Sarebbe quasi inutile tracciare l’ennesima linea tra ciò che è giusto per il decoro e l’ordine pubblico e quello che invece è abuso, semplice angheria, ostacolo alla libertà d’espressione e imposizione coatta (all’occorrenza) di regole valide un giorno sì e l’altro no.

Avellino-Bari inizia così, con la Curva Sud spoglia di ogni striscione e bandiera per le restrizioni imposte – last minute – dalla Questura locale. Una scelta che non sembra affatto casuale e che i più maligni hanno accostato ai diversi striscioni esposti nella notte contro la società e il nuovo allenatore Ezio Capuano. Un quadretto che non sorprende gli habituée degli stadi italiani, dove a più riprese negli anni si sono voluti punire comportamenti non politicamente corretti, contestazioni e “voci fuori dal coro” optando per l’arma più facile e al contempo più becera: la repressione.

In particolar modo la scelta di vietare l’ingresso al materiale “per ripicca” sembra essere uno degli sport preferiti dalle italiche Questure. Escludendo la grande ondata repressiva post-Raciti – che per anni ha negato categoricamente la presenza di striscioni, tamburi e megafoni – basta conoscere un po’ di storia del movimento ultras nostrano per accorgersi di come questa “usanza” sia ben radicata da diversi decenni. Il voler mettere la “museruola” togliendo ai gruppi tutti gli strumenti idonei a divulgare la propria attività è da sempre l’arma più utilizzata da chi gestisce l’ordine pubblico. Un comportamento che trova il suo sunto nel più genitoriale dei: “Tu ti comporti male? Io ti tolgo il giocattolo”.

Che ultras irpini e società siano ai ferri corti da tempo è ormai cosa nota a tutti. La scelta di sostituire l’esonerato Ignoffo con l’eclettico Eziolino Capuano ha risuonato in molti come l’ennesima provocazione o, quanto meno, decisione totalmente fuori contesto. Le recriminazioni non sono certo di tipo tecnico (anzi, personalmente credo che un Capuano con un’altra testa avrebbe tranquillamente potuto allenare in Serie A) ma di genere campanilistico/identitario. Sicuramente per molti non sono graditi i trascorsi del tecnico nella vecchia curva del Vestuti, così come alcuni suoi atteggiamenti e i suoi trascorsi sulle panchine di acerrime rivali regionali. Insomma, diciamocela tutto, è un po’ come se sulla panchina della Roma facessero sedere Di Canio e su quella della Lazio Totti. Dubito che la maggior parte di giallorossi e biancocelesti la prenderebbero bene.

Ciononostante la notizia del giorno è la diatriba tra tifo organizzato e cosiddetto “pubblico normale”, che non sembra gradire l’accoglienza tutt’altro che positiva riservata dagli ultras a Capuano. Non è mio interesse prendere le parti di nessuno, ma una riflessione voglio farla: ad oggi, per il tifoso di calcio, conta ancora minimamente il senso di appartenenza, l’orgoglio, il voler vedere “intonsa” la propria maglia e la sua dignità, oppure deve essere sempre e comunque più importante una vittoria, una salvezza o uno scudetto? Nessuno me ne voglia, ma sin da bambino ho sempre ragionato così: se avessi voluto vincere a tutti i costi avrei tifato per uno degli squadroni del Nord. Dal momento in cui non l’ho fatto (come altre migliaia di italiani che seguono il club della propria città) ho scelto di seguire un’idea, un sentimento. E i sentimenti, quando sono puri, mettono sempre davanti quel pizzico d’irrazionalità che li rende unici e genuini.

Quando si vengono a creare simili fratture, dunque, mi chiedo sempre come si faccia a voler giustificare anche le più balzane delle scelte da parte dei club. Spesso e volentieri più provocatori e indisponenti di uno storico e acerrimo avversario.

Spostandoci sul tifo, i baresi presenti oggi al Partenio sono circa 650. Da qualche giornata i pugliesi sembrano aver raddrizzato un avvio di campionato alquanto balbettante, anche grazie al cambio di allenatore. I biancorossi offrono la solita buona e colorata prestazione, battibeccando a più riprese con il resto dello stadio in virtù della vecchia rivalità in cui, manco a dirlo, si frappone la storica amicizia con i salernitani.

Su fronte irpino come di consueto la parte più attiva è quella al centro della curva. Senza pezze e bandiere si punta tutto sulle mani e sui cori a rispondere, facendo affidamento al ritmo del tamburo.

In campo l’Avellino prima va in vantaggio, poi si fa rimontare e superare e nel finale trova il gol del 2-2. Un risultato che soddisfa i padroni di casa e lascia un po’ d’amaro in bocca agli ospiti.

Il primo a lasciare il manto verde – ça va sans dire – è un Eziolino Capuano che sembra essere tutt’altro che raggiante. Per lui è forse la sfida più dura.

Simone Meloni