Dopo “Curva Est”, Gianni Galleri torna a parlare di Balcani e più in senso lato di Europa orientale con il suo nuovo libro, “Questo è il mio posto”. Tornare nuovamente a calcare quella zolla di terra poteva essere un azzardo, ma l’autore si dimostra ancora una volta pienamente nel suo elemento quando, attraverso il calcio, racconta passato e presente di questi luoghi e delle sue genti. Cosa rimaneva ancora da dire dopo il primo libro, che già di suo sembrava ampiamente esaustivo? Molto, tanto in effetti col senno di poi: lasciate alle spalle la velika četvorka, le quattro grandi del calcio dell’ex Jugoslavia (Stella Rossa, Partizan, Hajduk e Dinamo), oltre a tutte le altre più note protagoniste al di là della Cortina di ferro, si apre un’inedita panoramica fra nuove regine ascese nei vari campionati nati dalla disgregazione della Prva Liga che fu, passando a tutta una serie di nobili decadute le quali invece, fra una retrocessione e un fallimento, non riescono più a venir fuori dal limaccioso fango dell’oblio.

Il viaggio comincia in Slovenia, poi Bosnia, Serbia, Romania, Turchia, Grecia, Albania. Sconfina nella parte asiatica di Instanbul ma parte dal confine con l’Italia, raccontando la storia dell’ND Gorica, la squadra della “Nuova Gorizia” slovena nata a pochissimi km di distanza dalla sua gemella. Che poi gemelle sono anche le tifoserie, in ottimi rapporti fra loro. E fra calcio e tifosi, Galleri ci racconta anche piccole chicche storiche come quella della Rosa di Borbone, simbolo del sodalizio neogoriziano. Il canovaccio si ripete così fedele nel resto del libro, passando di squadra in squadra e di nazione in nazione, cogliendo ogni spunto utile per ampliare lo sguardo ben oltre il calcio, offrendoci un quadro esaustivo dei posti, di come la Storia (quella con la s maiuscola) li abbia forgiati e/o di come abbia inciso sulle squadre locali e sui suoi tifosi o viceversa. La forza di questo libro sta proprio nella capacità di far parlare i suoi personaggi, saggio l’autore a non invadere il campo e lasciare che arrivino al lettore le opinioni, le parole e le sensazioni di tifosi, ex calciatori e vari addetti ai lavori incontrati lungo il percorso, senza scadere in autoreferente opinionismo spesso su argomenti così delicati dove è meglio appunto tacere.

“Questo è il mio posto” è una frase di un ultras del Petrolul Ploiesti a Gianni durante le interviste del documentario “Petrolul no moare” (“Il Petrolul non muore”, girato assieme a Damiano Benzoni, di cui vi consiglio la visione, se ancora non l’avete fatto). Tutto il resto del libro è permeato da questo intimismo, da un senso di rassicurante familiarità che arriva vivido a chi legge, facendolo sentire in egual misura a casa. Perché in fondo uno stadio di calcio è quella sorta di non luogo che le logiche commerciali hanno provato a lottizzare, ma che è prima di tutto uno spazio sociale e aggregativo. Uno spazio in cui, al netto degli stereotipi mediatici, contiene almeno tanti punti di comunione se non più di quelli divisivi.

Rispetto a “Curva Est”, questo libro concede molto di più al lato ultras, restituendo nobiltà a questa categoria spesso tanto bistrattata, ma vista dall’occhio di un “laico”, che ha perciò la giusta distanza emotiva per non eccedere in familismi. C’è insomma il buono ma ci sono anche gli eccessi, deo gratias, senza moralismi. Ci sono soprattutto tantissime cose sul tifo organizzato dell’Est Europa che nelle nostre Curve, per un (a volte nemmeno troppo) latente complesso di superiorità, tendiamo a ignorare o snobbare.

Qualche piccolissimo refuso qua e là, un pugno nell’occhio in un capitolo in cui il titolo è alla fine della pagina mentre il testo comincia all’inizio della successiva e qualche carattere speciale degli alfabeti locali con cui sembrano esserci stati problemi di codifica. Ottima invece l’idea di inserire una mappa dei luoghi (realizzate ottimamente da Cristina Tellini), per meglio rendere l’idea della geolocalizzazione delle storie, anche se personalmente avrei preferito vederla ad inizio capitolo e non alla fine. E poi c’è la copertina dell’illustratrice serba Marija Markovic, bella come ogni suo altro lavoro. Infine c’è la postfazione di Francesco Berlingieri, già autore di “Pallone asfalto e betoniere”, che è sempre un piacere leggere e che è una chiusura straordinaria e perfetta per questo viaggio letterario in cui Galleri ci accompagna. Con uno stile sobrio, mai sopra le righe, mai autocelebrativo, confortevole nella lettura, che ahinoi termina troppo presto. Se vi piace il calcio, che siate ultras o semplici appassionati, nostalgici dell’Est, curiosi viaggiatori, sono sicuro che questo libro vi piacerà.

Matteo Falcone