Non amo né le teorie cospirazioniste né tantomeno i catastrofisti cronici. Così cerco sempre di prendere razionalmente le distanze da chi dice che il movimento ultras è morto (senza un minimo di analisi, ma spesso giusto per alleggerirsi la coscienza dall’aver abbandonato la nave o tronfio di aver vissuto un’epoca diversa, in cui oggettivamente tutto era più bello, ma anche più facile) e che tutte le scelte in tema di ordine pubblico sono dettate dalla volontà di annientarlo, anziché, prima di tutto, dalla negligenza di chi si ritrova a prenderle. Quando però mi ritrovo di fronte a siparietti come quelli consumatisi prima di questa finale di Coppa Italia di Eccellenza, davvero mi prende lo sconforto e mi viene voglia di lasciar stare buona parte dei viaggi appresso agli ultras e al tifo in generale, dedicandomi a qualcosa di sicuramente più rilassante e costruttivo.

In seguito a qualche tafferuglio registrato nella gara di campionato, disputata poche settimane prima, tra Osimana e Maceratese, le istituzioni prendono immediatamente la palla al balzo per generare un inutile, esagerato e pretestuoso clima di tensione attorno a questa finale. Dapprima procrastinandone la scelta della sede e poi, a un certo punto, tirando fuori dal cilindro il solito colpo di genio: paventando cioè le porte chiuse e risolvendo così, come loro solito, qualsiasi problema. Ovviamente le società non possono condividere una simile scelta, che implicherebbe solo e soltanto costi di spostamento/gestione e nessun incasso. Nonché la mancanza del sostegno. I club si fanno sentire, con l’Osimana che emana un comunicato in cui invita i diretti interessati a ripensarci. Alla fine si gioca a porte aperte in quel di Senigallia. Una volta tanto la normalità e il buon senso hanno avuto la meglio. Non voglio neanche credere che Osservatorio e Questure abbiano optato per questa strada onde evitare figuracce: a costoro non interessa nulla. Essendo organi para-dittatoriali, che operano in modo carbonaro e che non trovano mai e poi mai il contrasto di nessuno, non si fanno certo scrupolo a chiudere uno stadio in occasione di una finale regionale. Parliamo di gente che negli anni ha vietato partite di hockey o ristretto l’accesso negli stadi in occasione di storici gemellaggi. Tuttavia prendiamoci queste briciole lasciate dai bifolchi burocrati e mettiamoci in viaggio verso la costa Adriatica.

Manco a dirlo scelgo il treno. Un ottimo regionale fino a Falconara, dove cambio per Senigallia. Circa trecento chilometri percorsi in poco meno di cinque ore. La giusta lentezza che amo nel viaggiare, quando possibile ovviamente. Siamo a ridosso di Natale e la cittadina rivierasca è vestita a festa. Essendo arrivato con lauto anticipo sul fischio d’inizio ne approfitto per visitare la Rocca Roverasca (uno dei simboli cittadini), concedermi una passeggiata per le sue viuzze nonché nel suo Foro Annonario – dove una serie di incisioni celebranti Pio IX sottolineano il passato papalino di Senigallia e di questa zona delle Marche – e lungo il mare. Devo dire che rimango positivamente impressionato dal grazioso centro storico, che erroneamente immaginavo alquanto asettico e anonimo come accade in molti altri paesini posti sulla costa, spesso edificati e sviluppatisi dopo la seconda metà del novecento, in concomitanza con l’espansione del turismo sulla dorsale adriatica. Chiedo venia, dunque, per la mia ignoranza in tal senso. Ecco perché bisogna sempre arrivare un po’ prima!

Quando manca un’oretta all’inizio comincio ad avviarmi verso lo stadio Comunale, intitolato dal 2006 all’ex giocatore e dirigente della Vigor Senigallia, Goffredo Bianchelli. A lui è legata una delle pagine sportive più note della cittadina marchigiana. Il 21 settembre del 1982, infatti, riuscì nell’impresa – a scopo benefico – di far riscendere in campo i protagonisti della Partita del Secolo, il famoso Italia-Germania 4-3 disputato allo stadio Azteca di Città del Messico e valido per la semifinale dei Mondiali 1970. Un evento a cui assistettero oltre diecimila persone e del quale resta ancora affissa una targa commemorativa sotto la tribuna coperta dell’impianto. Sulla stessa è riportata la data dell’incontro, il risultato (1-0) e il marcatore: Picchio De Sisti. Un vero e proprio capolavoro, quello di Bianchelli, che riuscì a portare in un posto lontano dai grandi circuiti della Serie A e del calcio internazionale, calciatori di livello mondiale, che solo dodici anni prima si contendevano la finale del torneo iridato (che poi vinse l’irrefrenabile Brasile di Pelé). Questo mi fa anche riflettere su quanto, in assenza di starlette o canali iper comunicativi quali social e internet, i calciatori di un tempo si prestassero con più facilità a simili situazioni, sicuramente molto più a “portata di popolo”. Ce lo vedete oggi un Cristiano Ronaldo giocare in un piccolo stadio della provincia italiana per rievocare, che so, la finale degli Europei vinta qualche anno fa contro la Francia? Per me arriverebbe a rifiutare persino in terzinaccio qualsiasi della penultima in classifica, magari “bloccato” dalla società per un qualsivoglia motivo tecnico o economico.

L’impianto senigalliese, inoltre, è senza dubbio uno dei più “completi” da un punto di vista strutturale, se prendiamo in esame le categorie regionali. Dotato di tre tribune a ridosso del campo e di una capienza oggi ridotta a quattromila unità, rappresenta senza dubbio la scelta migliore, anche considerato che al vaglio degli organizzatori era passati lo stadio Del Conero di Ancona e il Nicola Tubaldi di Recanati. Lo spiegamento di forze dell’ordine è notevole e lo osservo mentre raggiungo alla chetichella l’ingresso riservato ai tifosi osimani, dove alcuni rappresentanti della società giallorossa sono disposti per assegnare gli accrediti stampa. La chiusura delle biglietterie decretata dai soliti noti “per motivi di sicurezza”, ha infatti costretto il club a rilasciare i pass “a vista”. Anzi, a tal proposito voglio fare i complimenti alla società, che sin dalla risposta alla domanda d’accredito si è premurata di spiegare dove e a chi rivolgersi – sottolineando come questo disagio non fosse sua responsabilità -, evitando così inutili giri a vuoto attorno al perimetro dell’impianto. Sembra una cosa scontata, ma non lo è per niente. Spesso, infatti, gli uffici stampa non capiscono che rispondere a una richiesta di accredito non è solo ed esclusivamente il modo per far sapere se questa è accettata o meno, ma anche l’occasione per dare indicazioni precise sul ritiro. Soprattutto – e questo accade più di quanto si pensi – quando si parla di stadi grandi e dispersivi.

Una volta ritirato il mio pass attendo qualche minuto prima di entrare, osservando l’arrivo degli ultras dell’Osimana e vedendo con quanta minuzia i funzionari ne controllino l’afflusso, riprendendo addirittura con la videocamera gli striscioni che andranno a comporre la coreografia. Un pericolosissimo ed eversivo messaggio che recita: “Unico amore sei, non ti ho tradito mai”. Passo oltre e vado verso la segreteria, per prendere la mia pettorina e mettere piede sul manto verde. Mi trovo per la prima volta di fronte alla tifoseria giallorossa, mentre non vedo i maceratesi da una decina di anni. Ciò mi incuriosisce, anche perché ritengo il panorama marchigiano uno dei più interessanti del centro Italia, spesse volte sottovalutato, ma ormai da anni costellato da varie realtà, oltre a quelle tradizionali, che ne hanno scritto la storia da sempre. Va detto che siamo in una di quelle regioni dove il campanile viene sentito in maniera particolare e non c’è da sorprendersi, dunque, se esistono e vengono “onorate” anche rivalità che dal di fuori possono sembrare strane o sproporzionate. Mi viene da pensare ai “mostri sacri” Ancona, Sambenedettese e Ascoli, che nel tempo hanno sempre fronteggiato inimicizie con centri e tifoserie apparentemente “più piccole”.

Tornando alla sfida odierna, i primi a fare il loro ingresso sono i supporter osimani, che immediatamente si sistemano formando un bel blocco nel loro settore e cominciando a distribuire i cartoncini che andranno a comporre la coreografia. Successivamente anche i maceratesi prendono possesso della loro tribuna, andando a completare una cornice di pubblico davvero significativa. Per gli amanti dei numeri: 553 sono i tagliandi venduti a Macerata, mentre a Osimo sono stati acquistati 607 biglietti. Prima considerazione: l’assegnazione dei settori ha premiato i giallorossi, che potendo disporre della tribuna coperta sono stati sicuramente agevolati nell’organizzazione del tifo. Più “complesso” coordinare il sostegno nella tribuna dirimpetto, con il pubblico disposto per lungo e quindi più difficile da coinvolgere (e anche da fotografare, aggiungo). Per l’occasione i biglietti erano nominativi, cosa che ormai sta prendendo sempre più piede anche nelle categorie dilettantistiche.

Con il freddo che comincia a scendere sul Bianchelli, ecco le tifoserie riscaldare i motori per poi cominciare a tifare. Le due squadre fanno il loro ingresso e nel settore osimano si alza la coreografia composta da cartoncini con i colori sociali. Devo dire ben fatta, semplice e senza sbavature. Su fronte maceratese, invece, si comincia con qualche torcia accesa e subito voce alta per spronare l’undici in campo. La sfida assume una valenza particolare anche in virtù dell’anonimo campionato disputato sinora da ambo le compagini, che in classifica occupano le zone basse, vedendo davvero lontane le prime posizioni di un girone attualmente guidato dalla Civitanovese. La vittoria della coppa, infatti, dà accesso alla fase nazionale, la cui vincitrice verrà promossa in Serie D. Un cammino difficile, tortuoso, ma in cui spesso e volentieri molte società ormai fuori dal giro promozione dei rispettivi campionati, riversano speranze e impegno. Inoltre di fronte ci sono due club che a modo loro hanno scritto importanti pagine di storia a livello regionale e non solo. La Maceratese – che vanta anche la partecipazione a un campionato di Serie B, nella stagione 1940/1941 – è per tradizione sportiva la quarta realtà marchigiana e ha giocato gli ultimi campionato professionistici tra il 2014 e il 2017. Ai pistacoppi ho legato uno dei classici ricordi d’infanzia, con il piccolo stemma argentato da attaccare tra le figurine della Serie C2, a metà anni novanta. Di contro l’Osimana vanta la partecipazione alla vecchia C2 a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta.

La rivalità, nata proprio in occasione della recente gara di campionato, mette un po’ di pepe alla sfida e si tramuta subito in diversi cori e striscioni contro. A livello prettamente canoro, oltre a essere una gran bella sfida, gli spalti mettono di fronte due modi un po’ diversi di vivere il tifo. Gli osimani mi appaiono sin da subito più “quadrati”, ammiccanti al “total black” e sicuramente aderenti a uno stile più “moderno”, anche nei cori, che spesso e volentieri riprendono le grandi hit del momento. Il che, chiaramente, non va preso né come una critica né tanto meno come uno sminuire la prestazione dei giallorossi. Anzi, la loro performance sarà davvero di ottimo livello: belle manate, cori tenuti a lungo e ben ritmati dal tamburo, bandieroni sempre in alto e due sciarpate fitte e ben eseguite. Si vede che, quella giallorossa, è una realtà che sta puntellando le proprie basi e lavorando sodo in fatto di aggregazione e formazione di una cultura ultras cittadina. Il che va sempre sottolineato quando parliamo di piccoli centri (Osimo conta 34.000 abitanti), dove peraltro da decenni non si respirano calcio di livello e campionati di vertice. Da segnalare la presenza dei gemellati di Tolentino e Potenza Picena.

Da parte maceratese – oltre alle succitate difficoltà nel coordinare un settore a dir poco anti tifo -, si nota una vena sicuramente meno “impostata” e “ordinata” nel tifare. Probabilmente più vicina allo stile italiano di qualche anno fa. I ragazzi della Curva Just ormai da tanti anni seguono le sorti alterne delle Rata, essendo riusciti a dare una certa continuità alla propria militanza ma pagando, tuttavia, in termini numerici diverse diffide piovute negli ultimi anni. In queste realtà anche una manciata di Daspo possono creare problemi enormi e spesso talmente invalicabili da portare a sospensioni temporanee. Avere numeri e ricambio nella provincia italiana è difficile e oltre a un’opera di aggregazione, richiede anche un pizzico di fortuna: il fato deve far sì che intere generazioni non abbandonino la terra madre per emigrare altrove. E deve anche far sì che, di tanto in tanto, i risultati sportivi arridano ai propri colori. Comunque quella dei pistacoppi (nome dialettale con cui si definiscono i colombi e con cui gli abitanti di Macerata vengono soprannominati) è una bella prestazione (soprattutto se si pensa che al 47′ l’Osimana conduceva già per 2-0), con i presenti che non si stancheranno di sostenere per tutto il match una squadra che si avvia vistosamente verso la sconfitta finale per 3-1. Molto bella la sciarpata eseguita nel primo tempo. Il tappeto di sciarpe a bande biancorosse, colorate da un paio di torce accese, restituisce un’immagine mista tra stadi anni ottanta e gradinate inglesi dei tempi che furono. Con loro, a soffrire e cantare, anche i gemellati di Mestre, a suggellare uno dei rapporti più longevi del sottobosco ultras italiano.

Come detto, alla fine sono gli osimani a festeggiare, alzando la coppa davanti al proprio pubblico. Celebrazioni che, lasciatemelo dire, vengono letteralmente rovinate dalla musica a palla sparata dagli altoparlanti. Cosa che già aveva funestato il pre-partita. Un’usanza che se già in Serie A risulta a dir poco fastidiosa, a questi livelli assume contorni a dir poco patetici. Vorrei davvero sapere a chi viene in mente di creare una discoteca in un impianto dove sono presenti circa mille spettatori per una partita di Eccellenza e dove, giustamente, gli stessi vorrebbero farsi sentire. Anche solo per interagire tra loro. L’unico risultato prodotto è il mal di testa dei presenti. Anche perché, come facilmente immaginabile, le canzoni irrorate tutto il tempo sono degne di una classifica horror o di una compilation da destinare a bori, truzzi e tamarri di tutta Italia. Senza contare il nervoso che mi suscitano nel realizzare video dove dovrebbero spiccare cori di giubilo, urla dei calciatori e scene di esultanza e in cui, invece, spesso e volentieri predominano le note di summenzionate porcherie!

Quando lo stadio si è praticamente svuotato e solo gli ultras osimani ancora occupano parzialmente il proprio settore, cominciando a ritirare gli striscioni e a portarsi verso le uscite, anche per me è il momento del congedo. L’ultimo treno con direzione Ancona non attenderà certo i miei comodi, pertanto saluto il Bianchelli e mi avvio. L’iniziale piano di prendere il primo treno per Roma (in partenza alle 3:33 di notte) va fortunatamente a farsi benedire grazie alla mia perseveranza nel dare ogni tanto un’occhiata all’app della Flixbus, dove a un certo punto appare dal nulla un pullman per Roma in partenza poco prima dell’1. Tra il prezzo stracciato e la voglia di non ibernarmi in riva all’Adriatico, lo compro in men che non si dica e al suo arrivo mi ci fiondo, approfittando del tepore che mi scaraventerà da lì a breve tra le braccia di Morfeo. L’ultimo appuntamento dell’anno solare è andato. Adesso mi riprometto qualche giorno di sosta e lontananza non tanto dagli spalti, ma dalla frenesia di quegli psicopatici che pur di non lavorare e non organizzare al meglio neanche una partita con un migliaio di spettatori, si riducono all’ultimo nel comunicare le proprie scelte. So che sarà solo un breve stop, perché già da gennaio bisognerà tornare a fare i conti con questi lavativi. Chiudo, comunque, sottolineando come queste siano le partite che mi portano a smentire chiunque sostenga che il movimento ultras sia morto. Provatelo a dire a ragazzi che versano sudore e profondono le proprie energie per tener vivi settori e per onorare i propri striscioni. Buon anno a tutti!

Simone Meloni