La squadra della città al confine con l’Ungheria è fra le più titolate del Paese e sta tornando dopo molti anni bui

Lontano da Bucarest, ad un passo dal confine con l’Ungheria, si trova la città di Arad. Poco conosciuta in Italia, è però uno dei punti di riferimento calcistici della Romania. Insidiata dal CFR Cluj (5 titoli dal 2008 a oggi), la squadra di Arad rimane la più titolata fra le formazioni “provinciali”. La loro bacheca sfoggia sei titoli e due coppe nazionali. Il dato è ancora più significativo se si pensa alla fondazione relativamente recente: 1945. Per raccontare la storia della squadra e dei suoi tifosi abbiamo intervistato Marius, uno dei componenti del gruppo ultras Out of Control. È stata una lunghissima chiacchierata, che siamo stati costretti a riassumere, ma che avrebbe meritato di essere proposta integralmente.

Prima di parlare della storia dell’UTA, vorrei fare un parallelo. La squadra è tanto sconosciuta in Italia, quanto apprezzata in patria. Perché?

Il mio club è speciale perché dietro di esso c’è la Storia con la S maiuscola, una cosa che non molti club romeni possono dire di avere. L’UTA ha un glorioso passato. Questa è una delle ragioni per cui è ancora così amata anche in molte altre città del Paese. La storia, la gloria e la tradizione di questo club sono tramandate di generazione in generazione.

È anche il tuo caso?

Mio nonno era un giornalista e ha amato l’UTA, così come mio padre. Questa eredità è arrivata fino a me e io sono orgoglioso di averla portata avanti. Ma non è solo il mio caso. Molti dei miei migliori amici si sono uniti alla curva non per sentirsi accettati o forti e potenti – che è di solito ciò che succede in Romania – ma per sostenere ciò che questo club rappresenta. È parte della nostra identità. Le nostre famiglie ci hanno raccontato la sua storia, dimostrandoci come si può essere orgogliosi della propria città e della propria identità.

Adesso però devi raccontarcela questa storia.

Nel 1945 c’era una famiglia molto ricca, che fece tanto per la città. Tutti ad Arad li amavano, specialmente uno di loro, perché era un uomo onesto che aveva sempre cercato di aiutare la gente del posto. Lo chiamavano “il Barone”: il suo vero nome era Francisc Neuman.

Dicci di più su questa figura.

Il barone era un grandissimo appassionato di calcio. Aveva studiato in Inghilterra, dove si era innamorato di questo sport. Quando tornò decise di sostenere economicamente il calcio locale, aiutando un club a rinforzarsi. A quel tempo nessuna squadra di Arad si era mai distinta, nonostante fosse stata la prima città della Romania dove si era ufficialmente giocato a calcio. Così il Barone cercò un club da aiutare, ma i proprietari rifiutarono il suo aiuto, perché in quel momento stava finendo la guerra e la Romania stava entrando sotto l’influenza comunista. Ma Neuman non voleva rinunciare al suo sogno. Quando si accorse che nessuno voleva coinvolgerlo, decise di creare un nuovo club da zero.

Stava nascendo la nuova squadra…

Insieme a persone fidate, per prima cosa decisero i colori. Si dice che avesse scelto maglie bianco-verdi, ma qualcuno gli consigliò di ripensarci perché il verde rappresentava il fascismo e la Guardia di Ferro. Come seconda opzione Neuman scelse rosso e bianco, i colori dell’Arsenal, club che aveva particolarmente amato ai tempi dell’Inghilterra. Poi scelsero il nome. Un dipendente del Barone suggerì di chiamare il club con il nome della sua azienda, ITA – Industria Textilă Arad (Industrie tessili di Arad), che, con il nuovo governo, diventò UTA – Uzinele Textile Arad (Fabbriche tessili di Arad).

Nome e colori erano stati scelti, ora mancavano le cose più importanti.

Neuman era un grande sognatore: voleva creare un club professionistico, come quelli inglesi. Così in un solo anno costruì il più grande e moderno stadio romeno dell’epoca. La leggenda dice che l’erba provenisse da semi inglesi che aveva fatto arrivare con l’aereo. Creò una squadra imbattibile che vinse il primo titolo di campione lo stesso anno in cui entrò a far parte del calcio professionistico (1946-47). E questo non fu tutto. L’anno dopo vinse il campionato e la coppa.

Per quello che mi stai dicendo, il Barone potrebbe ricordare uno dei presidenti di oggi.

Potresti pensare che abbia fatto tutto questo per farsi pubblicità. Ma chiunque abbia vissuto in quell’epoca può dirti che non fu così. Lo fece per Arad, lo fece per la gente. E l’UTA era così amato che giocava partite davanti a 20mila spettatori, tanto che il nuovo stadio non aveva abbastanza posti. L’UTA diventò il simbolo di Arad. Addirittura, l’UTA e Arad diventarono la stessa cosa. Non fraintendermi, Arad è una città di cultura. Ma niente ha reso la città famosa come ha fatto il calcio. L’UTA è la ragione per cui ancora oggi la gente sa dove si trova Arad.

Abbiamo lasciato la squadra due volte campione di Romania.

Nel 1948 il Barone dovette lasciare la Romania per sempre, a causa dell’ostilità del regime comunista che non vedeva di buon occhio lui e tutti gli altri imprenditori. Ma immagina quanto fu frustrante per loro vedere che, nonostante Neuman fosse stato cacciato, i loro club non riuscivano a battere l’UTA.

Con loro club intendi Steaua e Dinamo?

Sì. Un vecchio proverbio dice: “Quando l’UTA gioca a calcio, lo Steaua e la Dinamo devono far entrare in campo i carrarmati per vincere”. Questo ti fa capire quanto forte fosse diventato il club.

Da quel momento c’è stato un rapporto difficile con il potere centrale.

L’UTA ci ha insegnato a non mollare mai, a essere ambiziosi e a seguire i nostri sogni. E molta gente si è innamorata della squadra perché la vedeva come una reazione al regime comunista. Da quel momento Neuman non ha mai avuto più nessun collegamento con l’UTA. Si dice che abbia oltrepassato il confine in bicicletta, proprio poco prima che i comunisti potessero arrestarlo. L’UTA lo perse per sempre, ma l’eredità del Barone rimase nell’identità della squadra.

Che cosa successe dopo?

Dopo il 1948 l’UTA fu costretto a cambiare nome in Flamura Roșie (Bandiera Rossa), fu cambiato anche il simbolo. Il regime costrinse continuamente i giocatori e gli allenatori migliori a lasciare la squadra per andare a giocare nei club vicini al regime. Ma nonostante questo l’UTA continuò ad essere una buona squadra, che si oppose duramente a tutte le avversarie. Sotto il nome di “Bandiera Rossa” vinse altri due campionati, nel 1950 e nel 1954, e la coppa nel 1953.

Ci sono stati altri “momenti di gloria”?

Un altro grande periodo fu tra il 1968 e il 1973, quando vinse altri due campionati e partecipò alla Coppa dei Campioni. Nel 1970 eliminò il Feyenoord, che era campione in carica. I giornali di tutto il mondo parlarono di quella partita. Il miglior risultato internazionale, ad ogni modo, rimasero i quarti di finale raggiunti nella Coppa Uefa del 1972, dove fummo sfortunatamente eliminati dal Tottenham, futuro vincitore del trofeo.

E il declino quando arrivò?

Aspetta che ci arrivo. Nel 1979 retrocedemmo per la prima volta in seconda divisione e tutto iniziò ad andare a rotoli. Raramente siamo riusciti a ritornare in prima divisione, e solo per poche stagioni. Questa ormai è la situazione che va avanti da quarant’anni. I motivi? La storia più o meno è sempre la stessa (mancanza di soldi, riciclaggio di denaro, partite vendute e scommesse, arbitri che aiutano sempre i soliti noti etc.), ma io quei tempi non li ho vissuti, quindi non so dirti esattamente perché sprofondammo nel fango. Quello di cui posso parlarti, e lo farò dopo, sono i tempi attuali.

Buona idea. Cominciamo a parlare del tifo dell’UTA e arriviamo fino ai giorni nostri.

Fin dai primi anni Ottanta potevi vedere il tifo organizzato a supporto della squadra, ma la prima bandiera di un gruppo apparve solo nel 1996, con il nome di Red Fighters. I Red Fighters rappresentavano la maggior parte dei tifosi più accesi di quei tempi, e avevano una base piuttosto numerosa. Venivano fatte grandi coreografie con i rotoli di carta o gigantesche fumogenate. Riuscirono a portare in trasferta ad Alba Iulia (210 km da Arad) circa 12.000 tifosi. Era il 1999, quando l’UTA sfidò il Rocar Bucarest per la promozione in prima divisione. Un’altra giornata da ricordare è la trasferta di Timisoara del 2002, quando circa 7.000 fan assistettero al derby, che fu leggendario perché finì 3-4 per noi. Quella partita è considerata la migliore degli ultimi quattro decenni.

Ma possiamo considerare i Red Fighters il primo gruppo ultras?

No, quello che mancava loro era proprio la mentalità ultras. Sebbene fossero un grande gruppo, erano eterogenei per età, opinioni e comportamenti. Non agivano sempre insieme e non erano organizzati. Sì, certo, sventolavano molte bandiere e facevano dei begli show, ma non potevano considerarsi un gruppo ultras. Per questo, nel 2003 qualche ragazzino lasciò la tribuna, se ne andò in curva Nord e fondò un nuovo gruppo, gli Spetza Ultra Rossa. L’obiettivo era diventare un vero e proprio gruppo basato sulla vera mentalità ultras. Portarono un nuovo spirito: bandiere realizzate in modo migliore, fumogeni colorati, sciarpe a righe, attenzione per i problemi della gente e promozione dei valori nazionali della Romania. Il loro spostamento in Curva Nord ebbe come conseguenza lo spostamento dei Red Fighters in Curva Sud. Così da quel momento ci furono due curve.

E dal punto di vista della squadra? Come stava andando l’UTA?

L’UTA stava attraversando di nuovo un brutto periodo. Nella stagione 2005-06 retrocesse per la prima volta nella sua storia in terza divisione. La cosa assurda è che non andò in terza divisione, perché il nuovo sindaco con qualche “trucchetto” aiutò la squadra a comprarsi un posto in Liga 1. Insomma, l’UTA retrocesse dalla seconda alla terza, ma giocò in prima, pagando una bella cifra al Liberty Salonta. Non solo la squadra ripartì dalla prima divisione, ma prese anche un allenatore di tutto rispetto, Marius Lacatus, leggenda dello Steaua, e ottimi giocatori. I soli che si opposero all’operazione furono gli Spetza Ultra Rossa, che protestarono davanti allo stadio. Naturalmente la loro voce venne ignorata e la “promozione” avvenne come da programma.

Era una situazione molto difficile. Stare in prima senza meriti o retrocedere in terza?

I SUR furono costretti a decidere: sciogliere il gruppo e continuare la protesta o continuare a seguire l’UTA in Liga 1. Fu una decisione sofferta, ma alla fine continuarono ad andare allo stadio e a cantare per il club. Questa decisione si è rivelata essere la migliore, il tifo è cresciuto enormemente e così anche il gruppo. A loro non piaceva il fatto di essere andati in prima divisione senza meriti sportivi, ma non c’era niente che potessero fare. Fra l’altro ai SUR fu detto che non potevano continuare ad occupare la Curva Nord, perché erano troppo vicini al settore ospiti. Così dovettero spostarsi in Curva Sud, già occupata dai Red Fighters. Il risultato, a dire il vero, non fu poi così male. Stava nascendo una Curva molto forte.

Quindi c’erano due grandi gruppi?

In realtà il 2006 fu l’anno in cui i Red Fighters si ritirarono ufficialmente. Si erano già rifiutati di farlo nel 2004, quando la loro pezza era stata sottratta dai nostri rivali di Timisoara. Ma dopo che questi l’avevano mostrata nel derby del 2006, al gruppo non rimase che mollare e ritirarsi.

Questo ebbe ripercussioni negative sul vostro tifo?

No, anzi, tutto il contrario. Fu il momento in cui i vecchi lasciarono spazio ai giovani. L’anno seguente, il 2007, la gradinata si allargò con nuovi gruppi ultrà: Directivo Ultra e RASA, e anche un gruppo hooligan, i Commando Hooligans. La nostra curva diventò solida e guadagnò forza grazie ai molti tifosi che si unirono. Di questa nuova situazione si accorsero presto i nostri rivali, come ad esempio gli Ultranativ di Timisoara, ai quali i SUR rubarono la pezza davanti al loro stadio. Anche i nostri nemici di Craiova perderanno altre due pezze. Le bandiere dei South Guard e dei Praetoria verranno rubate dopo la partita, sul treno. È divertente che entrambi i gruppi abbiano rifiutato di sciogliersi dopo questa grande umiliazione. I Praetoria esistono tutt’oggi.

Ok, i SUR diventano il gruppo più importante. E poi?

Nel 2007 succede una delle cose più importanti: la fondazione del Suporter Club UTA, l’associazione dei tifosi dell’UTA. Questa associazione ebbe un ruolo fondamentale nel 2008, quando la squadra retrocesse in Liga 2. L’allora presidente si ritirò e consegnò i documenti con l’identità del club all’associazione dei tifosi. Il simbolo, il nome e i colori del nostro club e tutta la storia ad esso collegata diventarono proprietà dell’associazione, e il brand stesso fu registrato a OSIM (una sorta di ufficio di stato per i marchi e le invenzioni, ndr) per autenticarlo. Questo significa che noi rappresentiamo il club, noi siamo l’UTA. Questo passaggio ci ha assicurato che se la società che rappresenta il nostro club va in bancarotta, noi possiamo comunque tenere in vita la nostra squadra e ricominciare da zero.

Non abbiamo ancora parlato di amicizie.

Fra il 2007 e il 2008 i SUR diventarono buoni amici con gli ERA (Elita Roș-Albastră – Elite Rosso-Blu, Sud Steaua), e questa amicizia si prolungò negli anni fino a diventare una cosa fra tutta la nostra curva e la Sud dello Steaua. Si sviluppò anche una fratellanza con la Curva Nord Hunedoara. Ovviamente, diventare amici dello Steaua fece sì che i nostri vecchi amici (U Cluj o persino Brasov) ci si rivoltassero contro, diventando nostri nemici. Non solo, ci furono anche nuove rivalità, grandi nomi come Dinamo o Petrolul e praticamente tutti quelli che non sopportavano lo Steaua.

Qualche coreografia o spettacolo notevole? Iniziative collegate al mondo ultras?

Nel triennio 2006-2008 raggiungemmo decisamente un altro livello. Riuscimmo a fare coreografie spettacolari, come “L’Attacco dei Cloni”, nella trasferta di Timisoara, ispirati a Star Wars, o la coreografia realizzata con i cartoncini e le torce sotto i teli, per il quinto compleanno dei SUR. Poi all’inizio del 2008 Marius Pintea, un importante membro dei SUR, morì per un attacco di cuore. Ogni estate in sua memoria si tiene un torneo di calcio. Solitamente i partecipanti sono la famiglia e gli amici di Pintea, i tifosi dell’UTA e gli amici della nostra curva.

E avete avuto anche qualche problema?

Nella primavera del 2008 siamo scesi di nuovo in Liga 2, questo era il periodo in cui la pirotecnica diventò frequente in Romania. Per uno o due anni abbiamo fatto fiaccolate ad ogni partita, anche in alcune trasferte. Anche gli show con i fumogeni sono diventati sempre più belli. Ma le torce sono illegali negli stadi romeni. Vedendo che non poteva controllarci, la polizia sferrò un grande attacco alla fine dell’ultima partita del 2008 e molti di noi furono arrestati o feriti. È stato forse il più grande abuso che abbiamo subito in assoluto.

Riprendiamo la cronistoria.

Nel 2009 il Commando Hooligans si è spostato in curva Nord, dove si è unito con un nuovo gruppo, i Red Skorpions, ma non hanno resistito più di un anno e mezzo. Così sono tornati in Sud, che era sempre più potente perché i SUR avevano molti nuovi membri ed erano cresciuti fino a diventare uno dei migliori gruppi romeni.

In che senso?

Per diverse ragioni. Erano molto attivi con le coreografie e le bandiere e molto forti negli scontri. E si dimostrarono ancora più forti nel 2010 quando attaccarono quelli dell’U Cluj che stavano tornando a casa, dopo la partita contro di noi. Questo è uno degli esempi di come la nostra curva si è guadagnata la sua reputazione. Le persone gelose hanno iniziato a inventarsi che invitavamo dei mafiosi alle nostre partite importanti e che ci eravamo uniti a bande pericolose, ma è completamente falso. È la paura che parlava per loro.

Poi però le cose peggiorarono.

Giocammo molti anni in seconda divisione, perdendo per due volte gli spareggi. Eravamo una squadra mediocre e cominciammo a perdere tifosi. Anche se eravamo ancora molto attivi, eravamo sempre meno. E arrivarono i problemi. Il Commando Hoolingans si ritirò alla fine del 2011. I SUR si sciolsero sei mesi dopo, insoddisfatti per la qualità del tifo, ma anche a causa dell’età. La nostra curva doveva moltissimo al loro lavoro. Così quando sparì la loro bandiera, tutto crollò: organizzazione, atmosfera, attività.

Come reagiste a questo cambiamento epocale per la vostra curva?

Noi non mollammo la lotta. Provammo a fondare un gruppo giovanile, Rebel Yell, ma non accadde niente di significativo. Decidemmo allora di sciogliere tutti i gruppi esistenti e formarne uno solo, più forte. Lo chiamammo semplicemente Arad 1945. Facemmo un nuovo striscione, nuove bandiere, nuovo materiale. Io ricordo che fu allora che introducemmo i tamburi nella nostra curva.

E la squadra intanto?

La squadra attraversava una situazione molto complicata. Nel 2012 ci salvammo dalla bancarotta, grazie al fatto che consegnammo il club a una specie di ex mafioso che aveva mostrato buone intenzioni. Il primo giorno mise a disposizione molti soldi e aiutò l’UTA a recuperare, ma fondamentalmente usò la squadra per farsi vedere in televisione dicendo stronzate in conferenza stampa e facendo vedere i suoi bei vestiti e i suoi gioielli, mentre diceva brutte cose sugli arbitri e altre storie inventate sulla sua vita. Non pensò mai di aiutare la squadra, questa non era una sua priorità.

Quindi la squadra era nelle vostre mani?

Noi provammo per mesi a tenerla in vita. Facemmo tutto quello che ci era possibile per aiutare i giocatori, ma all’ultima partita del 2013 capimmo che era finita. Venimmo a sapere che il club non avrebbe continuato la sua attività nel 2014. Fu un momento tristissimo, ma accadde comunque qualcosa di veramente bello e magico. Nell’ultima partita dell’anno, dopo il fischio finale, i giocatori ci chiesero di scendere dalle tribune e presero il nostro posto, cantando per noi come segno di rispetto. Loro non erano stati pagati per otto mesi, ma avevano continuato a giocare e a impegnarsi perché rispettavano il nostro impegno. È stato forse il momento più triste, eppure più profondo della nostra storia recente. Il video raggiunse tutti i telegiornali, ma, purtroppo l’UTA era al collasso. Era troppo tardi.

La squadra stava morendo?

Quell’inverno la nostra associazione di tifosi decise di ritirare il simbolo, il nome e i colori del club, e di trasferirli a una nuova squadra in quarta divisione. Il vecchio club, rimasto senza identità, andò in bancarotta dopo altre quattro partite. Ci siamo liberati di quell’idiota di presidente e di tutti i debiti. Era l’unica soluzione per noi.

Avete dovuto ricominciare dalla 4° divisione.

Proprio come la maggior parte delle squadre storiche, siamo morti e rinati. La nostra situazione è un po’ diversa perché siamo uno dei pochi club che ha mantenuto la vecchia identità e siamo autentici per definizione. Siamo l’unica associazione di tifosi in Romania a detenere la vera identità del club.

Anche se avete spostato l’identità su un’altra squadra…

Certo, potrebbe non piacere l’idea di spostare l’identità su un altro club, e per molti è stato così all’inizio. Ma il nuovo club aveva un nuovo staff, nuovi direttori e noi, come tifosi, siamo stati inclusi nel consiglio direttivo della squadra, così abbiamo sempre potuto esprimere un’opinione. Abbiamo cominciato da zero anche con la maggior parte dei giocatori che erano giovani e venivano da Arad. Gli abbiamo dato l’opportunità di giocare per un grande club e dimostrare che dalle giovanili della città può nascere una grande squadra.

Com’è stato passare “dalle stelle alle stalle”?

Abbiamo riscoperto la magia del calcio. E con questo intendo la gioia della vittoria o anche solo di un gol, che avevamo in qualche modo scordato. La bellezza di fare una trasferta e così via. Siamo stati presenti a tutte le partite, la maggior parte delle quali in piccoli villaggi. Abbiamo visto il vero calcio, abbiamo riscoperto la tensione prima di un match, ma abbiamo anche vinto una partita 27 a 0. L’UTA stava giocando per la prima volta nella sua storia all’ultimo livello del calcio, fra i dilettanti, ma il nostro progetto stava facendo crescere nuovi talenti che erano nati e cresciuti qui, e rappresentavano lo spirito della squadra.

C’è qualche partita che merita di essere ricordata?

Viaggiavamo in 100 o 200 tifosi in qualsiasi piccolo villaggio e non tutti ci accoglievano con applausi, anche se tutti nella nostra contea tifano UTA. Qualche volta, quelle piccole squadre creavano una vera competizione con noi. Fondavano gruppi per sostenere le loro realtà. Potevi sentire la pressione. Non è stato come fare una passeggiata al parco. Qualche volta, le cose si sono anche molto scaldate. Alcuni giocatori avversari facevano gesti osceni quando segnavano come il dito medio, o ci sputavano addosso. Un giorno impazzimmo con uno di loro, rompemmo la recinzione ed entrammo in campo. Non c’è bisogno di dire che nessuno riuscì a bloccarci, anche se l’intero corpo di polizia di questo villaggio era allo stadio. Siamo stati fermati solo dal nostro capitano, giocatore leggendario, che ci ha implorato di tornare al nostro posto.

La promozione in terza divisione però coincide con un grande addio.

Esattamente. Arrivammo primi e giocammo lo spareggio con la vincente di un altro girone, in campo neutro. Quel giorno fu anche l’ultimo giorno di vita del nostro vecchio stadio. Il consiglio comunale e il sindaco proposero un progetto per una nuova e moderna arena. Così prima di andare alla partita ci fermammo davanti al nostro tempio per farci un’ultima foto. Riguardo alla trasferta: eravamo circa 800 fan, occupavamo tutta la tribuna. E come previsto, ovviamente, l’UTA vinse.

Quindi eravate senza stadio e promossi in terza divisione?

Il fatto che abbiano demolito lo stadio per farne uno nuovo nello stesso luogo ha significato trovare un altro campo dove giocare. Il problema è che il nostro sindaco ha demolito il 90% degli impianti per fare centri commerciali o ipermercati. L’unico rimasto era il Motorul, uno stadio con una piccola capienza (1.800 posti) e un pessimo manto erboso. Così abbiamo iniziato la terza divisione, mantenendo la stessa struttura, sia come squadra – con molti giovani del posto – sia come curva, con un unico grande gruppo.

C’è stata qualche partita significativa in terza divisione?

Da ricordare l’enorme torciata contro il Național Sebiș e le due partite con i nostri amici del Corvinul. Siamo stati assieme ai nostri fratelli, cantando canzoni per entrambe le squadre e stendendo una coreografia comune. Sono stati davvero momenti incredibili. Alla fine della stagione (2015), l’UTA è salito in Liga 2.

Sbaglio o quella era la stagione del settantesimo anniversario della squadra?

Esattamente, e il “compleanno” l’abbiamo organizzato nella sala della filarmonica. È stato bellissimo: tutti indossavamo giacca e cravatta, e abbiamo cantato in un luogo con un’acustica pazzesca.

Così la squadra è tornata dove si trovava nel 2013.

Proprio così, e facemmo una buona stagione, arrivando secondi. Eravamo agli spareggi. Ma le cose non andarono per il verso giusto, sfortunatamente. Vincemmo la prima gara, ma la seconda fu davvero impossibile a causa dell’enorme differenza fra la nostra squadra e quella di prima divisione. Fu triste finire la stagione in questo modo, ma non c’era niente che i nostri giocatori potessero fare. Il livello di allenamento, di budget e di ogni altro aspetto erano troppo diversi. Furono due partite con un’atmosfera incredibile, entrambe con un tutto esaurito, nonostante la capienza dello stadio fosse stata allargata.

Mentre la squadra in campo si stabilizzava in seconda divisione, però accadeva qualcosa in curva.

La stagione successiva (2016-17), dopo alcune partite, noi, i giovani membri di Arad 1945, abbiamo deciso di spingere per la dissoluzione del gruppo. Questa decisione è stata presa perché la nostra scena era tornata ad un buon livello e la strategia con “un solo gruppo” ormai ci stava scoraggiando, piuttosto che aiutarci. Così Arad 1945 venne sciolto e dopo una partita fondammo i Rascals. Era un gruppo composto da membri fra i 16 e i 22 anni (come me, che ero il membro più vecchio). Abbiamo cercato di farlo crescere, seguendo l’esempio dei SUR e di ciò che avevano fatto molto tempo prima i suoi componenti, che allora avevano la nostra stessa età. Sfortunatamente, non ricevemmo sufficiente sostegno dai restanti membri della tribuna. Così cominciammo ad andare in trasferta e a lavorare alle coreografie da soli.

Immagino che le cose non andarono per il verso giusto.

È triste da ammettere, ma nella trasferta successiva al derby la nostra pezza fu rubata dagli ultras del Poli. Così i Rescals resistettero solo due mesi. Questo fu il momento in cui tutta la nostra curva si rese conto che non avrebbe dovuto lasciarci soli. Eravamo solo ragazzi e non avevamo potuto difendere adeguatamente la nostra pezza. Otto ragazzini contro trenta persone, puoi immaginare quanto fu semplice rubarcela.

Dev’essere stato un momento piuttosto negativo.

Un sentimento che non avevamo mai provato prima. Ricordo che ci siamo riuniti al pub e ne abbiamo discusso serenamente. Abbiamo convenuto che era stata una decisione sbagliata creare questo gruppo e chiudere i legami con il resto della nostra curva. D’altro canto anche gli altri hanno convenuto di aver fatto un grosso sbaglio ad allontanarsi e a non aiutarci. È stato un errore collettivo.

Un errore che però ha dato vita a qualcosa di buono, no?

Sì, abbiamo lavorato molto duramente per creare un nuovo gruppo forte, basato sui membri migliori e più attivi che c’erano, sia fra i vecchi che fra i giovani. Ecco come, nel febbraio 2017, è stato fondato Out of Control, l’unico gruppo che esiste ancora oggi nella nostra curva.

E la squadra nel frattempo?

A partire dal 2017, l’UTA ha dovuto lasciare Arad poiché il nostro stadio ha perso la licenza per la Liga 2. Era un campo fangoso, così brutto che i membri della federazione, che di solito chiudevano un occhio di fronte a questi problemi, non hanno potuto fare altrimenti che costringerci a trovare un altro stadio. Siccome ad Arad era impossibile giocare a calcio a quei livelli, abbiamo dovuto trasferirci a Şiria, un villaggio lontano 30 km.

Non dev’essere stato facile affrontare questo ulteriore trasferimento…

La fine della stagione 2016-2017 è stato un pianto: giocare le partite casalinghe era come andare in trasferta. Viaggiavamo sempre con gli autobus. Abbiamo perso di nuovo lo spareggio, dopo aver concluso al 3° posto e aver affrontato un’altra squadra di Liga 1. E’ stata una grande delusione, ma ci sono stati anche bei momenti: come vincere a Timisoara 0-3 o contro il Sepsi.

Siamo quasi ai giorni nostri.

Anche la stagione (2017-2018) l’abbiamo giocata sullo stesso terreno ed è stata una grande grande sofferenza. Anzi un disastro. Il progetto di puntare alla promozione è fallito dopo le prime 10 partite. La maggior parte della gente di Arad ha abbandonato la squadra perché giocavamo troppo lontano. Siamo stati lasciati da soli in casa e di conseguenza anche nella trasferte più importanti. Tuttavia voglio ricordare la partita casalinga contro il Poli, dove abbiamo protestato insieme a loro perché non sono potuti entrare nello stadio. Questa è stata un’azione molto apprezzata sui media, poiché abbiamo dimostrato che possiamo superare la rivalità e essere uniti per il nostro bene.

Lo stadio quindi non è ancora pronto? Dopo cinque anni?

Anche se siamo tornati a giocare ad Arad, il nuovo stadio non è ancora pronto. Hanno modernizzato il Motorul e ci hanno mandato di nuovo lì. In quella stagione non avevamo una buona squadra per puntare alla promozione e la rabbia delle persone di Arad si è sentita chiaramente perché lo stadio, sebbene abbia solo 5.000 posti, non è stato quasi mai pieno. Come risposta alla lenta costruzione nel nostro stadio, il 22 maggio 2018 la nostra curva ha organizzato una grande protesta davanti al cantiere. Per riderci su, abbiamo festeggiato una finta inaugurazione. Abbiamo stampato biglietti falsi che abbiamo venduto a 1 centesimo l’uno (proprio il valore che il sindaco dà al nostro club e alle nostre speranze). C’era anche un grande nastro che è stato tagliato da un bambino, proprio come se fossero stati veri festeggiamenti.

La nascita del nuovo gruppo sta funzionando?

Out of Control ha riportato di nuovo molte persone in curva, ma nel resto dello stadio i “normali” tifosi non vengono molto spesso. Sono stanchi di aspettare che lo stadio nuovo sia pronto, che il club faccia le cose seriamente e cerchi di vincere il campionato.

Abbiamo finito.

Aspetta fammi raccontare un’ultima cosa. Perché in questa stagione è arrivato il giorno più triste per noi. Proprio quando avevamo finito la nostra nuova coreografia per il derby contro Timisoara, il 25 ottobre, due dei nostri membri sono morti in un incidente d’auto, cadendo da un ponte. È stata una settimana terrificante… Ricordo le notti insonni a pensare all’ultima volta che li avevamo visti. E poi i funerali. Poco dopo morì un altro amico, uno degli ex-capi. È così che il 2018 è finito per noi.

Non possiamo chiudere così l’intervista. Ci vuole un augurio per un 2019 all’altezza.

Ci siamo riuniti e siamo tornati con nuova forza. Vogliamo vedere lo stadio pronto in autunno e l’UTA che gioca di nuovo per vincere il campionato.

Intervista raccolta da Gianni Galleri, Curva Est.