Parlare di questo “Psicologia delle folle” per qualcuno potrebbe considerarsi più un lavoro di archeologia che di attualità. Eppure questo saggio dell’antropologo (e sociologo e filosofo e fisiologo e tanti altri e…) francese Gustav Le Bon, conserva ancora tantissimi elementi di interesse e spunti di riflessione, nonostante sia passato oltre un secolo dalla sua stesura, risalente addirittura al 1895.

Per assolvere in primis ai dettagli tecnici, il libro consta di 251 pagine, lo si trova con l’Isbn 978-88-502-0624-7 edito dalla TEA anche se è possibile trovare diverse edizioni e di diverse case. L’offerta più vantaggiosa per l’acquisto, spese incluse, è quella di Unilibro che lo vende a 8,50 € in formato classico oppure a 2,49 € in formato ebook.

Un libro così vecchio subisce inevitabilmente l’usura del tempo e presta altrettanto immancabilmente il fianco a critiche, a volte persino pertinenti ed altre sinceramente pretestuose. Uno dei tanti imperdonabili errori addebitati al Le Bon è quello di aver usato il termine “razza”  per definire gruppi intra-nazionali di persone (razza francese, razza inglese, ecc.). Tanto è bastato per fargli guadagnare accuse di razzismo pertinenti tanto quelle a Vianello e agli “altissimi negri” de “I Watussi”.

Andando al di là delle questioni di lana caprina, questo saggio, affrontato con il giusto piglio critico, risulta una piccola pietra miliare per chi vuole capire, conoscere, studiare e parlare del mondo del tifo. In realtà e più di tutti lo dovrebbe leggere il giornalista italopiteco medio, sempre schiacciato fra la banalità della “Follia ultrà” ed il peso di una realtà così complessa sociologicamente, che non può essere compresa arroccandosi nell’arroganza dei propri pregiudizi o della propria presupponenza.

In realtà Le Bon ha steso queste analisi pensando soprattutto alla folla di tipo sociale e politico, risulta perciò molto interessante rileggere tanti fenomeni di tal genere sotto la luce di queste considerazioni, dalle formazioni extra-parlamentari alle dittature, dalle presunte democrazie finendo per fenomeni recenti come i “5 stelle” e la loro idea di democrazia estesa appunto al popolo, quindi ad una piccola “folla” che poi risponde sempre a determinati meccanismi.

Traslare lo studio di Le Bon agli ultras non è una forzatura e non è nemmeno una novità. A suo modo lo fece già l’indimenticabile Valerio Marchi ai tempi del suo “Il derby del bambino morto”. In quel famoso Lazio-Roma del 2003/04 poi sospeso, si possono riscontrare con incontestabile precisione tutti i vizi, le virtù e le dinamiche di una folla di fronte a cause scatenanti di particolar tipo. Peccato solo che una tale lucidità di visione sia rimasta circoscritta al solo Valerio Marchi e ad appannaggio di una cerchia di esperti del settore. Per il resto ci siamo dovuti sorbire il vomito di luoghi comuni selvaggi e vuoti, il solito show da salotto televisivo pomeridiano il cui unico risultato è stato continuare a scavare il solco generazionale e ad alimentare la rabbia in queste generazioni escluse e bistrattate ben oltre i propri demeriti.

Non si può trattare una folla, che sia dal punto di vista giornalistico-analitico o che sia dal punto di vista della sua contenzione da parte delle polizie, allo stesso modo in cui si tratterebbe i singoli individui che la compongono. Una folla non è una somma di intelligenze e nemmeno una media, una folla non è mai razionale, una folla è totalmente emozionale e non agisce se non per l’impeto dettato dalle suggestioni contingenti.

Dato che le folle, dopo un periodo di eccitazione, cadono in uno stato di automatismo incosciente guidato dalle suggestioni, sembra arduo qualificarle criminali. (…) Alcune azioni delle folle sono certamente criminali se considerate in se stesse; ma allora è criminale anche una tigre che divora un indù.

Beninteso, Le Bon non traccia quadri assolutori o attenuanti di sorta, ma cerca semplicemente di analizzare con freddezza i fatti naturali, cause e concause annesse. Si capisce che il compito sia alquanto arduo ma è lecito attendersi una visione meno banale e più approfondita da parte di chi, arrogandosi il diritto di parlarne, dovrebbe avere un minimo di competenza in materia di folle a partire appunto da questi fondamentali. Anche se poi, con nostra buona pace, si apre il paradosso cortocircuitante per il quale i mass-media parlano ad una folla e quindi sono irrimediabilmente spinti verso la semplificazione, a parlare per evocazioni elementari che sappiano suscitare nella folla i sentimenti che vengono comodi e utili agli stessi mass-media e a chi li controlla.

A proposito di mezzi di comunicazioni di massa, è curioso notare un passaggio in cui Le Bon ritiene che i governi facciano sempre più fatica a controllare le opinioni delle folle in quanto le stesse sarebbero state rese fluttuanti ed eternamente mutevoli dalla diffusione degli stessi mass-media che ogni giorno si fanno portatori di idee nuove e diverse. Purtroppo per lui, e per noi, la realtà dei fatti successivi ha ampiamente sconfessato questa teoria e i governi hanno ben presto imparato a padroneggiare in proprio favore i giornali così come hanno fatto poi con le televisioni oppure, oggi, hanno preso il dominio anche di internet che sembrava all’inizio un avamposto di libertà.

Ci sono altre teorizzazioni smentite dalla prova dei fatti successivi, come quella delle scuole “professionali” e incentrate sulla pratica che plasmerebbero classi di lavoratori molto più capaci delle frotte di studenti instupidite da tanta teoria paralizzante. Quanto poi il mondo del lavoro fosse aperto o benevolo verso gli operai o i figli di operai allevati in batteria negli istituti tecnici, ce lo dicono chiaramente le nostre esperienze sociali dirette degli ultimi decenni.

Per gran parte delle altre analisi tratteggiate dall’autore francese, non si può che convenire, spesso amaramente, non si può che constatare quanto la storia abbia bagnato queste idee con la ragione pratica. Se da un lato si possono trovare dei lati positivi nel fatto che:

Ogni sentimento, ogni atto è contagioso in una folla, e contagioso a tal punto che l’individuo sacrifica molto facilmente il proprio interesse personale all’interesse collettivo;

oppure che:

Se nel concetto di moralità intendiamo far rientrare anche il manifestarsi momentaneo di certe qualità, come l’abnegazione, la dedizione e il disinteresse, il sacrificio di sé, il bisogno di giustizia, possiamo dire che le folle sono a volte capaci di raggiungere una moralità molto alta;

ci sono in compenso tanti altri incontrovertibili difetti nella psicologia delle folle. Per esempio:

I giudizi che (le folle) accettano sono sempre giudizi imposti e mai giudizi discussi. Da questo punto di vista sono numerosi gli individui che non sanno elevarsi sopra il livello delle folle. La facilità con cui certe opinioni si diffondono deve essere collegata soprattutto all’impossibilità, per la maggior parte degli uomini, di formarsi un’opinione personale, basata sui propri ragionamenti.

Senza dilungarsi troppo citando stralci di libro, ci sono diversi passaggi che evidenziano tante delle speranze disilluse di chi crede nei collettivi, dalla tendenza a farsi gregge nel bisogno ineluttabile di un capo, passando per la creduloneria che favorisce i retori o i venditori di speranze postume, a discapito degli iconoclasti o di chi ha l’ardire di denudare la triste verità a quanti invece preferiscono le più dolci illusioni. Questa e tante altre importanti riflessioni scaturiscono da questo saggio. Se vogliamo manca solo lo spazio alle piacevoli eccezioni alla regola che ancora restituiscono speranza che ci sia una pur remota possibilità di infrangerle in maniera continuativa e sovvertire l’ordine delle cose.

Un libro fondamentale nella bibliografia di quanti vogliono analizzare e capire il fenomeno ultras, uno dei tanti dei fenomeni di massa, oltre gli stupidi luoghi comuni deformanti dell’opinione pubblica. Un classico libro “da consultazione”, da tenere sempre a portata di mano per future riletture di nuovi episodi. Un libro che però non si legge facilmente, un classico libro da studio che ha bisogno di incrociare dati e fonti per integrarne la metabolizzazione. Un libro che non è un romanzo e che va assolutamente evitato da chi si aspetta storielle facili da leggere, capire, saper accettare o affrontare.

Matteo Falcone.