È una domenica mattina di inizio febbraio. Mentre l’Italia è impegnata a stiracchiarsi nel letto, ancora assonnata e non pronta a vivere il rito domenicale dei pranzi e delle partite da vedere alla televisione, la mia marcia per raggiungere Castrovillari è iniziata da un pezzo. Treno fino a Sicignano degli Alburni e da là macchina.

È una di quelle giornate in cui l’inverno ci ricorda di esistere. Un fortissimo vento di tramontana spira da nord, tagliando cose e persone. In un’ideale contrapposizione a quei viaggi estivi che portano carovane di italiani in Calabria per affollare spiagge e zone balneari. Io a Castrovillari non ci sono mai stato. Oltre ad averne dei ricordi prettamente calcistici, legati al suo stemmino argentato attaccato sulle ultime pagine dell’Album Panini – tra i club della C2 – negli anni novanta, il decennio della gloria per il sodalizio rossonero. Da lontano mi ha sempre incuriosito questa realtà: presente, attaccata alle proprie radici e fieramente protetta dalle alture del Pollino. Impantanati ormai da tempo immemore nel dilettantismo, eppure autori della loro storia di curva. Parte integrante del Castrovillari Calcio e della sua tradizione.

Le nuvole che di tanto in tanto coprono i raggi di sole fanno sì che costante cada in terra una spolverata di nevischio. Non attecchisce, non bagna le giacche, ma rende particolarmente affascinante il clima di questa giornata. Il calcio, si sa, è anche e soprattutto rapporto con il territorio. E anche in quest’occasione è quantomeno doveroso girare per le vie di una città che affonda le proprie radici nella storia di questa zona d’Italia, dove popoli e dominazioni sono passati numerosi e a cui l’impervia natura non ha impedito di dar vita a importanti centri urbani.

Provo sempre una certa suggestione quando mi inoltro nel cuore dell’Appenino Meridionale. Queste montagne sembrano aver mantenuto intatto quel tribalismo tipico di alcune zone del Sud. Quel modus vivendi che sa un po’ di Magna Grecia e un po’ di isolazionismo. Nei paesi scavati tra i rilievi calabri le nonnine se ne stanno col fazzoletto in testa, ti guardano dubbiose dalla finestra. E se sali gli scalini di questi luoghi simili a presepi naturali, gli anziani fermi al bar ti scrutano curiosi. È un piccolo viaggio nell’Italia che molti di noi non hanno mai conosciuto e non per forza vuol dire che sia retrograda. A pochi chilometri da qua ci sono comunità che ancora parlano una lingua derivata dall’albanese, l’arbëreshe, che ad approfondirla ci racconterebbe una storia vecchia di cinquecento anni e fatta di uomini fuggiti dalle varie diaspore del popolo albanese. Una lingua che paradossalmente è rimasta l’unico residuo dell’albanese originale, non avendo per forza di cose assorbito i cambiamenti dovuti alla dominazione turca. Un po’ come se in Italia (o addirittura all’estero, come nel caso d’origine…) ci fosse una regione dove ancora oggi si parlasse il latino degli antichi romani.

Castrum Villarum (Fortezza delle Ville) è il nome da cui deriva l’attuale Castrovillari. Un appellativo che si riferisce alla numerosa presenza di ville romane ben prima dell’anno mille. Del resto siamo in una zona che anche millenni fa dev’esser apparsa salubre e paciosa: a circa quattrocento metri di altitudine, tra lo Jonio e il Tirreno (distanti rispettivamente trenta e sessanta chilometri), ai piedi di uno dei massicci montuosi più alti e rigogliosi d’Italia. Tra le genti passate qui si contano svevi, normanni, aragonesi. A questi ultimi è legata la costruzione del castello, oggi simbolo cittadino. Una curiosità: lo stesso non fu costruito con lo scopo di difendersi da eventuali invasioni ma per fronteggiare le numerose rivolte dei castrovillaresi. Ciò è testimoniato dalla frase che campeggia sulla sua porta d’ingresso: ad continendos in fide cives, più o meno, per contenere la fedeltà dei cittadini.

Al di fuori della Civita (il nucleo antico della città che si erge su uno sperone) si staglia il nuovo centro abitato, che conta circa ventimila abitanti. Da malato di treni non posso far altro che provare un’immane tristezza nel visitare ciò che resta della stazione ferroviaria, gestita fino al 1978 dalle Ferrovie della Calabria e posta sulla linea Lagonegro-Spezzano Albanese, la quale transitando nel Pollino univa due stazioni delle Ferrovie dello Stato servendo diversi paesi dell’entroterra. Centocinque chilometri di strada ferrata soppressi il 20 gennaio del 1979 e sostituiti in maniera alquanto discutibile dal trasporto su gomma. La fine di un progetto mastodontico che nella sua interezza avrebbe voluto congiungere la Puglia con il sud della Calabria. A oggi rimangono attive solo alcune tratte di queste ferrovie, gestite rispettivamente da Ferrovie della Calabria e da Ferrovie Appulo Lucane.

La ferrovia – che attraversando un territorio soggetto a frane e terremoti ha sempre avuto un’esistenza difficile – conobbe a Castrovillari uno dei suoi momenti più tristi, con i selvaggi bombardamenti del 1943 che distrussero la stazione. A tale cruento avvenimento bellico sono peraltro dedicati un cannone e un allarme antiaereo nella Civita; quest’ultimo suona tutti i giorni a mezzogiorno per ricordare e onorare la memoria dei castrovillaresi morti sotto le bombe.

Una volta terminato il mio viaggio mentale nell’immaginare un convoglio arrivare a Castrovillari su quei binari che oggi si intuiscono solo, inghiottiti dall’asfalto, è il momento di avviarsi verso lo stadio “Mimmo Rende”. Manca mezz’ora al fischio d’inizio e prima di metter piede sul terreno di gioco ho voglia di ammirare anche da fuori quello che per noi calciofili è sempre un monumento cittadino. L’impianto locale è dedicato a un dirigente prematuramente scomparso nel 1995, fino ad allora per tutti era il Polisportivo I Maggio. Impossibile non imbattersi nel bel murales realizzato dagli ultras rossoneri proprio di fronte all’ingresso della loro curva, mentre dall’esterno già si ode il rullare dei tamburi catanesi.

Sapete qual è il bello di questa sfida? Il confronto solo ed esclusivamente tra ultras. La ricorrenza di Sant’Agata e i celebri festeggiamenti nella città etnea, infatti, hanno “strappato” molta gente alla carovana rossazzurra, ciò che ne consegue è la “sola” presenza del tifo organizzato. Che si attesta attorno alle duecento unità. Va anche detto che Castrovillari è una delle trasferte più lunghe e scomode della stagione (350 km che, considerato anche il passaggio dello Stretto, richiedono circa cinque ore di viaggio) e che il primo posto ormai a dir poco consolidato non richiama certo il grande interesse sportivo. Ma una volta tanto è anche bello veder fronteggiarsi lo zoccolo duro delle tifoserie, quelli che a prescindere dalla vicissitudini sportive tirano da sempre avanti la carretta.

Che dire dello stadio? Qualcuno storcerà la bocca, ma a me è piaciuto moltissimo. Incastonato tra le montagne, con una pista d’atletica gigantesca (manna dal cielo per chi scatta, un po’ meno per chi vorrebbe far sentire il proprio tifo), due tribune, una curva vecchio stampo e un grande altarino dedicato a Ciao (la mascotte di Italia ’90) che evidentemente deve aver visto davvero tutte le sorti calcistiche dei Lupi del Pollino da trentatré anni a questa parte! Inoltre, una volta tanto, devo dire che il servizio d’ordine è apparso alquanto rilassato, senza inutili ansie o atteggiamenti oltremodo ferrei, un approccio all’evento realistico, considerata l’indifferenza tra le due tifoserie.

Gli Ultras si compattano dietro le insegne Castrovillari Ultras Curva Sud, che da qualche anno racchiudono i gruppi Ultras Castro 1988, Original Fans e UC 11), e tentano di mantenere in alto i propri bandieroni malgrado le raffiche di vento rendano ciò a dir poco complicato. Alla fine, nonostante qualche difficoltà e qualche asta spezzata, l’impresa riuscirà per quasi tutti i novanta minuti e già questo merita una particolare menzione!

I supporter calabresi accolgono l’ingresso delle squadra con una fumogenata – intervallata da qualche torcia – davvero notevole. Essendo uno spettacolo che si vede sempre più di rado sui nostri campi, ne resto ovviamente rapito, scattando all’impazzata per non perdere neanche un dettaglio. I barattoli arancioni sono uno dei segni identificativi del movimento ultras italiano, uno di quegli aspetti coreografici che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi. Sarà perché questo, tra le altre cose, è sempre stato il colore dei fumogeni custoditi in navi e treni, un tempo luoghi dove i gruppi erano soliti attingere per colorare il proprio settore.

Qualche slogan anti Cosenza contenuto nelle strofe di cori mi rammenta una rivalità che per certi versi lambisce aspetti extra sportivi. Va ricordata, infatti, la disputa mai sopita per far sì che Castrovillari divenisse capoluogo di provincia, smarcandosi così dall’egida cosentina. Percorso che negli anni novanta andò vicinissimo alla realizzazione, con il corrispondente disegno di legge bocciato nel 1992. Probabilmente è proprio l’aspetto geopolitico a far sì che in città permanga un forte senso identitario che non vede di buon occhio il capoluogo e che, di conseguenza, continua a manifestarsi allo stadio malgrado le rispettive squadre non si affrontino da diversi anni. Di sicuro, in ambito sportivo, ha influito anche l’episodio del 2003, quando il club cedette il proprio titolo sportivo ai rossoblu, vedendosi costretto a ripartire dalla Promozione.

Venendo all’aspetto prettamente corale, i calabresi realizzano una gran bella prova. Sostenendo per tutta la partita i propri giocatori e dando sfoggio di una tradizione ultras che a Castrovillari può contare ormai su una certa longevità. Tanta voce nonostante freddo, vento e nevischio colpiscano in faccia (nel vero senso della parola) la Sud. Cori a rispondere, una bella sciarpata nel secondo tempo e di tanto in tanto torce e flash. Ai rossoneri va riconosciuto di non aver mai mollato, neanche in seguito a retrocessioni e fallimenti, malgrado il Castro ormai da anni non dia grosse gioie ai propri tifosi e per gli ultras non sia propriamente facile fare aggregazione e portare numeri allo stadio.

Nel settore ospiti il contingente catanese fa sin da subito bella mostra dei propri bandieroni e delle proprie pezze. Ma, soprattutto, si contraddistingue per soli due striscioni esposti: uno in ricordo di Fabrizio Lo Presti (deceduto in un incidente autostradale nel 2001, mentre si recava a L’Aquila per sostenere i rossazzurri) e l’altro in memoria di Ciccio Famoso (storico leader e fondatore della Falange d’Assalto), i cui anniversari di morte sono caduti nei giorni precedenti. Due nomi che gli etnei hanno spesso anteposto alle sigle ultras per tutto quello che hanno dato al movimento cittadino, quasi un segno di rispetto nei loro confronti da parte delle varie generazioni che si sono avvicendate al Cibali raccogliendo da loro e portando avanti una storia ultras tra le più radicate del Paese.

Il blocco ultras catanese risulta quasi sempre ineccepibile: compatto, colorato da bandiere e due aste, in prima linea con l’immancabile pirotecnica e massiccio nel cantare. Una di quelle tifoserie che difficilmente delude!

In campo al cospetto di un Castrovillari volitivo, alla fine sono gli ospiti a spuntarla, all’inglese. Un successo che spinge ancor più il Catania verso il professionismo, mentre i padroni di casa continuano a navigare pericolosamente nella zona playout. Dopo che le squadre sono andate a raccogliere i rispettivi applausi prendono velocemente la via degli spogliatoi, evidentemente infreddolite. E se il gelo lo prova chi fino a qualche minuto prima ha fatto sport, vi lascio immaginare io che per non rimanere fermo e quindi esposto a una crioterapia non desiderata, ho praticamente girato il perimetro del campo per tutto il match.

La luce invernale comincia ad abbassarsi quando l’orologio segna le cinque. Le montagne riflettono gli ultimi scampoli di sole, diventando rossastre e inasprendo il bianco prodotto dalla neve nei giorni precedenti. È una cartolina perfetta di questo fazzoletto d’Italia, tagliato da quella Salerno-Reggio Calabria che sembra solo un lontano ricordo rispetto a quel cantiere sbilenco e rallentato che per decenni ha tenuto banco nelle discussioni da bar e in quelle politiche.

Castrovillari scompare, così come anche la vicina Morano, dopo la prima galleria. La strada per casa è ancora lunga, ma da oggi posso avere una storia in più da raccontare e un campo in più nella mia lista. Il tutto non è un semplice tassello da aggiungere (mai contato le partite fatte in vita mia) ma un tesoro da imprimere nella memoria e su cui effettuare ricerche e dipanare tutta la mia curiosità. Questa realtà stretta nel Pollino è l’ennesima dimostrazione di quanto il nostro movimento sia radicato e ancora foriero di aggregazione e orgoglio per il proprio territorio. Quando mi trovo davanti a realtà “periferiche” sento sempre lontana la metropoli, non ne riconosco la smaterializzazione dell’aspetto umano e, in fondo, al netto dei tanti problemi oggettivi, provo un po’ di invidia per chi ancora vive appieno il senso della parola “comunità”.

Simone Meloni