Un’altra volta mi ritrovo con parecchi mesi trascorsi dall’ultima volta che sono riuscito a metter piede in uno stadio di calcio. E un’altra volta hanno cambiato regole e divieti per l’evolversi dell’emergenza sanitaria. Al momento progettare una gita verso la vicina Austria mi costa una sera intera per organizzarmi tutti i documenti, ma tutto questo è d’improvviso quasi irrilevante a causa dell’inizio della guerra in Ucraina solo pochi giorni prima della partita, evento che rischia anch’esso di riscrivere il nostro futuro prossimo proprio quando cominciavamo a pensare alla fine della pandemia.

Arrivato finalmente allo stadio Tivoli a Innsbruck, dove il Wattens gioca le sue partite casalinghe per motivi di sicurezza (il proprio stadio a Wattens, a 15 Km di distanza da Innsbruck, non è infatti omologato per la massima categoria), trovando un’atmosfera nel complesso calma e rilassata. Il Wattens tradizionalmente ha un pubblico fedele ma poco numeroso, mentre il Rapid, ospite quest’oggi, contro ogni aspettativa si ritrova in lotta per evitare la retrocessione, quindi anche il numero di tifosi al seguito ne risente. Sono in circa 3-400 a riempire il settore ospiti, compattandosi dietro l’unico striscione “SK Rapid Wien”. Questa pezza storica viene solitamente mostrata proprio in momenti di crisi come questo, per sottolineare sì la presenza del “Block West” ma mettere avanti a tutto il sostegno alla squadra in campo nonostante la situazione insolita per la tradizione calcistica del Rapid.

Sebbene la fine di quasi tutte le restrizioni allo stadio sia già ormai prossima, la situazione continua ad essere percepita come “anormale” per i sopraggiunti motivi geopolitici: quando le squadre entrano in campo, il maxi schermo è colorato con i colori della bandiera dell’Ucraina, mentre la tifoseria biancoverde rinuncia alla coreografia iniziale e non sventola nemmeno bandiere.

I padroni di casa, circa una ventina di tifosi (non esiste un vero gruppo organizzato), sono sistemati dietro il loro striscione “Wattener Sportgemeinschaft”. Assistono alla maggior parte della partita da seduti, alzando poi la voce per incoraggiare la propria squadra nei momenti topici della gara, anche se a causa del loro numero risicato non riescono mai a farsi sentire con forza.

La tifoseria del Rapid, al contrario, sostiene la propria squadra continuativamente con battimani e cori, però senza alcuna forma di colore, rinunciando a tutte le bandiere e gli striscioni dei gruppi. Fa eccezione una sciarpata ben riuscita qualche minuto prima della fine della partita. Del resto, sul campo il duello non è di altissima qualità ma pur tuttavia interessante, deciso sul finale quando matura lo 0-2 in favore degli ospiti. Come epilogo, il famoso “quarto d’ora Rapid“ inizia con il suggestivo striscione “Stop War” e nel contempo fanno sfoggio di torce e fumogeni come da tradizione. Vista da fuori, la tifoseria del Rapid oggi ha sicuramente fornito una grande prova di maturità, coniugando il sostegno incondizionato alla maglia ma adeguandosi con una certa sobrietà ai sentimenti globali attuali…

Quando esco dallo stadio mi tocca risistemare un’altra volta tutti i miei pensieri. Ho aspettato tanti mesi il momento di tornare di nuovo allo stadio, vedere finalmente la bellezza di una curva colorata, provare i brividi quando la Curva alza la voce… Ma nello stesso tempo mi ritrovo come un po’ tutti a dover fare i conti con tutta una serie di problemi sempre più delicati che rimbalzano nel mondo calcistico da quel che succede fuori. Chiaramente non mi preoccupo per il mondo ultras. Al contrario, credo che per un’altra volta ancora troverà il modo per evolversi o rinascere per l’ennesima volta. Emblematico è il fatto che durante le restrizioni, il pubblico medio senza la presenza di quella spesso definita “minoranza indesiderata”, è stato ben lontano dal raggiungere il massimo consentito. Che questo lungo periodo di difficoltà possa indurre le autorità a ripensare ad un calcio se non più a misura di ultras e tifosi, quantomeno più rispettoso verso di loro. La speranza è sicuramente quella.

Jürgen De Meester