Tutto successe dopo Nardò-Nocerina, match valevole per il campionato di serie D girone H della scorsa stagione. Da Nocera giunsero oltre cento molossi che, come al solito, erano pronti a sostenere la loro compagine in un match di vitale importanza per il campionato.

Al termine dell’incontro, finito 2-2, durante il deflusso del pubblico, circa 80 tifosi neretini, stando alla ricostruzione giudiziaria, dopo essersi diretti verso il settore ospiti avrebbero affrontato i tifosi avversari che nel frattempo avevano superato la rete di recinzione che li separava dai tifosi di casa.

Due arresti, un minore denunciato e dodici agenti feriti fu il bilancio successivo a questi scontri scoppiati a seguito del match. La mannaia della repressione non si fece attendere, iniziò subito una retata da parte delle forze dell’ordine che portò a numerose diffide che, come spesso accade, colpirono esponenti di spicco delle due tifoserie.

Gli incidenti di Nardò ebbero ampio risalto sulle testate giornalistiche locali, con titoli ad effetto che, secondo consolidata tradizione, invocavano pene severe e se quest’ultime fossero risultate insufficienti, chiedevano al legislatore di adottare nuove leggi, più severe di quelle che già ci sono. Come se non ce ne fossero già abbastanza.

Chi conosce il mondo ultras invece, sa benissimo che troppo spesso le diffide hanno il significato di condanna: all’imputato non viene data la possibilità di difendersi e anche quando arriva la giustizia in coda al procedimento penale è ormai troppo tardi, perché il Daspo è stato ormai interamente scontato.

Nell’ambito degli scontri di Nardò è però accaduto che il tribunale amministrativo di Puglia, a seguito del ricorso presentato dagli avvocati Giuseppe Maria Riccio e dall’avvocato Giuseppe Milli, abbia con ordinanza annullato un Daspo ad un ultras nocerino poiché, così si legge nelle motivazioni “non vi è alcun indizio grave di un contegno violento nei confronti della tifoseria rivale e delle forze dell’ordine che possa assumere rilievo ai sensi dell’art.6 bis e 6 ter della legge che tutela le manifestazioni sportive né che possano integrare il reato di cui all’art. 337 c.p.”. Gli stessi soggetti “sono stati immortalati dalle telecamere in dotazione alla PG operante, ovvero da altri impianti di videosorveglianza acquisiti durante i disordini, alcuni anche con il volto coperto, ma non armati di oggetti atti a offendere ovvero nell’atteggiamento di lanciarli contro l’opposta tifoseria ovvero contro le forze dell’ordine”.

Nel caso appena citato il tribunale amministrativo ha, quindi, rilevato che una fotografia che ritrae un libero cittadino in mezzo a degli incidenti non può essere una prova sufficiente per irrogare un Daspo e ha pertanto annullato il relativo provvedimento.

Il tema è, in ambito ultras, estremamente rilevante e pertanto proveremo a rispondere ad alcune domande.

Come funziona il Daspo?

Il Daspo (acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) è una misura amministrativa, introdotto con la legge 13 dicembre 1989 n. 401 adottato al fine di punire dal punto di vista amministrativo aggressioni violente nei luoghi degli avvenimenti sportivi, che viene notificata a tutti coloro che risultano semplicemente indiziati di essere responsabili di fatti di cronaca. Nel linguaggio giuridico, la misura è inflitta al soggetto responsabile di un illecito concretamente accertato o dal giudice o dalla pubblica amministrazione, in quest’ultimo caso nell’ambito degli episodi di cronaca sportiva dal questore territorialmente competente.

Quali sono i rimedi per tutelarsi dal Daspo?

VI sono due tipologie di rimedi:

  1. Ricorso amministrativo: il destinatario del provvedimento di Daspo può, dalla notifica del Daspo, chiedere l’annullamento del provvedimento o all’organo che lo ha adottato, il questore (parleremo di ricorso in opposizione), oppure di ricorrere all’organo gerarchicamente sovraordinato, nel caso di specie al prefetto (parleremo quindi di ricorso gerarchico);
  2. Ricorso giurisdizionale: chiedere al Tribunale amministrativo competente di annullare il provvedimento amministrativo.

Entrambe le tipologie di rimedi possono essere attivate in tempi ristretti e con costi elevati; nella maggior parte dei casi, quindi, ci si limita a difendersi dinnanzi al giudice penale, il cui procedimento però si conclude in tempi lunghi.

Quali sono i limiti del Daspo, almeno per chi è destinatario del provvedimento in questione:

  • il D.A.SPO ha efficacia immediata e prescinde, quindi, dalla colpevolezza dal punto di vista penale dell’imputato, che può essere accertato solo a seguito del processo;
  • il Daspo costituisce la relativa misura amministrativa a fronte di un illecito che però non presuppone invece anche un reato, quest’ultimo invece accertato dall’organo giudiziario competente;
  • il Daspo impedisce al destinatario di accedere alle manifestazioni sportive anche sulla base di un semplice indizio, nel caso dei fatti di Nardò-Nocerina essere stato presente sul luogo degli incidenti è la prova della propria colpevolezza.
  • il Daspo ha il sapore di una condanna definitiva in quanto, soprattutto per gli ingenti costi da sostenere, solo pochi provano a difendersi dinnanzi al giudice amministrativo, limitandosi a difendersi, invece, davanti al solo giudice penale. Il ricorso amministrativo, ricordiamo, è una semplice facoltà che il cittadino può attivare, mentre l’azione penale oltre ad essere obbligatoria, procede anche per chi non ha le risorse finanziarie per difendersi, in quest’ultimo caso infatti lo Stato nomina un avvocato d’ufficio, chiamato a difendere il presunto reo;
  • non esiste spesso proporzionalità tra misura amministrativa e condanna penale; il Daspo, infatti, può avere una durata anche di 8 anni, mentre dal punto di vista penale i reati imputati, quali a titolo esemplificativo devastazioni o aggressioni a pubblico ufficiale, con le varie attenuanti potrebbero portare a condanne molto lievi, persino minori rispetto ad un Daspo;
  • infine, non di rado, accade che la sentenza di condanna o assoluzione arrivi, a causa delle lungaggini della giustizia italiana, quando ormai il Daspo è stato interamente scontato.

In estrema sintesi la diffida, contravvenendo alla logica della nozione amministrativa, a causa dei limiti del sistema di tutela amministrativa di cui sopra e tenuto conto dell’inefficienza della giustizia ordinaria italiana, ha il sapore di vera e propria condanna come dicevamo.

Il tema dell’ordine pubblico, insomma, non può essere risolto attraverso logiche perverse che anziché punire il presunto responsabile sulla base di prove concrete e reali, sono costruite su semplici indizi, frutto spesso di pregiudizi ideologici. La questione andrebbe affrontata con un approccio più costruttivo e soprattutto aderente al garantismo invocato da tutti ma mai applicato al mondo delle curve. Viviamo in un paese dove a coloro ai quali viene concessa la possibilità di seguire la propria squadra in trasferta pende la spada di Damocle della diffida, che diviene lo strumento punitivo anche per nascondere le negligenze di un servizio d’ordine spesso superficiale e approssimativo, incapace alla prova dei fatti di prevenire episodi di cronaca anche per eventi sportivi di minore importanza. Infatti, ci chiediamo come possano centinaia di tifosi essere riusciti ad arrivare a contatto fra loro senza che a monte vi fosse una falla nel servizio d’ordine? Non vogliamo rubare il mestiere a nessuno, meno che mai alle forze dell’ordine, quello che vogliamo dire è che la diffida, dovrebbe essere l’estrema ratio e non lo strumento principe per risolvere il problema della violenza negli stadi. Che poi nemmeno risolve ma serve solo per offrire nutrimento e agnelli sacrificali alla pancia dell’opinione pubblica.

Abbiamo, infine, un quesito, irrisolto: se è vero che i responsabili di fatti di cronaca pagano con la diffida per le proprie azioni, come mai i tutori dell’ordine pubblico non pagano per l’incapacità, spesso manifesta, del loro operato?