Poco più di 70 km separano Verona e Brescia e se proprio non si vuol annoverare il match tra le due squadre fra i cosiddetti “derby”, di sicuro i pessimi rapporti fra le due tifoserie la rendono una delle partite a più alto tasso di adrenalina dello Stivale. Da sempre, quando gialloblu e biancazzurri si incontrano, non mancano le tensioni fra le parti e già da lungo tempo nella contesa, è subentrato anche quel “terzo blocco” costituito dalle forze dell’ordine che non sempre riesce a stemperare le tensioni come dovrebbe, finendo non di rado per alimentare. Tristemente noto in tal senso, l’epilogo di Hellas-Brescia del 24 settembre 2005, allorquando una brutale carica della Celere lasciò esanime l’ultras bresciano Paolo Scaroni, che dopo un lungo coma riuscì fortunatamente a riveder la luce ma rimanendo irrimediabilmente invalidato senza che mai nessuno abbia pagato per questo.

Anche per questa sfida, molto importante in chiave salvezza, ingente è la presenza delle forze dell’ordine, a presidiare stradi e punti nevralgici in direzione dello stadio. Poco più di 16.000 gli spettatori, nella curva di casa tante le bandiere e le pezze presenti fra le quali, al centro del settore, spicca il rosso dei triestini con la pezza “Curva Furlan”. Molto acceso per tutto l’incontro il tifo canoro che si conclude con un vero e proprio boato per i tre punti d’oro in ottica salvezza che il Verona riesce ad incamerare.

Da Brescia invece giungono poco più di 1.600 tifosi, con il settore loro dedicato che appare stracolmo. Al centro dello stesso, fa sfoggio di sé lo striscione “Curva Nord Brescia”, affiancato da una pezza degli amici di Norimberga. Data l’imposizione della tessera del tifoso per l’acquisto dei biglietti del settore ospiti, alla faccia del Protocollo del 4 agosto secondo il quale la tessera doveva essere abolita, risultano assenti i ragazzi del gruppo “Brescia 1911”, da sempre contrari a qualsiasi forma di fidelizzazione.

Ma più di ogni altra cosa, a caratterizzare questo match e attirare le luci dei riflettori mediatici per diversi giorni a seguire, è stato l’episodio che al minuto 9 del secondo tempo ha coinvolto l’attaccante del Brescia Mario Balotelli che ha scagliato la palla verso la curva del Verona per reazione ad alcuni cori razzisti nei suoi confronti.

Lo stesso Balotelli, come riportato ieri sulla Gazzetta dello Sport, ha dichiarato che a fare i cori sono stati in pochi, ma che lui li ha comunque sentiti. Tanto che solo uno dei tre commissari della Lega ha annotato il fatto. Interessanti gli spunti in merito di un sito legato alla tifoseria veronese che tira in ballo il “Quadrante di Cipolla”, schema con cui il celebre economista ha spiegato come qualsiasi azione possa produrre svantaggi per sé o per gli altri, al contempo qualificando e dividendo i suoi autori in sprovveduti, intelligenti, stupidi e banditi. Nel caso specifico, un gesto di stizza come quello di Balotelli potrebbe essere quello di un furbo che vuol sviare l’attenzione dal fatto che, con lui in campo, in 7 partite il Brescia ha incamerato 1 solo punto. Infine vi sono gli stupidi, che fanno danno sia a loro che agli altri e qui si aprirebbe un lungo elenco di chi ha addebitato a un’intera città questi cori da stadio fatti da quella che, pur per lo stesso Balotelli, non era certo la totalità della curva. Non che questo sia più o meno grave, sono le colpe invece che dovrebbero essere individuali e non collettive, perché questo in automatico le svilisce, perché se tutti sono colpevoli alla fine nessuno è colpevole. E qui, se volete la mia, si apre una parentesi necessaria, ovvero la contestualizzazione dei fatti e della conseguente opinione di chi per mestiere scrive su organi di stampa. Verona ha un sindaco non di centro-destra, ma di destra. Non da oggi ma da anni. Il legame tra ciò che avviene in ambito stadio e la vita politica cittadina non appare quindi così campato per aria, ma proprio in ragione di questo, i cori avrebbero dovuto essere stati fatti da migliaia di persone e risultare perentori ed inequivocabili.

Nella questione si è inserito il sindaco Sboarina, a «fermare la gogna mediatica su una tifoseria ed una città», frase che suona estremamente garantista da un punto di vista politico ma che, per chi mastica calcio distante da divano e gruppi whatsapp, ha anche il retrogusto di gradoni in cemento e identitarismo. O almeno il sottoscritto ha sempre avuto questa visione delle cose, dei simboli di dove si è nati, dei colori sociali legati al team cittadino. I punti chiave tirati in ballo sono due: la differenza tra suolo natio e patria, Heimat contro Vaterland in tedesco, lingua che si è posta molto più di noi il problema di non vergognarsi di dove si è nati senza sprofondare nel pantano del localismo, della miopia della visione del mondo in cui si vive. In ciò, nel mondo liquido, si innesta come sempre la legge del mercato: il calcio va venduto, in esso non devono esistere problemi, e quindi media e legalità hanno creato una bolla neutrale ad ogni opinione. Non che dietro ad essa si nasconda una condanna sincera ad una o all’altra visione del mondo, che sia essa reazionaria o progressista, ma lo stadio, uno degli ultimi luoghi di collettività, deve esserne vergine ed intonso. Sarri ha detto che occorre aprire un tavolo di dibattito tra politica e mondo del pallone: benissimo, ma si ragioni in esso su come l’essere nero sia finito al centro della questione, ogni cosa ha le sue cause e quelle del razzismo vanno indagate un po’ più fondo, forse la società stessa dovrebbe cercarle in fondo a se stessa con uno straccio di auto-critica.

Testo di Luigi Bisio e Amedeo Zoller.
Foto di Luigi Bisio.