L’atleta napoletano Cristian Lubrano, argento ai mondiali di kickboxing dello scorso ottobre, oltre che salire su un ring, ha scalato innumerevoli volte anche i gradoni degli stadi, visto che, da sempre, è anche un ultras della squadra della sua città. La palestra e lo stadio sono stati i suoi capisaldi fin da quando era adolescente e intorno a queste due grandi passioni che da sempre caratterizzano la sua vita, abbiamo voluto incentrare una chiacchierata con lui.

Partiamo dall’inizio Cristian: cosa porti con te dalla tua esperienza allo stadio?

I principi Ultras, quelli che mi hanno aiutato in tante situazioni della vita, mi hanno forgiato il carattere e mi hanno insegnato davvero a non mollare mai.

Ancora oggi?

Per me sì. Essere Ultras non è una moda, è una filosofia di vita. Purtroppo molti se ne sono dimenticati. Oggi non puoi pensare di fare l’Ultras solo dentro lo stadio. Lo spirito Ultras te lo devi sentire dentro, deve essere parte di te. Lo stadio, la partita, i giocatori… non possono essere la priorità assoluta. Prima di tutto dovrebbe esserci la voglia di ribellione, l’amicizia, il rispetto… E tutto questo non può essere limitato ai 90 minuti della gara. Anche perché oggi – al di là della pandemia – entrare allo stadio non è più una libertà, ma quasi una sorta di concessione. Io la vedo così, tant’è che non sto entrando. E non solo adesso che è diminuita la capienza. Le partite le vivo stando fuori dal San Paolo. L’aria era già pesante prima dell’avvento dell’emergenza sanitaria, ora il mancato rispetto del distanziamento sociale e altre normative collegate, hanno fornito una scusa in più per reprimere e dispensare multe o diffide.

Quali sono le alternative alla partita?

Ultras significa “andare oltre” e si può “combattere” in strada ogni giorno: adoperandoti per la tua gente, per la tua città. Portando la voglia di ribellione in ogni situazione in cui ci sia bisogno di farlo. E direi che le occasioni non mancano, visto il clima di repressione che si respira. Se sei Ultras, lo sei sempre, non a fasi alterne.

Ci vuoi dire del progetto “Over the Four Walls” a cui hai dato vita da qualche mese?

È un progetto nato in carcere. Durante il mio percorso di vita ho commesso degli errori, e dal ring mi sono ritrovato in cella. Lì ho saputo trasformare la rabbia in energia e ho realizzato che potevo costruire qualcosa anche oltre le quattro mura. “Over the Four Walls”, appunto. Da quando sono tornato in libertà (nel febbraio 2021), mi sono impegnato a dar vita a questo progetto, con lo scopo di supportare chi è in difficoltà.

Ad esempio?

Abbiamo dato sostegno ad un canile di Ponticelli che ospita molti cani con problematiche diverse; ci stiamo adoperando per dare conforto ai senzatetto di Napoli. Soprattutto vogliamo aiutare i ragazzi giovani, magari quelli che provengono da situazioni disagiate, cercando di avvicinarli allo sport. Inoltre ci piacerebbe – in futuro, quando finalmente l’emergenza sanitaria sarà rientrata – portare il nostro sport e il nostro progetto nelle scuole.

Cristian, nella sua carriera, vanta un palmarès davvero importante: 10 Italian Champion, 11 President Cup, 12 Italian Cup, 4 Gladiator Cup, Golden Belt, Bruiser Champion, World Cup Champion, Best Fighter Champion. Il risultato più importante non è però di quelli annoverabili in bacheca, ossia aver destrutturato con le proprie affermazioni sportive il falso mito della violenza distruttrice e senza senso degli ultras. Una violenza che potrebbe facilmente essere compresa non decontestualizzandola o strumentalizzandola, una rabbia dietro la quale c’è un’energia che in altri contesti può essere trasformata in senso costruttivo, cambiando presente e futuro non solo per sé ma anche per gli altri. Come la storia di Cristian dimostra.