I chioschetti attorno allo stadio Bentegodi pullulano di gente già un’ora e mezza prima del fischio d’inizio. Sciarpe e bandiere gialloblu che si incrociano nell’andirivieni generale, lasciano sempre quel bel sapore di genuinità che provo ogni qualvolta mi trovo nei pressi dell’impianto scaligero. Malgrado Verona sia, giocoforza, una delle piazze storiche e più importanti del calcio italiano, la masnada umana pronta a sostenerla ha mantenuto quell’anima tribale, non prestando troppo il fianco all’estrema commercializzazione che regna spesso sovrana nelle città più grandi. Questo credo sia anche figlio di un certo modo di essere, tipicamente veneto: molto conservatore quando si parla di costumi e tradizioni. Atteggiamento che allo stadio, manco a dirlo, trova il suo terreno più fertile.

La sfida contro la Roma arriva in un periodo a dir poco delicato per i gialloblu. Mai come quest’anno – da quando Setti si è insidiato alla guida del club – i tifosi sentono la nave vacillare, rischiare concretamente il naufragio dopo annate ottime, in cui la Verona sportiva è tornata a togliersi più di qualche soddisfazione. Le sei sconfitte da cui gli uomini di Bocchetti sono reduci, rappresentano un pessimo viatico per avvicinarsi al match e un po’ tutti sanno che gli undici in campo dovranno vendere cara la pelle per non uscire dalla contesa a mani vuote.

Dall’altra parte c’è una Roma che viene dalla sofferta vittoria di coppa contro l’Helsinki e arriva “scortata” dai 3.800 tifosi attesi nel settore ospiti. Numeri da capogiro che ancora una volta sottolineano l’infinità fedeltà del pubblico capitolino, che anche di lunedì pomeriggio (come già successo a Genova contro la Samp) non ha esitato a mettersi in marcia verso lo stadio. E per quanto i numeri non facciano la qualità, va sempre ricordato che almeno l’80% dei presenti proviene direttamente dall’Urbe Eterna (e dintorni), non potendo i giallorossi contare su un nutritissimo (benché negli ultimi anni le cose siano un po’ cambiate) numero di tifosi residenti al di fuori dei confini cittadini e regionali.

Varcato l’ingresso del vecchio e sempre fascinoso stadio Bentegodi, prendo posizione in maniera da osservare in modo pressoché equidistante entrambe le tifoserie. La Curva Sud, alla mia sinistra, presenta la sua classica conformazione con pezze e bandieroni, affiancati da qualche tempo anche da numerosi due aste raffiguranti la scala a tre pioli. Da segnalare, inoltre, la presenza doriana con lo stendardo dei Fieri Fossato.

Ora, vorrei argomentare una piccola riflessione sul tifo veronese. Gli ultras gialloblu hanno da sempre avuto un modo “particolare” e se vogliamo originale di approcciare la curva. Il cosiddetto british style trova dimora a queste latitudini dagli anni ottanta, delineando una cultura da stadio forte e identitaria. Una linea che li ha nottetempo contraddistinti dalla media italiana, piaccia o no (ma là rientriamo nei gusti personali). Ritengo che negli ultimi anni, spesso, si siano un po’ persi dietro il loro stesso stereotipo, dilapidando talvolta un potenziale davvero grande e importante. Tradotto: nelle ultime mie presenze all’ombra dell’Arena, difficilmente sono riuscito ad ammirare un Sud a pieni giri.

Senza dubbio i veronesi hanno cinque o sei cori che ogni partita vengono seguiti da tutto lo stadio, creando veramente un effetto maestoso. Resta però, generalmente, quella sensazione di incompiuto dovuta a una curva che canta costantemente solo nel suo nucleo centrale. Benché, va detto sempre con onestà, stasera mi faranno sicuramente una maggiore impressione rispetto ad altre occasioni. Molto colore – dovuto anche agli “stilosi” due aste con la scala e ai tanti bandieroni -, un paio di sciarpate e manate che hanno sovente coinvolto l’intero settore.

Quello su cui invece c’è ben poco da criticare è il pubblico delle tribune: come sempre agguerrito, becero al punto giusto e rumoroso (del resto la presenza di ultras datati, sia in Distinto che nella Tribuna Centrale, aiuta molto a rendere il clima incandescente). Alla faccia di tutti i benpensanti che vorrebbero stadi grondanti fair play e strette di mano sportive, qua si offendono avversari e giocatori per tutti i 90′. Ne sa qualcosa Zaniolo, bersagliato praticamente ad ogni tocco di palla. Apprezzabili anche i cori diretti ai teròn e il sempreverde “morte, morte, morte” col pollice riverso eseguito dalla curva contro avversari in difficoltà. Al netto della suddetta critica, la cultura ultras a Verona è viva e vegeta. E questo fa sempre piacere constatarlo!

Capitolo ospiti: detto del numero, i romanisti portano con loro anche una discreta qualità. Oltre alle tante bandiere, i giallorossi si mettono in mostra con un tifo ben coordinato dai lanciarori in balaustra, seguito spesso e volentieri da tutti e due gli anelli occupati. È vero che il Bentegodi invoglia al tifo, ma è anche vero che tante volte ci si perde nel narcisismo e nella discontinuità. Cosa che invece questa sera, la Sud formato trasferta, ha totalmente bypassato con una prestazione intensa e rumorosa. Meritevoli la sciarpata finale sulle note di “Roma, Roma, Roma” e le belle esultanze ai gol, in particolar modo agli ultimi due che – allo scadere – fissano il risultato sull’1-3. Una gioia incontenibile colorata anche da diverse torce e fumogeni. Sempre ben accette nell’era del proibizionismo pirotecnico!

Tanti gli “scambi di vedute” tra le due fazioni, cosa ormai rara anche nei match più sentiti. Quasi ci fosse la consapevolezza che l’annacquarsi del tifo nei grandi stadi abbia portato a non sentire mai il dirimpettaio. Non è questo il caso, anzi a ogni invettiva c’è una puntuale risposta della controparte, per quella che resta una delle rivalità “classiche” del nostro universo ultras e che affonda le radici a metà anni ottanta, immediatamente dopo la rottura del gemellaggio tra Brigate Gialloblu e CUCS (ai veronesi va peraltro riconosciuto di esser tra le poche tifoserie sempre presenti, e bellicose, all’Olimpico).

Il deflusso si svolge nella più assoluta tranquillità, con la polizia locale che obbliga i tifosi romanisti ad attendere nel proprio settore per quasi un’ora. Malcontento, ovviamente, su fronte gialloblu, dove la settima sconfitta di fila allarga la frattura con la presidenza Setti, aspramente contestata dopo il triplice fischio.

Simone Meloni