Non sono certo un amante degli spettacoli circensi organizzati nei pre partita dalle società della massima serie. A volte entro a ridosso del fischio d’inizio per evitare insulse musiche spaccatimpani o cerimonie al limite del trash. Sono fatto così, oltranzista su questo punto. E ho sempre un certo preconcetto quando a tentare di organizzare scenografie e affini sono le società. Sarà perché – è proprio il caso di dirlo – l’esempio di quanto fatto dalla Juve nel suo stadio non solo non è beneaugurante, ma anche molto inquietante. Pertanto il solo, lontanissimo, sentore, che qualcuno si voglia artificialmente sostituire al tifo organizzato, accende in me svariati campanelli d’allarme.

Sia chiaro, non è questo il caso. Sono solo elucubrazioni per “giustificare” il mio apprezzamento nei confronti della coreografia organizzata dal club in tutti i settori (salvo la Sud, ovviamente). Una serie infinita di bande verticali gialle e rosse formate da cartoncini. Un apprezzabile richiamo in continuità storica con quella che – da queste parti – per molti è la mamma di tutte le coreografie. Anzi, a dire il vero lo spettacolo andato in scena il 16 marzo 1986 allo stadio Olimpico ha un papà: l’indimenticato Fausto Iosa, figura storica del CUCS e ideatore di quella coreografia in grado di coinvolgere tutto lo stadio (parliamo di trentasette anni fa, non esistevano tecnologie e non c’erano ancora le curve del Nord Europa a insegnarci come utilizzare livella, compasso e righello per non sgarrare neanche di un centimetro). Una coreografia che coincise con uno dei successi più netti dei giallorossi contro la Vecchia Signora. Un 3-0 siglato Graziani, Pruzzo e Cerezo che mandò in visibilio un pubblico che sognava a occhi aperti il terzo tricolore. Era l’anno della folle rincorsa al vertice della Roma guidata da Sven Goran Eriksson, conclusosi poi con quel Roma-Lecce 2-3 passato agli annali.

Roma-Juventus poi, è sempre stata una partita di contrapposizioni, rivalità e polemiche. Un’acredine che è quasi il naturale risvolto quando si parla del club che storicamente nel nostro Paese rappresenta il “potere” e una piazza poco vincente, a tratti provinciale, ma custode di una fede incrollabile come quella romanista. Un livore, un ambiente caldo e rumoroso, smorzato solo negli ultimi anni dalla generale omologazione dei nostri stadi e dalla coatta “normalizzazione” del pubblico di Serie A. In questa serata ho avuto il piacere di cogliere nuovamente alcuni degli aspetti di quelle vecchie sfide e godere un ambiente carico, che ha deciso di fare quadrato attorno alla propria squadra e seguire una Sud coinvolgente e rabbiosa. Sintomo di quanto le potenzialità di questa tifoseria siano davvero sterminate (e spesso sottoutilizzate).

C’è uno spirito che lega generazioni di tifosi romanisti e che travalica anche l’aspetto ultras. È quello di sapere il proprio stadio come un’arena e di viverlo spesso e volentieri come fosse l’ultima battaglia vitale. Per la squadra e per i propri colori. In queste partite ci trovi di tutto. Un miscuglio di umanità che ben restituisce l’immagine popolare del calcio, che ancora oggi riesce di tanto in tanto a soverchiare le fredde logiche del marketing applicato al pallone. Così succede che il sessantenne in Tribuna Tevere invogli i presenti a seguire questo o quell’altro coro della Curva. O, meglio ancora, lo lanci di punto in bianco. Succede che quando di fronte c’è un’avversaria storicamente invisa, pure quello che nella vita è un rispettato professionista, abituato a vestire con giacca e cravatta e a non scomporsi mai, si ecciti fomentando il vicino e denigrando il tifoso dai colori diversi. Come dico spesso, il tifoso romanista ha una forte anima tribale. A volte magari anche becera e sguaiata, ma fortemente legata alle varie sfaccettature presenti in città. Una cultura da stadio che, in ogni modo, va preservata.

Inoltre, entrando più dettagliatamente nell’aspetto ultras, va detto che anche i bianconeri stasera ci hanno messo del loro affinché la disputa delle gradinate risultasse interessante. Oltre al piacere di rivedere il tifo organizzato juventino nel settore ospiti, i gruppi della Scirea hanno dato vita a una buona prova di tifo, caratterizzata da una piccola ma sempre gradita torciata iniziale, voce per tutto l’incontro e siparietto finale fatto di pirotecnica scambiata in stile partita di pallavolo con la Curva Nord. Ho sempre pensato che far cantare per intero tutti gli juventini nel settore fosse davvero un’impresa ardua, a causa dalla eterogeneità dei presenti, quindi per gli ultras c’è da fare un lavoro doppio. Eppure in diverse occasioni quasi tutti seguono i battimani e cori a rispondere, oltre alle continue provocazioni nei confronti del pubblico avversario.

Nota a margine: si può pensare ciò che si vuole sui supporter bianconeri, ma credo sia innegabile che la repressione nei loro confronti abbia ormai toccato livelli che – fortunatamente – quasi nessuno in Italia ha mai sperimentato. Questo perché non sembra essere “soltanto” il classico atteggiamento draconiano di una Questura, ma la voglia chirurgica di colpire gli ultras della Juventus, orchestrata e portata avanti in pompa magna da varie componenti, anche extra polizia (a buon intenditor…). E se qualcuno mi può appuntare che negli anni si sono verificate ben altre situazioni extra stadio che giustificherebbero di rimando queste, posso rispondere che per giudicare e condannare ci sono i tribunali. Ma voler rendere lo stadio un salotto, l’arrivare a vietare strumenti innocui come tamburi, striscioni e megafoni, è davvero sentore di rappresaglia bieca oltre che indiscriminata.

Per quanto riguarda la Sud romanista, la prova è di quelle che meritano menzione. Tanta voce, manate a tutta curva, sventolio di bandieroni ed entusiasmo a profusione. Tutti gli ingredienti che servono per spostare l’inerzia della gara dalla propria parte (è chiaro che questa è più che altro un’illusione nostra, che viviamo lo stadio come ragazzini malgrado qualche capello bianco s’intraveda da tempo, ma lasciatemi romanzare…) e permettere a Mancini di incunearsi per le vie centrali e lasciar partire il tiro con cui supera l’estremo difensore della Juventus, regalando ai suoi tre punti d’oro e una vittoria che a Roma genera sempre grande giubilo.

Titoli di coda, come detto, contraddistinti dalle scaramucce tra ospiti e Nord, mentre il resto dello stadio è impegnato a festeggiare la vittoria. Peccato per le musiche sparate a cannone che riducono drasticamente lo stazionamento (e il tifo) dei sostenitori in queste occasioni. Andrebbe capito quanto poco sia necessario il verso gallinaceo dello speaker e quanto belle siano le urla dei presenti. Ma la questione è ormai sociologica e, quindi, da rimandare ad altre puntate della mia personale battaglia contro l’inquinamento acustico prodotto da queste scelte commerciali.

L’ultima immagine sono i clacson che si disperdono lentamente sul Lungotevere, cercando di guadagnare la strada di casa con bandiere e sciarpe fuori ai finestrini. Poco importa la posizione in classifica e il fatto che, con tutta probabilità, anche quest’anno non ci saranno tornei da festeggiare. Ti ricordi il significato corretto e unico di calcio popolare proprio in queste occasioni. Quando il pallone unisce trasversalmente tutti in una gioia o in un dolore.

Simone Meloni