Fresco di stampa per i tipi della “Edizioni il Galeone”, è uscito a luglio “Curve pericolose”, scritto a quattro mani da Giuseppe Ranieri e Matthias Moretti. Il sottotitolo molto eloquente, “Antagonisti, sovversivi, Antifa: quando le gradinate minacciano il potere”, restituisce già al lettore la direttrice esatta entro cui il libro andrà a muoversi. Per chiudere il cerchio dei dati tecnici, il libro consta di 280 pagine e lo potete ordinare dal vostro libraio di fiducia riferendo l’ISBN 9788899892227, oltre che ovviamente sul sito della casa editrice. Prezzo di copertina 20€.

Nell’antica concezione latina del “panem et circenses”, gli stadi e i suoi frequentatori sono stati spesso (erroneamente) tollerati, se non addirittura incentivati dal potere. Nella pia illusione che potessero cortocircuitare le tensioni sociali, il malcontento o semplicemente intercettare le grandi masse. Tenerle lontane dalle piazze riottose, dove si consumavano piccole o grandi rivoluzioni. E questo talvolta ha funzionato. A varie latitudini e in vari periodi storici. Fino a quando poi il riflusso dalla politica s’è esaurito, la piazza è stata silenziata, prima subdolamente con tali mosse, poi coattamente. A quel punto lo stadio, paradossalmente, è divenuto l’ultimo spazio di socialità, confronto, libertà ed infine ribellione possibile.

Ranieri e Moretti sono andati a ripescare esattamente casi come questi. In cui gli ultras, si sono resi protagonisti di gesti eclatanti di insubordinazione, se non addirittura rovesciamento del potere. Come in Egitto, dove gli ultras dell’Al Ahly e dello Zamalek sono stati determinanti nel porre fine al regime di Hosni Mubarak. E non lo raccontano limitandosi alla superficie delle cose, ma si insinuano nei meandri di queste vicende, cercando di contestualizzare le reazioni negli scenari che le hanno causate. Capire come si sono poi evolute, quali meccanismi hanno instaurato nel breve e nel lungo termine. Ivi compresi i deleteri rinculi di quelle armi incontrollabili che sono le rivoluzioni non compiute, le aspettative tradite, le restaurazioni più vili travestite da cambiamenti epocali. In cui proprio gli attori principali sono stati quelli che hanno poi pagato il conto più salato. Come i White Knights dello Zamalek o gli Ultras Ahlawy finiti in breve tempo da eroi di piazza a vittime di rappresaglia. O sanguinoso martirio, potremmo azzardare senza eccedere nell’enfasi, considerando le 74 vittime di Port Said.

Nel solco rivoluzionario, in queste pagine troverete anche la storia di Istanbul United, il patto di solidarietà fra tifosi della capitale turca nelle proteste di Piazza Taksim. C’è la Tunisia, per restare nel mondo mussulmano, ma si sconfina presto fino al Sudamerica, persino in posti dove nemmeno lontanamente si pensa di trovare ultras, ancor meno antagonisti, come negli USA o in Israele. Poi ancora Grecia, Irlanda, Spagna, Germania, in un viaggio davvero molto interessante fra diverse entità e i più svariati approcci allo stadio, tutti accomunati dallo stesso denominatore: la capacità di essere comunità resistente alla mercificazione del calcio o, più in senso lato, alla strumentalizzazione di chi con il calcio ha imparato ad esercitare le sue subdole forme di soft power.

Meritano sicuramente una citazione le due guest star di questo libro, ossia Nicolò Rondinelli, già autore di “Con il pallone tra i piedi e la musica a cannone”, che ha curato un capitolo sul Sankt Pauli, e la postfazione del prof. Mungo, sempre illuminante quando muove i suoi passi letterari nel mondo del tifo.

Da un punto di vista tutto personale, ci ha fatto enormemente piacere che il lavoro di Sport People sia finito nella bibliografia di alcuni capitoli. Schiacciati fra questo ingrato compito di destrutturare i cliché dei media mainstream ma scontrandoci al contempo con la refrattarietà del mondo ultras a farsi raccontare, è gratificante sapere di essere riusciti a rendere testimonianze di valore e che fanno, a loro modo, letteratura nel settore.

Detto come va detto, il libro ha chiaramente anche delle debolezze. Una di queste è la non sempre alta capacità di coinvolgimento. Che ovviamente può anche essere una questione soggettiva, ma da lettore, non per tutti i capitoli sono riuscito a tenere viva la mia curiosità per i fatti, narrati comunque sempre con uno stile fresco, non pedante, non compiaciuto. Questo pur restando nel novero delle spesso noiose pubblicazioni accademiche. Per quanto gli stessi autori dichiarino apertamente di non voler ambire a quel tipo di platea, al contempo senza far mistero – e non potrebbe essere altrimenti fin dal titolo – di ricercare la realizzazione di un libro, se così possiamo dire, “militante”. O sicuramente politico, nelle intenzioni e nelle espressioni.

A tal proposito, al netto delle dichiarazioni di cui sopra, il rigore, il lavoro di ricerca, la credibilità delle tesi sviluppate lo rendono sicuramente all’altezza di un testo accademico. Se non fosse poi la digressione verso passaggi molto meno aulici con cui apostrofano “i cani fascisti” o “la feccia fascista”. Legittimo e coerente con i loro propositi personali, ci mancherebbe, però dal mio umile punto di vista di non militante, quando mi ci sono imbattuto, ho avuto la sensazione straniante di passare da una lettura di livello universitario ad una fanzine di un collettivo politico. Senza voler denigrare i contenuti di quest’ultima, visto che è puramente una questione di registro usato. E non che prima di quei capitoli fossero stati teneri nei confronti dei fascisti, però evitando di scendere nella contesa frontale e stucchevole, riuscivano comunque a dir la loro coinvolgendo al contempo anche chi, da non militante, avrebbe preferito leggere fatti che diatribe. Che per carità, non sono nemmeno tantissime, ma restringono gli interlocutori a cui rivolgersi. Ed è un peccato, visti certi messaggi universali che meriterebbero quanta più ampia eco possibile.

Le mie perplessità sono ovviamente da intendersi dalla mia prospettiva del tutto soggettiva e condizionate dalla mia idea e visione di stadio. Chiaramente chi ha un vissuto politico simile, potrebbe altresì valutare positivamente quello che per me è un difetto. Contrariamente a quanto letto poi, credo infine fortissimamente a “Ultras No Politica” vergato sul due aste degli insospettabili Ultras Tito Cucchiaroni, uno dei capisaldi della mentalità ultras attuale. Nulla di più distante da quel cripto-fascismo salito alla ribalta con il populismo degli ultimi anni, o dietro al quale si possono nascondere tifoserie in realtà fasciste. Del rifiuto della politica se ne fanno orgogliosamente portabandiera bresciani, atalantini, cavesi, tarantini e tante altre tifoserie, alcune delle quali addirittura provenienti da un passato a sinistra, che non hanno affatto rinnegato nell’attitudine, nelle scelte e nelle prassi, ma che hanno messo sopra ogni cosa l’essere ultras. Nei loro confronti, questa lettura, mi sembra un po’ ingenerosa.

Mi scuso di questo eccesso di onestà, soprattutto con gli autori, perché non vuole contraddire il loro operato ma solo doverosamente precisarlo. In definitiva comunque, il valore generale di questo libro resta davvero alto, solido in tutti i suoi pregi e per nulla intaccato dai succitati vizi di forma. Non è un libro rivolto a tutti, com’è chiaro fin da subito, ma è un libro importante, che affronta diverse tematiche inedite e di elevato profilo civico, rendendo testimonianza del profondo valore controculturale del mondo ultras, della sua sincera carica antagonista e svincolandolo dal prototipo del violento-fascista-razzista-ignorante tanto in voga sui media generalisti. Vale la pena leggerlo anche solo per questa preziosa demistificazione.

Matteo Falcone