quasi tutte le sue sfaccettature.

In campo alla fine è il Bari a spuntarla grazie al gol di un vecchio rapace dell’area di rigore come Mirco Antenucci. Al triplice fischio ci sono gli applausi su ambo i fronti, per due squadre che hanno messo il cuore sul fangoso manto del Torre, deliziando i propri aficionados più nell’agonismo che nella tecnica.

Per il sottoscritto c’è giusto il tempo di sporcarsi un altro po’ scarpe e indumenti prima di risalire in macchina e marciare a rilento – sotto il diluvio universale dell’autostrada – verso casa. Malgrado tutto vale ancora la pena macinare qualche chilometro e puntare i propri obiettivi verso le curve.

Simone Meloni