Premessa: in questo articolo peccherò di parzialità. E ne vado anche fiero. Sì, perché non ho mai nascosto tutta la mia poca simpatia per club, personaggi e tifoserie figlie e parenti di quel calcio che taluni vorrebbero completamente nelle mani di freddi affaristi (cosa che poi in gran parte già avviene, non giriamoci attorno), senza alcun seguito organizzato e passionale e in ogni caso ben visti dai media e dai più classici centri del potere calcistico.

La Red Bull è senza dubbio la regina di questo prototipo, con le sue squadre satellite disseminate in varie zone del mondo e le sue inquietanti storie di “stupro” nei confronti di club blasonati, ad appannaggio di marionette biancorosse con i due tori sulla casacca e un pubblico totalmente rimbambito dalla propaganda di questa multinazionale, che ha sede proprio a Salisburgo. E che nella città di Mozart ha scritto una delle pagine più macabre della propria storia, acquisendo nel 2005 la tradizionale squadra cittadina dell’Austria Salzburg, fondata nel 1933, cambiandole i colori e il nome e appropriandosi di tutti i trofei vinti sino ad allora. Il tutto con una naturalezza incredibile, supportata da atteggiamenti presuntuosi e vergognosi, come il lasciare migliaia di occhiali viola sulle gradinate della curva salisburghese in risposta alla protesta inscenata dagli ultras. “Se volete vedere la squadra con i vostri colori, metteteveli!” recitava un volantino quel giorno. L’ultimo in cui il tifo organizzato viola mise piede in quella che era stata per decenni la sua casa.

La storia successiva la sanno in tanti (anche se non in troppi), con questi ultimi caparbi e ammirevoli nel rifondare il proprio club e ripartire dai bassifondi del calcio austriaco. Loro, forse tra i più tenaci e strenui oppositori del modello Red Bull e dei suoi derivati. Capaci di dimostrare come non sia possibile acquisire sentimenti e tradizioni e come, invece, il ruolo dei tifosi e degli ultras sia fondamentale affinché il primo arrivato non abbia strada libera per fare tabula rasa di chi fra le mura cittadine ha fatto rotolare il pallone per oltre settant’anni. Certo, i ragazzi degli Union Ultrà (di cui quest’anno ho avuto l’onore di seguire una trasferta a Graz e la celebrazione del gemellaggio con il Gruppo Erotico del Barletta) hanno avuto immani difficoltà, hanno raggiunto la Serie B austriaca ma poi sono stati costretti ad auto-retrocedersi per far fronte ai debiti. Ma sono sempre là, certi che prima o poi riporteranno il colore viola nel gotha del calcio nazionale, mentre il loro nome è già leggenda e la loro squadra resta l’unica, vera, rappresentante di Salisburgo. Malgrado gli innumerevoli trofei vinti dalla Red Bull. Malgrado gli ottimi cammini europei di quest’ultima.

E allora oggi lasciatemi dire che qualunque squadra italiana ci fosse stata (anzi no, mi correggo, tutte tranne una, per certi versi sorella dei Tori Rossi) non avrei potuto non gioire nel vedere il risultato dell’andata ribaltato e questo triste prodotto in lattina rispedito a casa. Ovviamente “con le aaaali”!

Perché se la Red Bull resta l’esempio più lampante di quanto il calcio contemporaneo sia pronto a fagocitare tutto quello che sin da piccoli ci ha affascinato e ci ha indotto a seguire prima lo sport e poi il suo contorno popolare, di “alunni” pronti a replicare l’insegnamento del “maestro” ne è pieno il mondo. E bisogna sempre diffidare da chi arriva in una piazza millantando sicurezza economica, spese folli e vittorie subitanee barattando però un qualcosa. Che sia una tonalità da apporre sulla maglia o che sia – come spesso avviene – il cambio di uno stemma. E a Roma ne sappiamo qualcosa (posto che in cambio non sono arrivate neanche vittorie, sic!). Credo che nel calcio occorra assolutamente rimanere conservatori e tradizionalisti quando si parla di determinate credenziali. È inaccettabile ammainare un qualsiasi tipo di bandiera anche solo per la certezza di una partita vinta (sia anche un derby).

Di fatto mi si permetta di dire che il concetto tanto abusato di “calcio popolare” si è manifestato alla grande questa sera di fronte agli occhi del migliaio di “tifosi” del brand beverage (contenti loro, contenti tutti!). Sessantamila persone di ogni estrazione sociale ed età. Ultras, tifosi occasionali, tifosi storici delle tribune. Tutti a sostegno della loro tradizione calcistica e dei colori con cui sono cresciuti. Tinte giallo ocra e rosso pompeiano spesso trasmesse dai padri, dai nonni e dagli zii. Che di certo non si sarebbero mai sognati di indurre il sangue del loro sangue a tifare, che so, la Chinotto Neri Roma (esistita veramente, arrivò a giocare in Serie C presso il Motovelodromo Appio, primo campo in assoluto dell’AS Roma, peraltro). Quando si parla di passione popolare si deve guardare a ciò, a tutto quello che ci può esser di fronte a queste creature ibride, impostori e assetate di tifosi 3.0. Che non hanno amor proprio, oltre a quello per il proprio luogo di nascita!

Per la cronaca sportiva: Belotti e Dybala annullano la gara d’andata, che aveva visto i dirimpettai vincere per 1-0. Un successo che regala una serata di giubilo allo stadio Olimpico e ridimensiona una Red Bull stasera piccola, piccola. In lattina, per l’appunto!

Simone Meloni