Avellino e Potenza tornano ad affrontarsi dopo quasi trent’anni. L’ultimo incrocio tra campani e lucani risale infatti alla stagione 1993/1994. Le due tifoserie si ritrovano di fronte con situazioni ben diverse: entusiasmo a mille su sponda potentina in virtù di un campionato che ha sinora designato i rossoblu tra le prime della classe; rabbia, delusione e disincanto tra gli irpini a causa degli arcinoti problemi societari che stanno trasformando questo campionato in un vero e proprio calvario e di alcune diffide piovute sul direttivo della Sud in seguito alla gara con il Catania.

Proprio il direttivo in settimana ha annunciato il proprio scioglimento, sottolineando però che il sostegno ai lupi rimarrà incondizionato.

Il Partenio registra le consuete 5.000 presenze (di cui 450 provenienti dalla Basilicata) con una Sud quest’oggi spoglia di ogni colore. Il cuore del tifo avellinese comincia a farsi sentire dopo i primi dieci minuti di sciopero e i primi cori sono tutti contro la repressione e all’indirizzo delle forze dell’ordine.

Uno stadio senza colori – almeno in parte – mi fa sempre l’effetto di un tempio vuoto. Spoglio. Sconsacrato. Ma questo è uno scenario a cui ormai negli ultimi anni siamo stati spesso abituati a causa di una bieca caccia alle streghe, che in un impetuoso crescendo ha imposto divieti e limitazioni anche ai più elementari strumenti di tifo.

Tuttavia vorrei prendere questo caso di fattispecie per rivolgere una velata critica al movimento ultras, nella speranza che non venga travisata e non rappresenti un’offesa a qualcosa e qualcuno. Nell’anno domini 2019 un po’ tutti conosciamo il tipo di legislazione che vige attorno agli stadi. E soprattutto ne conosciamo l’aspetto intransigente, puntuale, sovente esagerato, che la caratterizza. Di conseguenza non penso di affermare una fesseria sostenendo che siamo ampiamente coscienti di come oggigiorno un’azione produca un determinato effetto.

Sproporzionato? A volte sì. Ingiusto? In molte occasioni assolutamente. Ma tralasciando il giudizio di merito, conosciamo le regole del gioco. Mi chiedo e vi chiedo: è corretto e credibile oggi reagire alla stessa maniera sia quando l’autorità giudiziaria reprime un comportamento che in effetti trasgredisce la legge vigente e potenzialmente si configura pericoloso e quando invece si subisce una repressione, un Daspo o una denuncia ingiustificata, prepotente e senza alcune fondamenta?

Posto che ogni curva ha un suo modo di intendere lo stadio e conosce la propria realtà cittadina io credo che in tante occasioni si regalino letteralmente diffide per “dimostrare” di averci provato. E alla lunga questo è un comportamento controproducente per i gruppi stessi che si ritrovano decimati senza neanche aver portato a termine un’azione vera e propria. Sia chiaro: non voglio entrare nel merito della giustezza o meno di cercare lo scontro ai giorni nostri. Questo è nel DNA del movimento e ognuno la può vedere come meglio crede. Ma ci sono occasioni in cui non si dovrebbe poi piangere sul latte versato. Proprio perché questo latte lo si è versato coscientemente.

Per me l’acquisizione di una credibilità sta anche in questo. Far sentire la propria voce quando si è nella ragione e quando veramente si subisce un torto. In altri casi basta pensare che l’Italia è ormai uno dei Paesi con le pene più severe al mondo in materia di stadio. Pene che peraltro sono spesso attuate e regolamentate da Questori o Prefetti che sui tifosi vogliono costruire le proprie carriere e lucrare intellettualmente. A buon intenditor poche parole!

Chiudo con un piccolo commento sul tifo: i lucani si presentano in buon numero offrendo una prestazione sicuramente buona ma che – sia in virtù dei numeri che della vittoria – avrebbe potuto essere migliore. Almeno dal punto di vista dell’intensità. Su fronte avellinese folto utilizzo della pirotecnica e buona prova canora soprattutto nel secondo tempo quando decidono di raggrupparsi nell’anello inferiore.

Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni, Pierpaolo Sacco
e Davide Gallo

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