Indociles Grex Ultrà Salerno: Quella della Salernitana è una delle tifoserie più calorose, turbolente, rispettate e temute dell’intero Centro-Sud e comunque una delle migliori d’Italia (e i decennali rapporti d’amicizia con altre piazze storiche del tifo italiano – Bari, Brescia e Reggio Calabria – parlano chiaro in tal senso).
Seconda città della Campania per numero d’abitanti, Salerno – nel pieno rispetto d’una terra ch’è da sempre una straordinaria fucina Ultras – è una piazza storica del Calcio italiano e del suo tifo. Le casacche granata non sono mai state lasciate sole e davvero hanno sempre potuto contare su un séguito incredibile, in casa come in trasferta, allorquando veri e propri esodi hanno spesso accompagnato l’ippocampo nei momenti cruciali della sua storia sportiva.
Paradossalmente – come purtroppo per altre piazze simili per attaccamento ed entusiasmo a quella salernitana – il club granata, pur avendo disputato ben 25 tornei di Serie B, può vantare 2 sole partecipazioni alla massima serie, dato questo che stride fortemente se rapportato alle performance e ai favolosi numeri della sua tifoseria. Una passione sanguigna e profondamente radicata, che s’è forgiata e temprata nei lunghi anni di Serie C – ai tempi del glorioso stadio Vestuti – in cui la compagine campana ha militato per 23 anni consecutivi, prima di poter rivedere la luce della serie cadetta, riacciuffata al termine della stagione 1989-90 (guidata dal suo capitano, l’indimenticato Agostino Di Bartolomei, già colonna della Roma del secondo scudetto).
E sono stati sicuramente quegli Anni ‘90 i più belli e indimenticabili per il tifo granata, quando, sotto la guida di Delio Rossi (ed al ritmo incalzante della formidabile coppia goal Artistico-Di Vaio), nella stagione 97/98 la Salernitana approdò trionfalmente (per la seconda volta nella sua storia, dopo un datato esordio negli Anni ’40) in Serie A, coronando il sogno sportivo d’un’intera città e d’una tifoseria che in quel campionato trionfale – come pure era stato negli anni precedenti e come sarebbe stato nei successivi – si rese protagonista di stupefacenti, riuscitissime e sempre più elaborate coreografie che fecero scuola, divenendo i suoi Ultras dei veri e propri maestri in quest’arte.
Purtroppo la Salernitana, per un solo punto, retrocesse dopo appena un anno nuovamente in Serie B, al termine d’una stagione comunque esaltante in cui il nuovo stadio inaugurato ad inizio Anni ‘90, l’Arechi, nonostante la sua enorme capienza, si mostrò piccolo nel contenere i mirabolanti numeri d’un popolo al séguito d’una squadra divenuta simbolo della sua terra.
Quella stagione di Serie A, tanto indimenticabile quanto esaltante, al di là del dramma sportivo della retrocessione, ebbe purtroppo un finale ben più tragico, per una fatalità al cui confronto non esiste successo o esaltazione sportiva che possa lenirne la drammaticità. Quattro sfortunati e mai dimenticati ragazzi della Curva, Vincenzo Lioi, Ciro Alfieri, Giuseppe Diodato e Simone Vitale trovarono la morte sul treno (per via di un incendio scoppiato su uno dei vagoni) che li riportava a Salerno dall’ultima trasferta a Piacenza di quel campionato di Serie A. Fu quello un episodio centrale della vita e della storia dell’intera tifoseria granata e, inutile negarlo, da quel giorno non fu più la stessa cosa.
Anche la Salernitana, dopo quella breve parentesi in quello che allora era definito il “campionato più bello del mondo”, non riuscì più a ritrovare la strada perduta e purtroppo nei decenni a seguire – conformandosi a un tristissimo andazzo tutto italiano, per cui tanti gloriosi club sono finiti nella polvere a causa di dissesti finanziari – ruzzolò in Serie C, riuscendo addirittura a sparire completamente dalla geografia calcistica nazionale.
Ma un popolo sportivo come quello salernitano non poteva mancare per troppo tempo dal Grande Calcio e – sotto altri nomi e simboli, con una battaglia per il recupero di logo e nome storico (Salernitana 1919) che ha visto in primissima linea la Curva Sud – la cronaca recente ci racconta d’una piazza che, ripartendo dalle categorie dilettantistiche, è riuscita a ritrovare la strada smarrita e oggi la compagine granata combatte per la permanenza in Serie B.
Stagioni straordinarie quelle vissute da tutti i tifosi dell’ippocampo nell’ultima decade, quando – a fronte di campionati di Serie C – l’Arechi si vestiva a festa riempiendosi come un uovo; emblematica in tal senso fu la finale play-off contro l’odiata Hellas Verona, nel giugno 2011, quando l’impianto salernitano fece registrare qualcosa come 40.000 spettatori, dato incredibile e tra i record assoluti della categoria.
Impossibile non rimanere letteralmente estasiati ed ammaliati dalle impressionanti immagini che puntualmente arrivano dalla televisione e dalla rete, della Curva Sud Siberiano che pare letteralmente crollare e venir giù quando i granata trovano il goal, con quell’esultanza a cascata che sicuramente non è d’invenzione salernitana, però come la fanno loro, attualmente, non la fa nessuno!
Venendo al disegno: ho voluto omaggiare uno dei gruppi più originali del panorama Ultras salernitano, che già nel nome ha una marcia in più. E mi piaceva altresì uno dei loro simboli, l’Obelix (inseparabile compagno d’armi del piccolo e terribile eroe gallico Asterix) del fumetto francese, che con la sua stazza, la sua fame e la sua inestinguibile sete, ben si presta – in chiave assai goliardica – a rappresentare il popolo Ultras granata e che pare voler incarnare in sé il concetto: “se ti sposti: passo… se no ti sposti: passo uguale!”. La frase, quelli che ci credono ancora!, è ripresa da un loro motto. Immancabile il bel logo sociale con l’ippocampo (che nella sua stilizzazione pare si debba a un artista grafico americano), mentre l’azzurro di scritte e banda laterale (che insieme al bianco fa pendant col costume di Obelix) oltre che un espediente puramente stilistico è anche un richiamo al modus artistico di questa tifoseria che utilizza, talvolta, anche colori diversi dai più classici bianco e granata, come l’azzurro (appunto), il blu e il nero.
Ideale Bari: Riprendendo il nome della più antica società calcistica barese, l’Ideale (fondato nel 1908), il 28 maggio del 2012 un gruppo di ragazzi assidui frequentatori della Nord di Bari, stanchi delle sozzure, delle imposizioni e degli abusi del cosiddetto Calcio moderno, misero insieme una squadra di Calcio di cui – sulla falsariga di quello ch’è dai più chiamato Calcio Popolare – divennero proprietari, presidenti, dirigenti, allenatori, calciatori e naturalmente tifosi.
Era nato l’Ideale Bari, uno dei più importanti fenomeni sportivi legati al mondo del Calcio e del tifo degli ultimi anni, e a cui sempre più persone (Ultras e non) guardano come a una sorta di modello, a dispetto dell’innata modestia di questi ragazzi, capace di rilanciare, in termini d’entusiasmo, una passione mai sopita nel cuore e nelle menti di coloro che associano al gioco del Calcio quanto di più positivo e romantico possano esprimere le loro vite, nel perpetuare un rito collettivo che noi italiani (e non solo) abbiamo sottopelle e che ci viene inculcato sin da bambini, divenendo – è proprio il caso di dirlo – un vero e proprio “ideale”.
Non entro nel merito della storia, delle motivazioni e dei tanti risvolti che hanno portato questi ragazzi – che dell’azionariato popolare hanno fatto la propria dottrina – ad intraprendere la strada di un Calcio che ripartisse dal basso: proprio in queste settimane e proprio in questa stessa sezione del sito, Focus, che ospita anche la rubrica grafica che state leggendo, potete trovare (per quanti non l’abbiano già fatto) l’esaustiva, interessante e ricca di spunti – nonché bellissima – intervista ai ragazzi dell’Ideale Bari, raccolta dal nostro infaticabile direttore Matteo Falcone. Posso solo limitarmi ad esprimere le mie impressioni e sensazioni che m’hanno ispirato questi splendidi ragazzi, inducendomi a realizzare i due disegni che vedete sopra.
Nessuno più di me può capire la scelta di seguire una squadra di Terza Categoria, abbandonando i lidi del Grande Calcio che però non è più quello che abbiamo sognato da bambini, quello che c’avevano insegnato e tramandato con amore i nostri nonni e i nostri padri, quello che c’ha fatto innamorare di quel pallone a spicchi bianconeri, facendoci vivere la migliore delle fanciullezze e la più esaltante delle adolescenze.
E questo i ragazzi dell’Ideale l’avevano capito e sperimentato da tempo. E francamente s’erano stancati… come dargli torto? Ormai per ogni partita, per ogni trasferta al séguito del glorioso Bari, s’era arrivati ad un vero e proprio Stato di Polizia, cosa che purtroppo il movimento Ultras italiano ha imparato suo malgrado a conoscere bene e che pare sempre più inasprirsi: divieti, tessere, schedature, diffide, tornelli, barriere ed una militarizzazione degli stadi che sarebbe quantomeno ridicola se non fosse tragicamente reale e attuale.
E, come se non bastasse: partite truccate, arbitri venduti al miglior offerente, business spietato e imperante, doping, malaffare e ruberie varie, Calcioscommesse che ha toccato persino elementi di spicco della stessa Curva Nord barese, situazioni che nulla hanno a che spartire col vero Calcio e coi veri Ultras.
E allora basta!… e via con un ritorno alle origini che sa di magliette sudate e campi polverosi, di tribune rabberciate e recinzioni da pollaio, di ragazzi e uomini veri che indossano la maglia della squadra della propria città e che si danno battaglia per 90 minuti contro ragazzi e uomini veri d’un’altra città, d’un altro posto, ma che hanno tutti una cosa in comune: l’amore sviscerato per il Calcio, senza tornaconti, senza secondi fini… Come quando s’era bambini e si giocava per ore sotto il sole per il solo gusto di farlo, come una necessità vitale, come il proprio stesso respirare, come elemento indispensabile e normale della nostra vita. E riscoprire quel Calcio perduto, quel sapore d’una volta, quella ritualità lontana dai lustrini e dai riflettori del Grande Calcio, divenuto ormai ombra di sé stesso e fantasma del proprio illustre passato. Non si poteva conciliare meglio se non con la parte più pulita e sana del Calcio stesso, quegli Ultras, quegli ultimi romantici che gridano orami da decenni ai quattro venti il loro amore per questo sport e per quei momenti di pura e semplice aggregazione, che diventa sempre più difficile esprimere libera dalle pastoie del Potere e d’una volgare quanto inarrestabile massificazione.
Ed è bellissimo vedere questa squadra (fresca di vittoria del campionato!) giocare nei più sperduti angoli della provincia barese, con al séguito centinaia di sostenitori capaci di esprimere un tifo autentico, viscerale, potente e assai incisivo, il tutto in piena libertà e in barba a vincoli e repressione che in queste categorie cosiddette “infime” arriva soltanto come una sorda eco, incapace di intaccare più di tanto. Per fortuna.
E lo striscione esposto in occasione di una loro partita di quest’anno, “Questa notte non deve finire mai, perché sei bellissima” mi sembra il più eloquente biglietto da visita d’una tifoseria innamorata della sua squadra e dei suoi colori. Laddove, da sempre, in tutte le altre piazze sportive, l’arrivo metaforico dell’alba è visto e atteso come l’unico riscatto dal buio rappresentato dal Calcio minore (tipo: “Nessuna notte è così lunga da impedire al sole di sorgere”), ebbene questi ragazzi hanno filosoficamente e concettualmente ribaltato il senso stesso della metafora, per cui, la “notte” rappresentata dal Calcio minore non deve finire, in quanto è l’unica pratica possibile per poter ancora provare emozioni che altrimenti svanirebbero alla “luce” di un Grande Calcio, ormai totalmente svuotato e privato della sua stessa anima.
E se è vero che più la notte è buia e più si vedono le stelle, allora quest’Ideale Bari non sarà mai più bello e luminoso di quanto lo sia stato sul gradino più basso della gerarchia calcistica. Che bello sarebbe se ogni città d’Italia prendesse esempio da questi ragazzi e se ci fosse un’insurrezione irreversibile e globale contro il Calcio dei Potenti, se si desse vita a partite e campionati di solo Calcio popolare organizzato dai tifosi e per i tifosi, lasciando i Padroni del Calcio soli coi loro miliardi e nei loro stadi pieni di telecamere e uomini in divisa.
Come da bambini, quando durante una delle cento partite che giocavamo ogni giorno nel cortile o nel campetto sotto casa, capitava che il proprietario del pallone, per stanchezza, screzi o altro, nel bel mezzo della contesa, saltasse su, prendesse il pallone sottobraccio e se ne andasse a casa, lasciando tutti come belle statuine a rimuginare con la classica domanda che – con fastidioso e latente senso di colpa – ognuno si faceva: “…ma se n’è andato per colpa mia?”. Del resto, se il Calcio è del popolo, che male ci sarebbe se il popolo si riprendesse il pallone?
US Campobasso 1919: Per questo disegno sono partito dal nome per esteso della vecchia, gloriosa, società rossoblu. Una piazza sportiva, quella molisana, che ha conosciuto la vergogna di ben 4 fallimenti… un record negativo che sembra un’autentica beffa del destino proprio nei confronti di una tifoseria tra le migliori in circolazione, se rapportata al bacino d’utenza e alla grandezza della città. E non importa quali siano state le nomenclature successive della squadra (Football Campobasso, AC Campobasso, Nuovo Campobasso, Città di Campobasso)… il nome storico della prima società rossoblu, che perdurò dalla fondazione fino al primo fallimento del 1990, può bastare tranquillamente a rappresentare più che degnamente questa sfortunata ma tenacissima tifoseria. In città c’è anche un’altra compagine che si rifà a quel nome, il Campobasso 1919, che in pratica è la seconda squadra del capoluogo, conosciuto da tutti gli sportivi come “Diciannove diciannove”, ma l’US Campobasso 1919 è altra cosa, è altra storia; un nome che andrebbe tutelato e valorizzato. Proprio a quel nome e a quegli anni irripetibili è dedicato questo mio disegno, che nella sua pezzatura verticale, spartana e fintamente ingenua, nel suo lupo serio e lungimirante, vuol richiamare proprio la magia di quegli anni, i mitici ’80, quando la Campobasso calcistica – e perché no, un po’ tutto il Molise – conobbe il suo acme sportivo, il suo periodo di maggior fulgore. Era il 30 maggio del 1982 quando, all’ultima giornata del campionato di Serie C1 girone B, battendo in casa la Reggina, il Campobasso conquistò la storica promozione in Serie B (già sfiorata l’anno precedente per un solo punto), facendo letteralmente esplodere di gioia l’intera città e assurgendo a squadra simbolo d’una Regione piccola e maltrattata. E la festa che ne seguì non fu qualcosa da poco, non durò qualche giorno… durò l’intera estate, con caroselli di auto “clacsonanti” che continuavano a mettere in subbuglio la città a distanza di settimane dalla fine del torneo; ogni sera, con famiglie intere, con amici e parenti che si riunivano nelle case per festeggiare, tra canti, balli e colossali mangiate e bevute, consapevoli, chi più chi meno, del traguardo storico appena tagliato dalla propria squadra del cuore. Una festa che durò davvero un’intera estate e che riesplose ancor più forte la notte dell’11 luglio, quando l’Italia di Bearzot, a dispetto di ogni pronostico, conquistò il mondiale di Spagna 82… Fu, per Campobasso, una vera e propria orgia di euforia, tra vittoria del campionato e Mondiale vinto dagli azzurri, con bandiere rossoblu e tricolori che si mescolavano sfilando per le strade del centro come della periferia, tanto che la città uscì ubriaca di felicità da quell’estate indimenticabile che fu una festa di tutti, una festa dei bambini impazziti di gioia, un intero popolo unito dall’amore per il Calcio e per quelle due squadre che avevano riempito d’orgoglio il cuore di tutti coloro che ebbero la fortuna di vivere quegli straordinari eventi. E gli anni che seguirono, le 5 stagioni consecutive in serie cadetta, furono altrettanto esaltanti, in special modo i primi anni, quando il Campobasso giocava ancora al vecchio stadio Romagnoli che era stato la sua casa da sempre. E la città risultò profondamente trasformata da quegli eventi sportivi, da quella promozione prima e dalle successive permanenze poi, con addirittura una Serie A sfiorata al secondo anno in B, per qualcosa che sarebbe stato in effetti troppo e forse avrebbe snaturato la perfezione di quella favola che ebbe in quella Serie B il suo naturale palcoscenico. E fu proprio la gente ad uscirne trasformata, i rapporti tra le persone non furono più come prima; nell’aria aleggiava qualcosa di diverso, come la sensazione di far parte di qualcosa di grande e collettivo che trascendeva il semplice gioco del Calcio divenendo fenomeno sociale e di costume, che non lasciava fuori nessuno, i bambini, le donne, i vecchi e i malati che non uscivano di casa, e se la domenica pomeriggio ci si fosse trovati in giro per la città – per quei pazzi che per oscure e ingiustificabili ragioni non fossero andati allo stadio – si sarebbe udito sempre il gracchiare d’una radiolina accesa nel recondito di qualche appartamento, naturalmente sintonizzata sulle frequenze delle partite del Campobasso. Per almeno una decade, dalla fine degli Anni ’70 alla fine degli ’80, la città visse di Calcio e per il Calcio e la domenica non era il giorno del Signore ma era il giorno della partita, non c’era e non poteva esserci altro, col corso principale della città pieno di capannelli di gente che parlava del Campobasso e dell’imminente partita, con la prevendita dei biglietti davanti la sede della società in pieno centro, che andavano a ruba. Non esistevano divisioni o incomprensioni, non c’erano tifosi migliori di altri o qualche settore dello stadio da ghettizzare. Tutti erano tifosi, tutti si sentivano Ultras e partecipavano al tifo e la ritualità collettiva della vecchia cara domenica pomeriggio divenne qualcosa di sacro, al pari dei riti religiosi. Forse fu proprio questo il segreto di tanta magia: un’intera comunità di individui che remavano tutti, indistintamente, nella stessa, medesima direzione, che vivevano tutti per un unico grande sogno, come recitava l’enorme striscione attaccato in cima alla Curva Nord, “viviamo per te, vinci per noi, magico Campobasso”. Una dipendenza dal Calcio e una totale, talvolta irresponsabile assuefazione ad esso che coinvolse e infettò anche i calciatori, se è vero com’è vero che molti di essi, non molisani, dopo quelle magnifiche e raggianti stagioni, consapevoli di non poterle rivivere altrove, si stabilirono nel capoluogo molisano, mettendo su famiglia e divenendo essi stessi parte della città, più campobassani e molisani dei molisani e dei campobassani stessi. Era il Campobasso del compianto presidentissimo Tonino Molinari, esempio di umiltà e totale dedizione alla causa. Tutto quello che è stato prima e che è venuto dopo è stato soltanto un di più. Paradossalmente, proprio col trasferimento al nuovo stadio in contrada Selva Piana, resosi necessario perché la capienza del vecchio Romagnoliera divenuta ormai insufficiente, iniziò il declino per i colori rossublu… Proprio nel momento più alto della sua storia sportiva, proprio all’indomani di quell’epico Campobasso-Juventus di Coppa Italia (di cui abbiamo già visto in One Step Beyond #16), come se l’aver lasciato il vecchio Romagnoli, la sua vecchia casa, che aveva cullato per 70 anni il tifo rossoblu, fosse stato l’inizio della fine. E quella squadra, quegli anni e quel periodo rivivono ancora in qualche angolo della città che il tempo non è riuscito a trasformare, ricordi ed emozioni avulse e immuni alla volgare modernità d’una città che ha perso tanto del suo romanticismo tra rotonde e centri commerciali. Anni d’oro e irripetibili che rivivono ancora in vecchie, affascinanti fotografie e soprattutto nelle parole e nei ricordi di chi c’era (e col cuore è rimasto ancora lì) e continua a tramandare una fede, una passione, un amore sconfinato, ereditato – forse persino inconsapevolmente – dalle nuove generazioni di tifosi. Erano gli Anni ’80, erano i tempi della Serie B, era la squadra di Scorràno e Oscar Tacchi, era il Campobasso di tutti.
Mastiffs Napoli: Di questo importantissimo quanto influente gruppo del tifo partenopeo, abbiamo già ampiamente visto in una delle precedenti puntate (One Step Beyond #7). Per quanto riguarda il disegno rettangolare, ho preso un mastino a figura intera, nella classica posa ed espressione accigliata del cane da guardia (con immancabile collare a punte) che pare pronto a sbranare chiunque tenti di oltrepassare l’ingresso. Un po’ una lettura semplice e allegorica di quello che è il gruppo dei Mastiffs per la squadra del Napoli; avendo in mente la vecchia dicitura “a guardia di una fede” che era esemplificativa in tal senso.
Particolarità di questo mio mastino è quella di avere il classico baseball-hat in luogo della scoppola a quadri biancazzurri da scugnizzo con cui viene riprodotto il più delle volte su striscioni e murales in giro per le strade della città. Ho posto, dietro di lui (e non è un caso), come qualcosa da difendere, il logo sociale nella sua versione più semplice. Le righe bianche – insieme alla scritta in un font importante e lineare – restituiscono quel tocco di modernità e stile.
Per il disegno circolare, invece, che ho immaginato come una toppa da attaccare magari sulla manica del più classico bomber nero, ho posto la sola testa del mastino nella parte alta, mentre in basso fanno bella mostra – in un font lo stesso efficace e lineare – le scritte identificative di gruppo, città e data di nascita. Lo sfondo biancazzurro è obliquo per dare un senso di movimento, mentre la cornice nera, integrandosi perfettamente col disegno e le scritte, chiude idealmente e materialmente l’insieme.
Luca “Baffo” Gigli.
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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;
One Step Beyond #19: Cosenza, Catanzaro, Atalanta, Samp;