Il treno sferraglia liberamente negli ultimi chilometri di Veneto. La provincia di Rovigo passa davanti ai miei occhi venendo lentamente immersa dal crepuscolo, disegnato dai colori rossastri di un cielo che presagisce la classica nebbia ottobrina di queste zone. Ferrara è la mia destinazione. Lo stadio Paolo Mazza il mio obiettivo. A pensarci bene ebbi la fortuna di visitare il bellissimo capoluogo estense qualche anno or sono, pernottandovi sulla strada per Budapest. Ciò mi ha dato quindi la possibilità assolvere ai compiti turistici. All’epoca non potei resistere a una visita dello stadio. Era estate piena, con un caldo afoso e le gradinate vuote ma ugualmente imponenti.

Il Mazza e la Spal mi fanno tornare indietro, a ricordi d’infanzia. Per almeno un paio di motivi. Il primo è legato a Everardo Dalla Noce, storico giornalista ed economista tifosissimo della Spal, che da questo stadio era solito collegarsi a metà anni novanta per la trasmissione “Quelli che il calcio”. Tra il serio e il faceto, nascondendosi sovente dietro le tipiche colonne che sorreggono la tribuna coperta, narrava le vicende dei biancazzurri relegati in Serie C e non certo ambiziosi o con obiettivi di risalita.

Il secondo ricordo, forse ancor più contorto, mi porta più indietro con gli anni. Stagione 1992-1993, l’ultima dei ferraresi in Serie B e il mio primo album Panini. Uno dei doppioni ritrae proprio due giocatori spallini, e resterà attaccato al contatore del gas per almeno tre lustri, fin quando lo stesso non sarà cambiato. Quello stemma con il cerbiatto su sfondo biancazzurro sarà per me emblematico ogni qualvolta sentirò parlare del club emiliano. Un sodalizio dal nome che ovviamente incuriosisce la mente di un bambino ingenuo. “Società Polisportiva Ars et Labor”, mi spiegherà mio padre. Sottolineando: “Hanno fatto la Serie A per tanti anni”. Ed è vero. La Spal è una delle squadre storiche del nostro calcio e rivederla in B non può che essere una vittoria per un pallone sgangherato e poco memore della propria tradizione. Lo stesso pallone che è ormai solito ergere a favola chi favola non è.

Dalla stazione si intuiscono le luci dell’impianto sportivo. Ventitré anni di assenza dal secondo scalino del calcio italiano si sono fatti sentire. Oggi tutta la città freme per la propria squadra e ragazzi, signore e signori accorrono con le proprie biciclette, permettendo di scattare una meravigliosa istantanea dell’Italia anni ’60, quando gli stadi erano posizionati in centro e nelle rigogliose cittadine del nord si girava quasi ed esclusivamente sulle due ruote. Tuttavia non è stato sempre così. Il pubblico ferrarese ha conosciuto la “miseria”. Quella vera, sportivamente parlando. Retrocessioni, fallimenti, campionati senza capo né coda. Sembra di vedere sempre lo stesso film quando si parla di club gloriosi: l’incuria e il menefreghismo che tentano di affossarne lo spessore e l’ego e, fortunatamente, qualcuno che ogni tanto li fa rialzare.

Faccio l’avvocato del diavolo. E rispondo subito all’affermazione che in tanti si faranno vedendo le foto di una Curva Ovest stracolma e di un ambiente davvero bello. “Troppo facile quando va tutto bene”. Mi sia permesso di dissentire in parte. Anzitutto credo che fare una colpa a chi va allo stadio anche grazie ai risultati, oggigiorno, sia quanto meno discutibile. Con i tempi che corrono osservare delle gradinate piene è sempre un piacere, ed è innegabile che i successi portino pubblico. Ma questo non certo da oggi. Anzi, oggi non è proprio scontato che l’uno sia la conseguenza dell’altro. Basterebbe dare un’occhiata a determinati stadi di Serie A e B, con squadre che vengono da ottime annate eppure fanno registrare il minimo sindacale a livello di spettatori. Se poi si analizza ciò in chiave prettamente ultras, secondo me va dato atto alla curva ferrarese di aver saputo sfruttare la risalita della squadra facendo un lavoro di aggregazione e costruzione davvero molto intelligente. Io sono sempre dell’idea che nel calcio contemporaneo, ridotto a brandelli e ucciso da componenti insormontabili come campagne denigratorie, repressione e apatia generale, bisogna anche prendere il lato bello delle cose, senza fare troppi giri con la testa.

Quella con l’Avellino è una sfida interessante. Che mette di fronte due tifoserie in ottima forma, sebbene le vicende calcistiche siano al momento opposte. Attorno allo stadio è un viavai di gente, con i palazzi che cingono stretto il Mazza e diverse code ai prefiltraggi quaranta minuti prima del fischio d’inizio. Quest’ultimo è sicuramente l’aspetto negativo della Serie B. Il salto di categoria, infatti, ha reso i controlli e la “burocrazia” più maniacali. Un prezzo che i tifosi sono ormai costretti a pagare sempre più salato, in proporzione allo scalino della piramide pallonara che occupano.

Effettuato l’ultimo giretto decido di entrare. Supero agevolmente i tornelli, che da queste parti non sono costituiti da alte e scomode cancellate in acciaio, ma da semplici tripodi in stile metropolitana. Tutto molto mitteleuropeo, bisogna ammetterlo. Salgo le scalette e si apre di fronte ai miei occhi lo scenario degli spalti gremiti. L’unico peccato è vedere parte del Distinto chiuso. A quanto sembra dovrà esser rifatto, venendo buttato giù in parte. Un vero sacrilegio sapere che quelle gradinate vetuste e retrò dovranno subire importanti cambiamenti strutturali. Ma intanto mi godo gli ospiti attaccati al campo e i tifosi spallini stipati nei due settori disponibili. Nessun seggiolino numerato e le classiche inferriate visibili su tutte le fototifo anni ’70-’80.

Prima del fischio d’inizio, come di consueto in questa stagione, la società ha deciso di premiare un personaggio illustre nella storia della Spal. Stasera è il turno di Fabio Capello, che da queste parti ha giocato per tre stagioni, dal 1964 al 1967. Un personaggio controverso, che non ha mai risparmiato le invettive contro il mondo delle curve, definendo gli ultras “i padroni del calcio”. Tutto ciò non poteva passare inosservato ai ragazzi della Ovest, autori di un comunicato in cui si spiega come da parte loro non ci saranno applausi per il tecnico di Pieris. In questo caso ritengo la scelta di non fischiare una vera prova d’intelligenza per evitare l’effetto boomerang. Per chi frequenta gli stadi saltuariamente e non da ultras sarebbe difficile capire la dinamica che porta a contestare platealmente un ex giocatore, provocando sicuramente un clima astioso nei confronti del tifo organizzato. In tempi dove il movimento è sempre più a rischio estinzione occorre agire prima con la testa che con la pancia.

Terminata la cerimonia è tempo di scaldare la macchinetta, con i supporter irpini che prenderanno lentamente posizione. Considerando il turno di lunedì, la squadra che non decolla in campionato e la distanza, la presenza può considerarsi più che buona. Il piglio con cui entrano allo stadio la dice lunga sulla loro impostazione: tutti sopra le ringhiere con lo striscione davanti e i bandieroni in basso a sventolare coreograficamente. La maniera migliore per far compattare quasi tutto il contingente. E l’effetto è assicurato. Novanta minuti di tifo impeccabile. Manate, voce, intensità e colore. Oltre alla solita, perfetta, sciarpata, eseguita nel secondo tempo. Insomma, tutt’altro che semplici spettatori di fronte all’ottima giornata degli ultras ferraresi. La loro performance è diametralmente opposta a quella della squadra in campo, che subisce in maniera quasi passiva il gioco e la foga agonistica degli avversari, finendo per essere sconfitta con un pesante 3-0. Un ko che lascia il segno e fa scattare il campanello della contestazione finale, con il tecnico Toscano preso di mira.

Chiaramente questo inizio di stagione e l’andamento del match sono un vero e proprio richiamo per i tifosi della Spal. La società ha lavorato sodo, allestendo una squadra all’altezza e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’ambiente è carico e sin dal primo minuto i ragazzi della Ovest si fanno valere con i loro canti, ritmati alla perfezione dal tamburo, e una bella sciarpata che fa da preludio al fischio d’inizio. Da lì in poi è un incedere di cori tenuti con ottima intensità ed eseguiti da buona parte del settore. Non dimentichiamoci che parliamo di una curva con 3.500 persone, di cui tanti, fino allo scorso anno, frequentavano saltuariamente il Mazza. Pertanto pretendere che tutto il settore canti è davvero impossibile (del resto ditemi oggi quale curva di casa, in Italia, canta dalla prima all’ultima fila?), ma vedere la maggior parte dei presenti partecipare ai cori, seguire i coordinatori e spesso contagiare anche la tribuna coperta, è davvero piacevole. In tutto non sottovalutiamo l’assenza di megafoni, che rende ancor più difficile coinvolgere così tante persone.

Risulta quasi complicato da spiegare, ma sembra che tutto a un tratto la “voglia di Spal” si sia risvegliata prepotente. Si capisce che non è solo una moda del momento. Anche negli occhi di chi viene allo stadio oggi per la prima volta. Anche per lui la Spal è sempre esistita ed è sempre stata un’istituzione cittadina. Non so, a me risulta sempre difficile puntare il dito contro il “tifoso occasionale”. Sempre meglio che prima o poi venga allo stadio e magari diventi parte integrante della curva rispetto al vederlo seguire gli squadroni della Serie A. A suffragare questa passione esistente, ma forse sopita da annate anonime, ci sono le esultanze ai tre gol di Antenucci. Dei veri e propri boati che alla terza marcatura si trasformano in un maxi festeggiamento sotto la Ovest. È l’antipasto del giubilo che esplode al triplice fischio, quando gli spallini si ritrovano in zona playoff e con la certezza di avere una squadra valida e tosta per il torneo.

Resto ad osservare le ultime scene dagli animi contrapposti. Con i tifosi campani che ammainano le bandiere guadagnando la via di casa delusi per il risultati ma orgogliosi per aver onorato il nome della propria città e della propria curva. Mentre dall’altra parte si continua ancor per un po’ a festeggiare. Poi anche per me la partita volge definitivamente al termine.

La nebbia si sta lentamente impossessando di Ferrara. Da queste parti dicono che ormai è difficile vederne di così fitte. Chissà, magari anche lei ha deciso di tornare indietro di qualche decennio, in memoria di quella Spal degli anni ’60, ultima a conoscere il prestigioso palcoscenico della Serie A. C’è molto di quei ragazzi in bianco e nero nella squadra di Semplici. È forse un ambiente ancora genuino e squisitamente provinciale a dargli quella carica in più. Lo stesso che fa uscire anziani e bambini canticchiando il motivetto di giornata: “Amarti ancora, farlo dolcemente”.

Simone Meloni