Striscione BarriereBarriere. Una parola semplice e priva di significati occulti fino a qualche mese fa. Un po’ perché sin da piccoli  abbiamo sempre accostato questo termine a un qualcosa di negativo, un po’ perché nessuno, ma davvero nessuno, si sarebbe immaginato che prima o poi il cuore di una curva, che ha fatto la storia del tifo in Italia, venisse diviso e smembrato.

All’elezione a SLO di Sebino Nela, uno che dalla Sud veniva incitato al grido selvaggio di “Picchia Sebino”, non propriamente conforme al buonismo contemporaneo, ho pensato subito a uno strano quanto improbabile, e, diciamocela tutta, anche fuori luogo, raffronto con i tempi in cui il numero 5 della Roma scudettata 82/83 calcava i terreni di gioco. 

“Se avessero messo simili barriere e comminato multe per i cambi posto negli anni ottanta, oggi non saremmo famosi nel mondo per quella cultura del tifo che perfino al di fuori dell’Europa imitano, e la Roma sarebbe al pari di una semplice squadra di metà classifica della Championship inglese”, ha detto con semplicità l’avvocato Lorenzo Contucci, al Teatro Ambra di Garbatella. Laddove Sebino Nela è stato presentato all’interno dell’assemblea di My Roma.

Garbatella è una zona popolare. Estremamente genuina. Sprizza romanità da tutti i pori e sa essere accogliente in maniera soffice, con le sue luci soffuse che salutano il crepuscolo e le bandiere giallorosse esposte su diversi balconi. Mai luogo poteva essere più esatto per un’iniziativa del genere. Ma togliamo subito di mezzo l’aspetto romantico. Quello che ci interessa infatti risiede altrove. E incontra una battaglia, lunga ed estenuante, portata avanti dalle due tifoserie capitoline e giunta, forse, a un bivio importante con il finale di stagione alle porte. Si capirà quanto questa resistenza è servita, quanto veramente le istituzioni hanno voglia di ritornare suoi propri passi. Intanto attendiamo il Derby del Silenzio, tra due giorni, che sbatterà ancora meglio in faccia ad Alfano, D’Angelo e Gabrielli le loro negligenze. Per le quali, lasciateci il beneficio del dubbio, crediamo difficili eventuali assunzioni di responsabilità.

Difficile da spiegare tutto questo. Anche a Sebino Nela. Che di calcio ne ha visto, masticato e giocato. Io me lo ricordo sui filmati del 1983, con la sigaretta in bocca mentre abbraccia i compagni negli spogliatoi, dopo Roma-Torino. L’ultima giornata di un campionato da sogno. Quello del secondo scudetto. “Adesso c’è un problema per fare ogni cosa. Dall’andare allo stadio, alla comunicazione, al rapporto con i tifosi”, ha detto. Ed è vero. È vero semplicemente perché il calcio non è più uno sport a misura d’uomo. Ha perso, almeno ad alti livelli, tutto quel suo fascino popolare e quella semplicità che lo faceva essere il sogno a occhi aperti di tante persone.

Essere SLO, avere la possibilità d’interagire con i tifosi, con il cuore pulsante di ogni squadra, è un onore. Ma anche un onere. Nessuno glielo nega e sicuramente si dovrà avere la pazienza di riservare fiducia nella sua figura. Che non si inventa. È ovvio che la realtà di fronte cui Nela si è trovato, ascoltando le domande dei tifosi, è forse diversa da quanto immaginava. I problemi si sono palesati in maniera copiosa, quasi a cascata. Dalle barriere al caro biglietti, un poutpourri in cui risulta difficile districarsi. Ma che, per ovvie motivazioni, ha avuto ragione d’esistere in virtù di una comunicazione societaria troppo spesso manchevole e frammentaria.

“Le Olimpiadi uniscono i popoli, le barriere le dividono”, recita uno striscione esposto all’esterno del teatro dai ragazzi della Curva Sud, anche oggi osservati speciali, in una grottesca riproposizione dei migliori regimi autoritari con Ovra o Kgb sempre sul pezzo. Ed è proprio questo il concetto da cui ripartire, da quello olimpionico. Senza voler caricare sulle spalle di Nela troppe responsabilità, certamente però l’ecumenicità di Roma e la sua devozione al multiculturalismo, non possono fermarsi di fronte a bieche gestioni da osteria di quartiere, orchestrate da personaggi vogliosi soltanto di mettersi in mostra e costruire la propria carriera politica sulle spalle del tifoso.

Un qualcosa di non corretto lo ha tuttavia asserito. “In Italia non c’è cultura dello sport, si va allo stadio soltanto quando si vince”. Ecco, è proprio eliminando concetti come questi che si può intraprendere un determinato lavoro ad appannaggio dei supporter. Non è assolutamente vero che in Italia non esista la cultura sportiva, semmai esiste quella del tifo, che è faziosa, ma non antisportiva tout court. Ma sopratutto, non è vero che si va allo stadio solo quando si vince. E potremmo fare decine di esempi di piazze, anche relegate in Serie D, che seguono senza batter ciglio numerose e compatte. La verità, semmai, è che ai tifosi non è data la possibilità di frequentare gli stadi nella miglior maniera possibile. Tra biglietti che costano uno sproposito, repressione in tutte le salse e deterrenti non trascurabili vedasi calcioscommesse.

Sicuramente in Italia c’è una cultura retrograda sotto alcuni aspetti. E la figura dello SLO, ahinoi, rientra proprio tra questi aspetti. In un Paese dove organi dal dubbio potere legislativo, come l’Osservatorio, impongono il divieto a qualsiasi rapporto tra società e tifosi, come può una figura che dovrebbe intercedere tra le due parti, avere il giusto riconoscimento? È proprio con questo che ci si scontra e, se non si ha la giusta preparazione, anche questa figura rischia di perdere tutta la sua importanza e i suoi poteri. Trasformandosi da grande opportunità a esponente immobile e statico, in grado di cadere brevemente nell’oblio.

La promessa più grande è stata quella di non vedere barriere o divisioni nel nuovo stadio. È un impegno grande. Molto pesante. E non perché non crediamo nella buona fede di Nela, ma perché conosciamo i nostri polli. Sappiamo che Prefetti, Questori, Osservatori e CASMS di turno possono mettere mano ovunque e dettar legge senza che nessuno sia in grado di ostacolarli. Quindi ci sentiamo di dare un consiglio al nuovo SLO della società giallorossa: cerchi sempre di mantenere un rapporto sincero con tutti i tifosi, dalla curva alle tribune. Roma non è una piazza facile, è vero, ma è anche una piazza che sa dare tanto e che, a dispetto di quanto passa, sa avere pazienza e portare avanti battaglie per difendere diritti sacrosanti. Non certo i propri interessi, sempre come qualcuno ancora racconta.

Sperando che la tifoseria romanista possa tornare a essere unita e forte come un tempo, senza divisioni. Fuori, come dentro lo stadio. E per facilitare questo percorso, tu hai un ruolo fondamentale. Quindi “Picchia Sebino!”.

Simone Meloni.