Il vento gelido che increspa il mare rende ancor più bello il contrasto tra le Alpi innevate e il Golfo. Portovenere è un gioiellino da godersi anche e soprattutto al di fuori della stagione estiva, con meno gente tra i suoi carruggi, dentro le sue chiesette e sul suo castello, che si staglia imponente su un panorama che per qualche istante ti ricorda la bellezza eterogenea e unica del nostro Paese. Il mio personale Spezia-Roma inizia presto, da questo borghetto situato a una mezz’ora dal capoluogo. Inebriato dalla bellissima giornata di sole e dall’aumentare, con il passare del tempo, di sciarpette bianconere e accenti romani.

Del resto quella del Picco è una trasferta inedita per i supporter capitolini e in molti hanno voluto timbrare per la prima volta il cartellino. I poco meno di mille tagliandi a disposizione sono finiti in pochi minuti mentre un cospicuo numero di romanisti è riuscito ad accaparrarsi posti in altri settori. Quest’anno va così: più la claudicante squadra di Mourinho incassa sconfitte e figuracce e più i suoi tifosi mettono in mostra la propria fede. Una sorta di parafilia insomma.

La giornata è talmente bella e godibile che tra Portovenere e La Spezia (15 km) la strada è praticamente congestionata; malgrado parta con un’ora e mezza di anticipo sul fischio d’inizio rischio persino di arrivare a gara iniziata.

Anche per il pubblico di casa è una sfida fondamentale. Le ultime due sconfitte hanno riavvicinato pericolosamente la zona salvezza, in una stagione che paradossalmente ha regalato alcune storiche soddisfazioni agli uomini in maglia bianca. I successi ottenuti in due templi del calcio italiano come San Siro (sponda rossonera) e il Maradona sono pagine che rimarranno a lungo nella memoria di ogni tifoso bianconero. Ma oggi c’è ancora da faticare e serrare i ranghi per mantenere la permanenza in Serie A, una categoria sognata per decenni a queste latitudini e arrivata in un momento storico alquanto complicato, con la pandemia a limitare gioia e festeggiamenti e a impedire, per oltre un anno, di vedere con i propri occhi club e mostri sacri sul manto verde dell’impianto spezzino.

L’ingresso avviene in maniera snella, senza troppi rallentamenti nei controlli. Peraltro voglio sottolineare come il club ligure – a differenza della quasi la totalità delle società di massima divisione – abbia stabilito un prezzo per il settore ospiti davvero onesto: 20 Euro. Considerato che in stadi fatiscenti, con visibilità scarsa e servizi pari allo zero spesso e volentieri se ne pagano 40, va ancora una volta ribadito come la strada per portare tifosi sulle gradinate sia quella dei prezzi popolari e non la vergognosa “spremitura” che ormai domenicalmente si fa del “cliente” con la sciarpa al collo. Ah, per quelli che a tale osservazione si affannano a dire che l’unica soluzione sia quella di lasciare gli stadi vuoti a oltranza, dico solo che pur rispettando la loro opinione, ci sono ancora generazioni che lo stadio vorrebbero frequentarlo, in maniera sostenibile. Sta di fatto che fin quando problematiche di questo genere verranno evidenziate, forse un barlume di speranza nel cambiamento c’è; laddove invece si preferisce lasciar tutto in mano al fato si è già perso in partenza. Anche considerato che ormai – si voglia o meno – le masse hanno smesso da tempo di seguire passo dopo passo gli ultras. Se poi il discorso è generazionale (i più anziani che non avendo più stimoli vorrebbero veder crollare questo mondo, in maniera molto egoistica) allora c’è sempre da dire che per ogni cosa c’è un suo tempo. Anche per frequentare lo stadio attivamente. Non è un obbligo, insomma. Del resto questo dovrebbe essere un movimento a larga base giovanile.

La Curva Ferrovia accoglie l’ingresso delle squadre in campo con una sciarpata, diverse torce accese e uno striscione d’incoraggiamento. Lo stucchevole cerimoniale della Serie A da ormai tanto tempo toglie un po’ di fascino a quello che è uno dei momenti più “vivi” di una partita: il saluto delle rispettive tifoserie all’arrivo delle squadre nel centrocampo e le relative ed eventuali coreografie. Ciononostante gli ultras di casa fanno la loro bella figura, anche perché – ricordando la poca flessibilità della Questura locale – usare la pirotecnica da queste parti è un rischio non da poco. Torce che appaiono anche nel settore ospiti, tra le fila di una tifoseria che fino a qualche anno fa era vera e propria maestra del genere. I romanisti, come da consuetudine in questa annata, propongono il “Roma, Roma, Roma” che coinvolge tutto il settore e viene accompagnato da una discreta sciarpata.

Ora, chi ha letto ogni tanto i miei racconti avrà colto un discreto spirito critico nei confronti delle performance di tifo giallorosso. Questo non perché io mi voglia erigere a giudice o a professore di non so cosa, ma perché conosco l’immenso potenziale della Sud e dispiace a volte vederlo sfruttato al 20%. Con la stessa onestà però oggi devo dire che la prestazione dei romanisti è davvero di grande livello, sicuramente una delle migliori viste e udite lontano dallo Stadio Olimpico. I lanciacori coordinano alla perfezione un settore che oggi canterà quasi sempre all’unisono e per intero, restituendo l’impatto visivo di un vero e proprio muro sui battimani e facendo rimbombare in maniera possente i cori a rispondere. Sarà lo stadio “nuovo”, sarà la vicinanza al campo e sarà anche il voler esprimere di nuovo la fede incrollabile, ma penso che oggi chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale possa solo riconoscere l’ottima prova dei giallorossi.

A questo commento aggiungo anche che sì, è vero, spesso e volentieri ci si trova davanti a una Sud sottotono, quasi svogliata. In alcune partite il tifo fa fatica a coordinarsi e a coinvolgere le zone più lontane del settore. Ma in ogni caso mi permetto di dire che ci si trova di fronte a una tifoseria genuina, quasi tribale. Ruvida nella sua anima e soprattutto non commercializzata. E questo non è affatto scontato per una delle piazze più grandi d’Italia, proveniente per giunta da una metropoli. Oggi piace sovente la standardizzazione, l’omologazione dell’intera tifoseria. Beh, a queste latitudini non è così. E questa forse è un’arma a doppio taglio per la Sud, che spesso l’ha portata ad avere problemi di compattezza, ma che tirate le somme non l’ha robotizzata. Non le ha fatto stampare centinaia di stendardi e striscioni tutti uguali, magari per vendere il proprio “brand”. Le ha fatto seguire alcune mode, ma solo marginalmente. Può piacere o meno, si può avere simpatia o meno, ma credo sia innegabile che la base ultras sia sempre rimasta preminente, forte e destinata ad emergere pure nei momenti più opachi. Chi vive Roma quotidianamente e ne conosce bene le sfumature – cominciando proprio dall’ormai anima commerciale e snaturata di questa città – sa quanto l’aggregazione curvaiola rappresenti una vera e propria mosca bianca. Non è un caso che in tanti, con il corso della vita, abbiano avuto sempre più difficoltà nel coesistere e tollerare l’Urbe, ma siano rimasti legati al cordone ombelicale della Curva Sud.

Ovviamente di fronte si ha una realtà diversa, una di quelle curve di provincia che si sono fatte le ossa nelle categorie inferiori, onorando sempre rivalità tutt’altro che semplici. È proprio perché ricordo gli spezzini contro Pisa, Carrara, Livorno, Reggiana, Genoa, Vicenza, Verona, Spal e via dicendo che credo abbiano tutto sommato meritato la Serie A. Ho già avuto modo di affermarlo quest’anno, quando raccontai il derby contro il Genoa. Quindi oggi non mi ripeterò, ma posso solo dire che si confermano un’ottima realtà, tifando per tutta la gara e colorando il proprio settore con sciarpe e bandiere. Anche loro, come ormai tutti, risentono di uno spazio troppo grande, dove risalta la “divisione” tra ultras e tifoso normale. Ma questo è figlio dei tempi. È figlio anche di un lavoro fatto male dal movimento intero, a dirla tutta. Troppo spesso autoreferenziale all’ennesima potenza.

In campo la partita è a dir poco nervosa. Lo Spezia rimane in dieci a pochi minuti dall’intervallo, per la doppia ammonizione di Amian. La Roma ci prova in tutti i modi, cogliendo due pali e due traverse, sbagliando almeno tre nitide palle gol a tu per tu con Provedel e trovando sulla propria strada il numero uno dello Spezia, oggi in stato di grazia. La squadra di Thiago Motta è tignosa e malgrado la pressione subita e l’inferiorità numerica in alcune occasioni tenta anche di mettere la testa fuori, sfiorando persino il gol con ‘Nzola. Quando tutto sembra volgere verso il pareggio a reti bianche, sull’ennesima carambola in area ligure, con i giocatori ospiti incapaci di spingere la sfera in rete, l’arbitro viene richiamato al var e assegna un calcio di rigore per fallo di Maggiore su Zaniolo. Dal dischetto va Abraham che non sbaglia, facendo esplodere il settore romanista.

Non sta a me giudicare la decisione arbitrale, ancora una volta però mi preme sottolineare quanto il Var abbia reso il calcio tutt’altro sport rispetto a quello che abbiamo sempre vissuto. E ancora una volta ribadisco che a prescindere dalla situazione e da chi ne giovi o ne gravi, è uno strumento che restando nelle mani di un essere umano è soggetto ad errore.

Dopo il triplice fischio le due squadre vanno a prendersi l’abbraccio del pubblico, mentre si registrano “scambi di opinioni” tra qualcuno della Curva Piscina (dove è posizionato il Gruppo Bullone) e qualche romanista. Situazione portata quasi subito alla calma. Peraltro nulla da segnalare tra le due tifoserie, che si sono ignorate per tutta la partita, anche in virtù del match di andata in cui gli spezzini avevano solidarizzato con la Sud, in silenzio da metà primo tempo per il malore occorso a un tifoso romano.

Il pubblico defluisce lentamente e anche per me è tempo di tornare a casa. Mi faccio spazio tra gli stretti seggiolini del Picco e conquisto la via d’uscita, stringendo i pugni in tasca per proteggere le mie mani dal pungente freddo della brezza marina. La strada che si inerpica verso Portovenere è ora libera e di tanto in tanto qualche macchina la percorre mostrando i fari, segno della notte scesa e della domenica che sta ormai volgendo al finale.

Simone Meloni