Dopo l’ultimo match giocato nella stagione 1996/1997 in Serie A, per vent’anni il Derby dell’Enza non si è più giocato, tornando a disputarsi per la prima volta da allora nel Campionato di Lega Pro 2016-2017. Dopo sei anni rieccolo di nuovo in questa quarta giornata del campionato di serie B. Un derby vero, ruspante e sentitissimo, al punto da superare la scarsa frequenza di confronti diretti a loro volta figli delle alterne fortune delle due compagini. Non servono e non bastano contingenze come i valori in campo o la categoria, l’unico valore aggiunto che rende un derby speciale è in tutto il suo portato di storia, tradizione e campanilismo. Cioè esattamente tutto quello che stanno dall’alto tentando di eradicare, cavalcando l’isteria della “discriminazione territoriale” per sterilizzare in toto lo stadio e renderlo rassicurante quanto vendibile anche alla classe media.

L’appellativo Derby dell’Enza lo si deve al fiume Enza che separa le due province, talvolta menzionato anche come  derby del Parmigiano Reggiano, trascinando sul rettangolo verde la disputa sulla paternità del famoso formaggio che le due città si contendono da anni, a riprova che il calcio non è altro che la cassa di risonanza di rivalità secolari che l’evento sportivo amplifica forse, ma di certo non ha inventato.

La settimana che ha preceduto il match è stata contraddistinta dalla solita spasmodica attesa, ma soprattutto dall’ormai grottesca gestione dei biglietti per il settore ospiti: primo slot 1.200 ma poi per gentile concessione elevati a 1.500, che sono comunque risultati pochi viste le richieste. Da ormai qualche anno a questa parte, davanti a limitazioni di tagliandi, gli ultras, al motto “O tutti o nessuno”, hanno per lo più reagito disertando la trasferta, colpendo sì nelle tasche il sistema calcio, ma rendendo da certi punti di vista più facile la sua gestione dell’ordine pubblico e indirettamente offrendogli un guadagno indiretto.

Nell’ambito dell’analisi delle politiche pubbliche, la tecnica di gestione adottata può essere ricondotta ai cosiddetti gruppi sperimentali; i policy maker infatti, davanti ad un problema, avviano talvolta progetti sperimentali scegliendo due gruppi: su uno, definito gruppo sperimentale, applicano la misura prescelta, sul secondo, definito, gruppo di controllo, invece non esercitano alcuna misura. All’esito dell’esperimento, tramite un’analisi causa-effetto, vengono tratte le conclusioni che, se soddisfacenti, diventano vere e proprie ricette.

Nell’ambito specifico del problema ordine pubblico, la teoria del gruppo sperimentale potrebbe essere letta intesa in tal senso:

  • Problema: gestione dell’ordine pubblico nei match di cartello;
  • gruppo sperimentale: composto da tutte quelle tifoserie sottoposte a limitazioni di tagliandi per partite di cartello;
  • Gruppo di controllo: sono tutte quelle curve che invece non hanno subito limitazioni nei match di cartello;
  • Misura sperimentale: limitazioni dei biglietti per partite di cartello.

Da questi esperimenti si evince che basta ridurre il numero dei tagliandi per eliminare il problema dell’ordine pubblico, ignorando però (volutamente o meno) che il problema è stato risolto non grazie alla misura adottata in sé ma grazie alla diserzione operata dagli ultras. L’esperimento è poi però diventato regola: non è necessario chiudere i settori ospiti passando per illiberali, basta limitare la vendita, anche ridurre di poche centinaia di biglietti, ciò che conta è offrire agli ultras la sensazione (comunque legittima e reale) che qualcuno resterà a casa a causa dei biglietti contingentanti.

I reggiani, contrariamente a quanto fatto da altre curve/gruppi sperimentali, hanno preferito “accontentarsi” e vivere la partita della vita a modo loro. Pur in spazi sempre minori, con regole sempre più stringenti, pene sempre più sproporzionate in relazione ai reati, ma imponendo una loro posizione uguale e contraria alla spinta normante. Forse anche perché avranno considerato “quei tutti” non come parte di un sé da tutelare ma come tifosi del grande evento che poi magari nei momenti bui preferiscono defilarsi. Insomma, 1.500 biglietti non saranno tanti o sufficienti per assecondare la voglia dei tifosi reggiani tutti, ma saranno stati ritenuti sufficienti per gli ultras o coloro che, in genere, non hanno mai abbandonato il proprio posto sui gradoni.

È questa la contromossa giusta per arginare questa odiosa pratica delle limitazioni solo per il gusto di porre un limite? Di innescare maliziosamente una diserzione? Probabilmente no ma si genera un “errore di sistema” che, esattamente come accaduto con la tessera del tifoso quando nolente sottoscritta da tantissimi gruppi ultras, potrebbe se non portare al blocco del sistema stesso, quanto meno a ripensarlo. Anche se poi il più delle volte, ahinoi, ciò non conduce mai ad una gestione più oculata e a misura di tifoso dell’ordine pubblico, ma solo a nuove e più bislacche trovate per demoralizzarli.

Allo stadio si contano dunque 16.307 spettatori, con presenza importante di tifosi ospiti. Quando le squadre scendono in campo, lo stadio intero si colora di bandierine gialloblù, una coreografia semplice dovuta anche alla scarsa disponibilità di tempo intercorso tra sorteggio dei calendari e questa gara. Buono comunque l’impatto, anche se lo spettacolo è tale solo a metà: i reggiani infatti, nonostante la prossimità tra le due città, non sono ancora arrivati e come per la gestione dei biglietti, anche per quanto riguarda l’afflusso e deflusso dei tifosi assistiamo al solito triste copione, con gli ospiti che vengono fatti arrivare a partita ormai iniziata. Al loro ingresso l’atmosfera del Tardini si accende ancora di più e lo spettacolo che ne viene fuori è di alto livello, molto retrò nella sostanza. Il lancio in campo di svariate torce che ne consegue, vede protagoniste entrambe le parti e in certi frangenti – su versante ospite – diviene una sorta di “fallo tattico” per costringe l’arbitro a sospendere la partita, cosa che permette di spezzettare il gioco a vantaggio della propria squadra meno attrezzata tecnicamente.

Nelle settimane precedenti il derby inoltre, per rinfocolare l’attesa, i tifosi di casa avevano fatto stampare delle sciarpe – ovviamente andate a ruba – con la scritta “Dio stramaledica la Reggiana”, una sorta di rievocazione storica di un vecchio derby del 1983/84. L’eco dell’iniziativa rimbalzata attraverso il web ha spinto i tifosi ospiti ad esporre, nel corso della partita, lo striscione con la stessa frase della sciarpa. Secondo uno schema consolidato, attraverso la rivendicazione orgogliosa di un aggettivo che dovrebbe deprecarli, i tifosi si smarcano e in un certo senso si riabilitano. Risalendo alla notte dei tempi, non è tanto diverso da quanto fecero i pionieri del movimento con il termine madre “ultras”, usato dai giornalisti dell’epoca per stigmatizzare il tifo organizzato e dallo stesso fatto proprio come un punto di vanto.

Sempre da parte reggiana, un altro striscione riprende la querelle della ormai storica pezza del coniglio con la sciarpa gialloblù, rispondendo a distanza di tempo ad uno striscione parmense esposto l’ultima volta a Reggio. Al di là di questo, paradossalmente ci sono stati molti meno sfottò rispetto a quell’occasione, con le due tifoserie più concentrate a sostenere le rispettive squadre. Dal punto di vista del tifo vocale, il livello è stato ben al di sopra degli standard così come un evento del generebbe richiederebbe. Una sfida davvero bellissima, senza sosta. Nonostante il numero bloccato per le note ragioni di cui sopra, i reggiani sembravano molti di più per il tifo accanito che hanno offerto. Non gli si può che riconoscere tutti i meriti per aver onorato fino in fondo la rivalità. Al netto delle chiacchiere da social, il più delle volte mosse da chi all’interno del settore opposto farebbe oggettivamente fatica a percepire il tifo avversario, anche i parmigiani hanno offerto una prova di alto livello, degno di un derby e quando la Nord partiva con la voce, si sentiva eccome. E molto al di sopra dei picchi offerti contro Salò e Cittadella, che a loro volta avevano mostrato una forte crescita della tifoseria dopo una passata stagione in cui, playoff esclusi, era invece parsa in sofferenza.

Sul campo invece, i padroni di casa che alla vigilia godevano dei favori del pronostico, sono stati costretti a 90 minuti molto combattuti che si sono poi chiusi a reti inviolate, rinviando al match di ritorno ogni discorso sulla supremazia di campanile.

Foto di Giovanni Padovani