Avevo lasciato Salerno e la Salernitana in un triste pomeriggio di fine dicembre. Era il 30 per l’esattezza. I granata vedevano passare all’Arechi il Pescara per 2-4, lasciando l’amaro in bocca a tutti i suoi sostenitori e concludendo nella maniera peggiore l’anno domini 2018.

Dal loro ritorno in Serie B, paradossalmente, i campani sono riusciti difficilmente a infiammare con una certa continuità il proprio pubblico. Questione di modus operandi e stile gestionale di una società che – almeno all’apparenza – non ha mai avuto la diretta volontà di alzare l’asticella. E se resta abbastanza costante, ormai, la sua frequentazione della cadetteria, non si può negare che la standardizzazione sulla linea della mediocrità finisca per fiaccare anche il più speranzoso e illuso dei supporter.

Di Salerno non posso che conservare come primo ricordo quello della sua ultima apparizione in A. Era il 1998 e l’invasione granata all’Olimpico – per l’esordio contro la Roma – rimane personalmente una delle più chiassose e massicce viste in riva al Tevere. Il gol-illusione di Song trasformò in una vera e propria polveriera quello spicchio di granata incastrato nel quadro giallorosso. Una gioia effimera visto il 3-1 finale che tuttavia diede alla mia infanzia la giusta misura su cosa fossero capaci i tifosi di calcio nel Belpaese.

A due decenni di distanza conosciamo tutti il tracollo del football nostrano e, con sé, gli effetti collaterali sortiti sui suoi seguaci. Malgrado questo ci sono piazze a cui davvero basta una scintilla, un filo di buon vento, per riaccendersi e prendere d’assalto il botteghino. E anche per questo, va detto, sarebbe bello vederle di tanto in tanto sognare.

Perché, sapete qual è la cosa più triste per un tifoso? Non poter sognare. Non poter credere in qualcosa che anche se oggettivamente inarrivabile, per qualche minuto, qualche giorno, può sembrare a portata di mano. Il tifoso è un eterno bambinone a cui andrebbero somministrati dolci e regali a vita per non esser assalito dalla depressione. Al tifoso, fondamentale, spesso basta quella famigerata cucchiaiata di Nutella nel momento di tristezza per andare avanti e vivere col sorriso sulle labbra anche giornate amare e grandi delusioni.

Anzi, sapete che c’è? Le delusioni fanno male, trafiggono con prepotenza l’animo e il cuore… ma sono figlie di sentimenti forti e di gran belle storie d’amore e di vita. Meglio una forte delusione, un pianto torrentizio, che un’esistenza piatta e priva di sensazioni.

E io ho l’impressione che al tifoso salernitano (come a tanti altri in Italia) sia proprio stato scippato questo diritto. Quello di credere in qualcosa. Così, appena all’orizzonte uno spiraglio sembra aprirsi, ecco i gradoni dell’Arechi tornare a popolarsi. Come dite? Sono occasionali? Beh ma il tifoso italiano del 2019 – fatta eccezione per gli ultras – è occasionale nella stragrande maggioranza dei casi. Del resto quando devi pagare un salato biglietto per un prodotto scadente, spesso truccato, deciso in partenza e privo di mordente… ci sta che tu decida di investire denaro altrove.

Anche perché in molti quella malattia da stadio, un tempo sale del nostro pallone, è stata spenta da repressione, caro-prezzi e gestione para mafiosa di tutto il baraccone calcistico.

Quello tra Salernitana e Benevento è un derby che in passato ha fatto registrare diverse tensioni e che solo negli ultimi anni sembra aver abbassato i toni tra due tifoserie che, tuttavia, di base non sembrano amarsi. E qua il discorso penso verta proprio sul campanilismo. È sufficiente notare i diversi gesti tutt’altro che amichevoli scambiati tra tifosi normali e il “voi siete napoletani” intonato dalla Sud nei confronti dei sanniti.

I supporter della Strega hanno staccato 1.500 tagliandi e il contingente ultras farà il suo ingresso solo a ridosso del fischio d’inizio, molto probabilmente a causa del traffico. Del resto far giocare una partita con oltre 15.000 spettatori di lunedì sera vuol dire giocoforza intasare Litoranea e Tangenziale, le uniche due vie che portano allo stadio. Ma che a decidere determinati orari e giorni ci siano dei geni del male è ormai un fatto conclamato.

I nuovi seggiolini istallati all’Arechi in occasione delle Universiadi ne rovinano (almeno personalmente) l’aspetto retrò che tanto mi piaceva e di sicuro non sono d’aiuto per il tifo organizzato. Tutto questo voler scimmiottare il modello inglese e questa affannosa ricerca dell’ordine e della buona creanza fanno semplicemente ridere nel Paese dove ogni estate non si sa chi si iscriverà ai campionati e quali o quante squadre falliranno!

Sugli spalti le due tifoserie si “aggiudicano” un tempo per uno. La Sud offre una discreta prestazione nei primi 45 minuti calando vistosamente nella ripresa. Tuttavia, complessivamente, duole dirlo, ma l’intensità e il livello del settore caldo del tifo tirrenico sembrano essere scesi rispetto a qualche anno fa. Ciò che appare evidentemente è una minore coordinazione tra tutte le componenti. Cosa che porta ovviamente a rendere meno compatto il tifo in determinati frangenti.

Su fronte beneventano, la morfologia del settore ospiti non aiuta a compattare i presenti, con la parte più organizzata che si sistemerà vicino ai Distinti offrendo una prova altalenante nel primo tempo e più convincente nella ripresa, quando la squadra di Inzaghi affonda il colpo e punisce per ben due volte i dirimpetti fissando il punteggio finale sullo 0-2.

Mastica amaro – per l’ennesima volta – il pubblico di casa mentre quello sannita esce dall’Arechi con diverse certezze in più.

La luna si rispecchia quasi poeticamente nel mare mentre il deflusso si svolge in maniera a dir poco confusionaria e disordinata. Un po’ come mettere al confronto un pacioso creatori di sonetti e un raffazzonato cuoco che crea le sue pietanze mettendo a soqquadro la qualunque. Probabilmente è il più fedele paradigma delle ultime stagioni salernitane.

Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni e Andrea D’Amico

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