La schiena chiede pietà dopo un anno passato a sorreggere il pesante zaino che ormai, come di consueto, mi porto in giro per mezza Europa. Di fatto è diventata la mia seconda casa, e anche questa volta mi soverchia immancabile durante l’arzigogolato tragitto verso Praga. Per la seconda volta in questa stagione parto dall’aeroporto di Rimini. Era successo già in occasione del quarto di finale tra viola e Lech Poznan. Stavolta la bella stagione è in piena ascesa, permettendomi di ingannare l’attesa del volo tra una passeggiata sul Lungomare e una sosta per la classica abbinata piada e cassone. Magari non ci sarà ancora il flusso turistico di luglio e agosto, ma il viavai di stranieri in riva agli stabilimenti è già notevole e dopo la prima sensazione di piacere finisce per stancarmi, suggerendomi un sortita nel centro storico, sicuramente meno movimentato.

Lo scalo di Rimini e San Marino dedicato a Federico Fellini è situato proprio tra il capoluogo e Riccione, tanto è vero che ci si arriva velocemente con la comodissima Metromare. Più di qualche tifoso toscano ha avuto la mia stessa idea, e alla fine davanti al gate mi ritrovo stretto tra un centinaio di maglie gigliate. Tutti eccitati dall’idea di seguire la squadra di Italiano in una finale europea che ufficialmente manca da trentatré anni, più precisamente da quella di Coppa Uefa 1989/1990. Tre decenni in cui il ricordo di quel doppio confronto con la Juventus è sovente tornato in veste di fantasma, tormentando sogni e memorie viola. Una sconfitta che sia per chi l’ha vissuta che per le generazioni future, ha sempre celato una delusione figlia – oltre che delle prestazioni sportive – di alcune decisioni piovute dall’alto che danneggiarono club e tifosi. Su tutte, ovviamente, la scelta di giocare la finale di ritorno (dopo il 3-1 maturato a Torino ad appannaggio dei bianconeri) ad Avellino – notoriamente feudo del tifo bianconero – per alcune intemperanze avvenute durante la semifinale contro il Werder Brema e in occasione del match di andata al Comunale. In un periodo dove, peraltro, la voce di un passaggio di Roberto Baggio alla Juve cominciava a farsi largo, destabilizzando l’ambiente.

Come andò è storia ormai consegnata agli almanacchi, con lo 0-0 del Partenio che consegnò il trofeo nella mani dei bianconeri e la cocente delusione di una Fiorentina che con quella sconfitta non era riuscita a vendicare un’altra triste serata della propria storia, quella del 30 maggio 1957, quando i Campioni d’Italia – all’epoca guidati da Fulvio Bernardini – vennero sconfitta al Santiago Bernabeu dal Real Madrid, nella finale della seconda edizione di Coppa dei Campioni. Certo, dirà qualcuno, la Conference non si porta dietro il prestigio di quelle due coppe, ma è sicuramente un traguardo importante per un club che è ormai abituato a veleggiare nella zona mediana della classifica e che difficilmente riesce a regalare qualche emozione ai propri sostenitori. Peraltro in quest’annata già un primo traguardo è andato perso: la finale di Coppa Italia con l’Inter, infatti, per lunghi tratti ha illuso il popolo fiorentino di poter tornare a cucirsi la coccarda tricolore sul petto. Una gara ben giocata, condotta per quasi metà della sua durata, ma persa in maniera rocambolesca e sfortunata. La Coppa Italia è peraltro l’ultimo trofeo vinto dalla Fiorentina. Un ricordo lontano, che va a ritroso di ben ventidue anni: era il 13 giugno 2001, infatti, quando la squadra allenata da Mancini riusciva ad avere la meglio sul Parma e ad alzare al cielo la coppa. Ultimo sussulto prima del fallimento e della ripartenza dalla Serie C2.

Senza scomodare il fato o la tanto abusata figura retorica degli “eterni dannati”, è palese che a pervadere il tifoso fiorentino ci sia ormai da anni una sensazione di rassegnazione a questo buio e lungo tunnel in fondo al quale non si intravede nessuna luce. Che poi non parliamo nemmeno della pretesa di chissà quali successi, ma di ciò che ogni tifoso brama di più: il diritto a sognare. La possibilità di credere che qualche traguardo sia raggiungibile e che il proprio entusiasmo trovi fondamentale sfogo in questo percorso.

Ho avuto già modo di parlarne ultimamente, ma voglio ribadirlo: la Curva Fiesole in questi anni è forse il contingente ultras più cresciuto tra quelli storici e provenienti da grandi città italiane. Riprendere in mano il discorso ultras dopo lo scioglimento di un mostro sacro come il Collettivo non è stato facile e non a caso ci sono voluti anni e un lavoro meticoloso da parte di tutte le componenti. Oggi va di moda voler far primeggiare la propria pezza, guardarsi il proprio orticello, ignorando quanto nella società del 2023 sia fondamentale porre il bene della propria curva avanti a tutto. Cosa essenziale se non si vuol sparire o fare il gioco di chi punta a dividere e spaccare per gestire e reprimere. Avranno avuto sicuramente i loro problemi e le loro frizioni anche gli ultras toscani, ma è palese che passo dopo passo siano riusciti a far prevalere il senso di comunità. Il vessillo dietro cui tutti si riconoscono. Una curva che attualmente sa tifare, riesce a convogliare al meglio l’attaccamento proverbiale e immutato della città, fa militanza senza strani giri o secondi fini e – ultimo ma non meno importante – riesce a dire la sua anche al di fuori delle gradinate. Senza piangersi addosso, accettando di partecipare al gioco anche laddove le sanzioni non sono propriamente leggere.

Quando arrivo a Praga un discreto numero di agenti è schierato agli arrivi e ferma chiunque abbia una sciarpa al collo, chiedendo documenti e biglietto della partita. Io mi defilo, facendo finta di nulla, e mi avvio inosservato alla fermata dell’autobus per il centro cittadino. Non avrei avuto alcun problema a esser fermato, ovviamente, ma è proprio il concetto di stato d’assedio che si vuol creare all’arrivo dei tifosi del calcio a darmi fastidio. E siccome, prima da tifoso e oggi da “partitellaro”, sono abituato ad aggirare e bypassare gli ostacoli, tanto vale continuare su questa linea! Ci sono alcuni pullman appositamente adibiti al trasporto presso le rispettive fan zone. Tra le mie intenzioni c’è anche quella di dare un’occhiata a queste aree, ma in virtù di quanto scritto sopra preferisco decisamente salire su un normale autobus di linea e poi cambiare con il tram. Peraltro, ancor prima di fare tutto, voglio ritirare l’accredito, per essere più tranquillo nel prosieguo della giornata. Il tram mi porta direttamente all’Eden Arena – impianto che avevo avuto modo di visitare già qualche anno fa in occasione di uno Slavia Praga-Zenit San Pietroburgo di Europa League – e in pochi minuti entro in possesso del pass, potendo finalmente dedicare il mio tempo a tutto quello che circonda questo evento.

La prima destinazione è proprio la fan zone dedicata ai tifosi della Fiorentina, allestita nel parco Vystaviste, a pochi metri dal corso della Moldova. Si dice che saranno in migliaia a raggiungere la Repubblica Ceca senza biglietto. Un po’ per le solite, scellerate, politiche di vendita della Uefa, un po’ per la scelta di uno stadio con una capienza di circa 20.000 spettatori. Stessa cosa accaduta lo scorso anno con l’Arena Kombëtare di Tirana, dove i romanisti ebbero lo stesso problema. Superandoli, tuttavia, “all’italiana”! Non so se è vero che tanti siano arrivati qui senza il tagliando – almeno su fronte viola – e non so neanche se poi abbiano comunque provato a entrare. Quello che vi posso dire con certezza è che l’area dedicata ai supporter gigliati resterà per quasi tutta la giornata semi deserta. Oltre a esser stata allestita davvero male, con un terreno fangoso e sudicio, appare ovvio come questi spazi non siano propriamente graditi dai tifosi italiani. Soprattutto dalle tifoserie organizzate. Non è un caso che la maggior parte dei fiorentini si stanzierà in una delle piazze centrali di Praga, proprio a pochi passi dalla celebre Piazza della città Vecchia. Dove, come vedremo, sono invece presenti migliaia di tifosi inglesi.

Ora, nessuno me ne voglia se per l’ennesima volta vado a infrangere il suo tanto adorato mito britannico. Ma davvero, più li vedo e più mi chiedo cosa ci troviate di tanto entusiasmante in queste tifoserie che – oltre a un indubbio attaccamento ai propri colori e a una passione sconfinata per il football – sembrano ormai essersi auto declassate a comitive in gita per le festività pasquali. Al contrario la fan zone loro destinata – situata alle spalle del bellissimo Letná Park (da dove si vede tutta Praga) – è stracolma sin dalle prime ore del mattino. Orde di ragazzi, ragazze, uomini e donne con la maglia degli Hammers sorseggiano birra, ingollano wurstel e di tanto in tanto si lasciano andare sulle classiche note di I’m forever blowing bubble. Tutto molto folkloristico direi. Una sorta di sagra paesana trasposta a una finale europea. Attenzione: io amo le sagre paesane, rappresentano un punto focale della nostra cultura e un momento fondamentale di socialità. Ma da chi è passato alla storia per le sue azioni passate, per i suoi bigliettini lasciati sulla pancia degli avversari morenti e per la “cattivissima” fama che ha addirittura generato un filone letterario quasi a sé, mi aspetterei ben altro. E le cose non vanno propriamente meglio a Staroměstské náměstí, la Piazza della Città Vecchia, dove i tanti inglesi presenti si divertono, qualcuno addirittura chiedendo foto ricordo con i tifosi italiani. Ovviamente molto meno propensi all’interpretare questa giornata come una scampagnata.

Sui noti fatti di cronaca che avverranno da lì a poco cosa dire? Il contingente italiano, che forse come me si aspettava un po’ più di “tensione” nell’aria, ha evidentemente voluto un confronto con chi ha ritenuto più idoneo. Ciò che davvero mi ha colpito è stata la veemente reazione della polizia locale a fatti che, tutto sommato, erano facilmente gestibili e arginabili. Un vero e proprio plotone di agenti in tenuta anti-sommossa esce fuori dalle camionette fermando diversi tifosi viola, chiudendoli in un angolo. Ripresi, minacciati e successivamente identificati. Qualcuno viene rilasciato immediatamente, mentre altri vengono trattenuti e saranno liberati solo a notte fonda, grazie al certosino e impeccabile lavoro degli avvocati, che gli frutterà il solo pagamento di una sanzione e nessun altro problema dal punto di vista penale. In tutto ciò mi preme sottolineare l’atteggiamento di alcuni Hammers, i quali durante la procedura di identificazione della polizia ceca, pensano bene di avvicinarsi agli agenti, salire su una fioriera di cemento e indicare quali siano secondo loro i responsabili dei tafferugli. Senza voler fare di tutta l’erba un fascio, la somma matematica fra questo più la fan zone piena di gitanti restituisce un risultato abbastanza indicativo di quello che le tifoserie inglesi sono attualmente diventate.

Come se non bastasse, quando la situazione sembra apparentemente tornata alla calma, le forze dell’ordine convogliano i supporter italiani verso i mezzi pubblici, per portarli alla fan zone e da lì incanalarli verso lo stadio. Una volta scesi in un sottopassaggio, gli agenti pensano bene di sferrare una inutile e immotivata carica, “prendendo” altri ragazzi con sé e facendo aumentare la tensione. Io posso comprendere il lavoro di contenimento, prevenzione ed eventuale sanzione relativa a fatti violenti, ma di certo comprendo un po’ meno l’atteggiamento provocatorio e gratuitamente sopra le righe. Peraltro io mi stavo aggregando a loro, per saggiare un po’ l’ambiente e seguire il torpedone viola fino allo stadio, ma ammetto che una volta subodorata l’aria che tirava e visto con quanta poca tranquillità la polizia svolgeva il proprio lavoro, ho preferito risalire in superficie e montare su un normale tram di linea per raggiungere l’Eden Arena.

Una volta giunto a destinazione mi inoltro lentamente nella zona che circonda l’impianto. Le strade brulicano più che altro di inglesi, con i viola che stanno arrivando alla spicciolata a bordo di treni speciali in partenza dal loro punto di raccolta. Il dispiegamento di polizia è impressionante, sebbene in fase di accesso noto palesemente come la calca vinca nettamente su qualsiasi velleità di controllo. Lo stadio dove abitualmente lo Slavia Praga gioca le sue gare casalinghe è un vero e proprio gioiellino, e se non fosse per la capienza ridotta sarebbe assolutamente degno di ospitare una finale europea. Non sono un amante di Praga, che ritengo ormai una delle città più vendute al turismo e snaturate del Vecchio Continente, al netto della sua innegabile bellezza. Fa sempre un certo effetto, però, notare come anche questi posti siano anni luce avanti in fatto di servizi, trasporti e impianti rispetto ad almeno il 90 percento del nostro Paese. Con pochi minuti il tram ti porta allo stadio, senza traffico e senza stress, le gradinate sono semplici ma adatte al calcio (e chi mi ha letto più di qualche volta sa che paradossalmente io sono un amante degli stadi retrò, vecchi e fatiscenti) e le tifoserie al proprio interno possono forgiarsi con un tifo che viene ovviamente aiutato dalla conformazione della struttura. Sia chiaro: per me i veri “vincitori” sono quelli che riuscivano a farsi valere in impianti dispersivi e anti tifo come il vecchio Friuli di Udine, ma ogni tanto credo che a tutti farebbe piacere avere un problema in meno nel mandare avanti la basilare attività all’interno dello stadio.

Ciò detto, quando faccio il mio ingresso, soltanto la zona riservata ai supporter del West Ham è gremita. I fiorentini, anche a causa dei problemi di cui ho parlato, stanno facendo il loro ingresso in maniera più lenta. E solo quando tutti gruppi prendono posto, sistemano le loro pezze e il loro materiale, si intuisce che anche a livello vocale non ci sarà davvero partita. Bello l’I’m forever blowing bubble intonato prima del fischio d’inizio, coralmente perfetti quei 5-6 canti eseguiti durante tutti i novanta minuti e sicuramente impressionante il lancio di bicchieri ai giocatori della Fiorentina, con il povero Biraghi che ne fa le spese mentre è intento a battere un corner. Ma qua ci fermiamo per quanto riguarda gli “inenarrabili” Hammers. Elettrocardiogramma totalmente piatto per il resto, soprattutto se confrontato alla Fiesole formato trasferta.

Una cosa, non me ne voglia nessuno: i fiorentini dedicano i primi cori ai diffidati e ai ragazzi arrestati, andando poi dritti per la propria strada a sostegno della squadra. Come dicevo prima, in ciò noto e apprezzo la totale assenza del volersi piangere addosso per quanto successo prima del match e magari arrivare a forme estreme di “protesta” come il non tifare. Io comprendo tutto, cominciando dalla solidarietà nei confronti di chi subisce abusi e angherie da parte delle forze dell’ordine, casi in cui ovviamente sono il primo a sposare silenzi, settori vuoti o scioperi del tifo. Tuttavia penso che siamo tutti adulti e vaccinati per comprendere la società in cui viviamo e le sue, ormai, pesanti e facili restrizioni alla libertà personale in determinati casi. Quando si continua a frequentare lo stadio in un determinato modo se ne accettano anche le regole non scritte, che non sempre sono piacevoli. Ma la mentalità secondo cui chi viene privato della propria libertà in seguito ad eventuali tafferugli voglia che i propri sodali tifino ancor più forte in curva, per me è quella più corretta. Poi è chiaro che ogni curva ha i propri codici, le proprie credenze e il proprio modo di vivere lo stadio. Lungi da me giudicare. Questa resta una mia opinione personale.

Tornando all’ambiente, come dicevo la performance dei gigliati è pressoché inappuntabile. Stile italiano a tuttotondo: tamburi, bandieroni, manate che prendono tutto il settore, striscioni, un paio di sciarpate, cori a rispondere e qualche torcia accesa di tanto in tanto. Un dominio totale, ma del resto guardando i dirimpettai direi che è un po’ come sparare sulla croce rossa (sic!). Resta comunque la sensazione di compattezza e collaborazione di cui sopra. In grado di far espandere e coordinare al meglio il tifo dal basso all’alto, con tutti i gruppi sistemati sopra le proprie insegne e ben organizzati al fine di far sentire la propria voce.

Di contro, in campo la gara non è certamente scoppiettante. Le due formazioni si studiano a lungo, sebbene sembrino essere i viola ad avere un leggero predominio territoriale. Tuttavia la Fiorentina fa fatica a pungere e nel secondo tempo passa in svantaggio con un calcio di rigore trasformato da Benrahma. La rete però scuote i toscani, che dopo soli cinque minuti trovano il pareggio con Bonaventura. La rete fa esplodere il settore, con diverse torce che vengono accese e i decibel che salgono sull’ormai classico e partecipato coro che si leva sulle note di “DooDah!” dei Cartoons. L’inerzia sembra essere nuovamente tra i piedi dei calciatori italiani, che però non riescono a pungere letalmente. Si arriva così al 90′ e proprio quando la gara sembra incanalata verso i supplementari, il West Ham riesce a sfruttare l’atteggiamento quasi suicida degli uomini di Italiano. Con la Fiorentina schierata alta nella metà campo avversaria, Bowen viene lanciato in contropiede e, a tu per tu con Terracciano, non gli resta che superarlo e siglare la rete che consegna agli inglesi una coppa che mancava da ben cinquantotto anni (Coppa delle Coppe vinta nel 1965 battendo a Wembley il Monaco 1860).

Una punizione pesantissima per la Viola e il suo popolo. Una batosta che arriva a pochi giorni dalla finale di Coppa Italia persa e che dà definitivamente corpo all’incubo della delusione. Mentre sullo sfondo il West Ham festeggia all’impazzata con i propri tifosi, attendendo la premiazione, i giocatori della Fiorentina giacciono in terra attoniti, portandosi, poi, storditi verso i propri tifosi che, malgrado la tristezza, cercano comunque di far valere il proprio orgoglio, continuando a cantare per la Fiorentina, per la Fiesole e per i diffidati. Si tratta ovviamente di un boccone amarissimo da mandar giù, reso ancor più indigesto dal valore di un’avversaria che non si è certamente mostrata superiore. Il calcio italiano paga forse quella che è diventata una disabitudine nel giocare finali continentali, mentre più nello sepcifico – senza voler gettare la croce addosso a nessuno – la Fiorentina paga un atteggiamento troppo spregiudicato del proprio tecnico. Segno che spesso e volentieri l’antica e mai tramontata scuola italiana, andrebbe rispolverata e valorizzata laddove necessario.

Come accade in questi casi, gli unici a rimanere lungamente sugli spalti sono i tifosi vincitori, che dopo aver celebrato il trofeo con i propri calciatori continuano a festeggiare. In campo entrano familiari, parenti e amici di giocatori e dirigenti, con i bambini che si regalano sfide semiserie davanti alle gradinate ormai semivuote. La mia notte è ancora lunga, dato che soltanto alle 6 potrò prendere il treno per Budapest, volando poi dalla Capitale magiara fino a Roma. Rimango quanto più possibile all’interno dello stadio, uscendo solamente a notte fonda e concedendomi l’ultimo giro per le vie di Praga – ancora piene di inglesi – prima di raggiungere la stazione.

Nell’atrio della stessa ci sono decine di tifosi in attesa di treni e pullman, gettati in terra e stremati dalla lunga giornata. Anche in me la stanchezza sale imperterrita e irrefrenabile, tanto che fatico e non poco a tenere gli occhi aperti. Fortunatamente la paura di perdere il treno è più grande della voglia di addormentarmi e alla fine salgo sul convoglio, trovando il mio posto e cadendo immediatamente tra le braccia di Morfeo. Sarò svegliato solo dalla salite di una simpatica quanto rumorosa famiglia indiana a Vienna. Inteso che non ho alcun voglia di dialogare ma solo di riposare, ritirano tutti i loro buoni propositi facendo silenzio nei miei confronti. Budapest – dove sono stato solo un paio di settimane prima per la finale di Europa League – mi accoglie con una pioggerella fina e insistente. La mia stagione sta per finire, quindi prima di guadagnare la strada per l’aeroporto, mi concedo una mangiata e un giro della città. Probabilmente è stata una delle annate più lunghe e intense di questi ultimi anni. Culminata con la finale di Praga e tutto il suo stuolo di aneddoti da raccontare. Una stanchezza che è valsa la pena aver accumulato e che smaltirò a breve, sicuramente posando per qualche mese quello zaino che ha macinato chilometri su chilometri!

Simone Meloni