Nuclei Sconvolti: Società calcistica storica della Calabria e del Sud, il Cosenza vanta dei trascorsi molto antichi, essendo nato nel 1914, e nella sua lunga e travagliata storia ha partecipato a ben 19 tornei di Serie B, sfiorando la promozione nella massima serie in più occasioni.
La prima volta in cadetteria per la squadra rossoblu (che pare debba i propri colori al Genoa – primo club d’Italia per anzianità e a vincere uno scudetto – che fu omaggiato in questo modo) fu nella stagione 1946/47 (poi ancora negli Anni ’60), è soltanto nella stagione 1987/88 che il Cosenza fece ritorno in Serie B dopo un digiuno durato 24 lunghissimi anni.
In mezzo, tanta Serie C e D, in cui il popolo sportivo cosentino forgiò la propria tempra e in cui si mise in luce per numeri eccezionali, se rapportati alla grandezza della città e alle misere categorie calcistiche che il sodalizio dei lupi bazzicava in quel periodo.
Passione, quella dei tifosi calabresi, che spesso tracimò in atti di violenza contro le (allora) terne arbitrali… elemento saliente, questo, dei perduti Anni ’70 e ’80, quando spesso gli incidenti da stadio erano provocati dai maltolti (veri o presunti) arbitrali, e un intero stadio insorgeva contro le “giacchette nere” che in molti frangenti rischiavano veri e propri linciaggi…
Ci si teneva, all’epoca, al risultato, e il pubblico seguiva con interesse e partecipazione ciò che accadeva sul rettangolo verde, mica come oggi che il popolo degli stadi s’è imborghesito e pensa soltanto a far selfie e passerelle. Non fraintendetemi, non rimpiango quella violenza, ma un atteggiamento e un’indole più verace e meno formale, sicuramente sì…
Mi ricordo, una volta, da bambino, in un’estate trascorsa a casa dei miei nonni in una città del Centro-Sud, quando in un afoso pomeriggio io e mi fratello seguimmo una partita di infima categoria tra due compagini di piccoli paesi della zona (forse era uno spareggio, non saprei), ebbene per un presunto torto arbitrale, la tifoseria (folkloristicamente organizzata) d’una delle due squadre, insorse contro il direttore di gara, trasformando il campo sportivo semi-parrocchiale in un vero e proprio scenario di guerra, con improperi, lancio di oggetti, sputi e minacce attraverso la recinzione. Cosa che m’è rimasta più impressa di quel pomeriggio di oltre 30 anni fa, una vecchia, con tanto di fazzolettone in testa come ancora se ne vedono tante nei nostri paesi, che armata del suo bastone d’appoggio, lo batteva con forza contro la porta metallica dello spogliatoio, aspettando (insieme ad altre decine di scalmanati) l’uscita dell’arbitro e asserendo (davanti a due carabinieri, più impotenti che stupiti e che tentavano invano di riportarla nei ranghi della civiltà) che non si sarebbe mossa di lì fin quando l’arbitro non fosse uscito e lei non gl’avesse spaccato il suo bastone in testa mandandolo in ospedale!
Era un altro Calcio, forse un’altra vita, quand’era normale vedere un’intera comunità muoversi al séguito della propria squadra di Calcio, che non era più solo un gioco ma rappresentava la rispettabilità e il lustro d’interi paesi e città. E le recrudescenze violente del pubblico cosentino, in un leggendario Cosenza-Paganese del ‘77 con arbitro e guardalinee che rischiarono davvero le penne, costarono addirittura un anno e mezzo di squalifica del proprio impianto, il bellissimo stadio San Vito (oggi San Vito-Marulla, indimenticato bomber, il calciatore più forte e prolifico della storia rossoblu, autentica e imperitura bandiera, scomparso recentemente in maniera prematura).
Tutto ciò per dire dell’incredibile euforia ch’era capace di esprimere il séguito rossoblu. Quindi, dopo anni di tentativi e delusioni sportive, finalmente in quella memorabile stagione 1987/88 il Cosenza tornò in serie B. Di quel campionato trionfale furono indimenticabili le partite giocate al San Vito in cui una folla oceanica seguiva le gesta dell’undici di casa, quando in più occasioni si registrarono presenze intorno alle 20.000 unità – e parliamo di Serie C1 – fin quasi al limite della capienza. Come nella sfida contro la Nocerina, allorquando davanti a 24.000 spettatori, la mitica Curva Sud (che si fregiò del titolo di “Curva più pazza del mondo!”) si esibì in una spettacolare fumogenata multicolore che ancora oggi campeggia in innumerevoli foto e che ha sicuramente fatto epoca, per quanto fu bella e irripetibile.
Come per tante altre compagini che dividono con Cosenza illustri trascorsi poi finiti nella polvere, furono quegli anni di Serie B i più belli per il Calcio cosentino, quando un’intera provincia si stringeva intorno alla propria squadra (anche per una supremazia regionale contro le odiate Catanzaro e Reggio) assiepando gli spalti del San Vito (storica fu la sfida di Coppa Italia contro la Juventus di Zoff e Cabrini, nell’agosto dell’‘88, davanti a 25.000 spettatori) e producendo dei clamorosi esodi in trasferta (come nella stagione 1991/92, con una Serie A sfiorata per 2 soli punti, quando nell’ultima trasferta a Lecce, da Cosenza si mossero in 15.000 per sostenere i lupi silani).
Complessivamente, tra la fine degli Anni ’80 e i primi 2000, il Cosenza partecipò a 14 campionati di Serie B consecutivi, intervallati da un’unica retrocessione in C1, riscattata prontamente con l’immediata risalita tra i cadetti. Dopo di allora, tra fallimenti, nuove denominazioni sociali e quant’altro di più deprecabile cui purtroppo c’ha abituato il nostro Calcio, soprattutto negli ultimi vent’anni, il Cosenza ha conosciuto anche l’onta della Serie D, ma sta pian piano risalendo verso palcoscenici più consoni e degni della sua storia, della sua tradizione, del suo blasone e soprattutto del suo immenso pubblico.
Da un punto di vista Ultras, la piazza cosentina rappresenta un vero e proprio “laboratorio” in cui, nel corso degli anni, s’è prodotto un fenomeno sociale di condivisione e aggregativo, sorta di “tipico”, esemplificativo e ch’andrebbe studiato per comprendere appieno tutte le dinamiche e le contestualità che ruotano attorno alla parola Ultras, al più grande fenomeno d’aggregazione giovanile d’Italia del secolo scorso.
Una città del profondo Sud, con tutti i suoi problemi e le sue contraddizioni, in cui un concatenarsi di condizioni storico-ambientali e di malapolitica, unite alla vacuità di un’economia ch’è stata solo affarismo e speculazione, hanno prodotto un disastro generazionale, i cui risultati sono stati spesso: disagio, disoccupazione, solitudine, disperazione, droga.
In mezzo a questo nulla, come qualcosa cui aggrapparsi con tutte le forze per non morire, il mondo del tifo organizzato ha rappresentato l’àncora di salvezza per tanti giovani, che hanno trovato nella Curva, nel gruppo e nelle amicizie fraterne che soltanto chi è stato Ultras può capire, l’elemento di riscatto di vite che altrimenti sarebbero state vuote. Solo così si spiega un Curva come la Sud di Cosenza, un entusiasmo e un carnevale continuo di colori, per una squadra – a ben vedere – lontana dai riflettori della Serie A e del Calcio dei potenti. Una piazza in cui l’essere Ultras ha rappresentato davvero una necessità più che una scelta, qualcosa di genetico, uno schierarsi dalla sola parte possibile per restare in piedi e per dare un senso e una luce alla propria vita, nel disastro circostante.
Il mio disegno vuol essere un tributo, un atto d’amore verso una Curva e i suoi Ultras nella loro globalità, prendendo a modello il gruppo che più d’ogni altro ha lasciato il segno nella storia rossoblu e non solo, celebrando gli Anni ’80 nel loro aspetto più leggero e affascinante. I Nuclei Sconvolti, uno dei gruppi più sballati e anticonformisti per antonomasia nella storia Ultras del nostro Paese, con quella foglia di marijuana che è una precisa dichiarazione d’intenti, che non lascia spazio a fraintendimenti. Un gruppo impegnato anche nel sociale, che non ha mai nascosto la sua indole profondamente anarchica e ribelle, ma sempre declinata attraverso la solidarietà verso chi è ultimo ed emarginato. Anche la scritta, fintamente sgangherata, calca la mano sul ricordo d’una stagione di tifo ormai perduta, nel ricordo e nella fascinazione d’una Curva ch’è stata una sorta di Woodstock Ultras, immaginando di tifare, cantare, saltare e ballare al ritmo dei tamburi, storditi dal fumo dell’erba, dall’incessante sventolare delle bandiere, dal cadenzato battere delle mani, perdendo i sensi nell’inebriante odore di densi fumogeni.

02. Curva Ovest Catanzaro

Curva Ovest Catanzaro: “La Regina del Sud” o anche “Il Timore del Nord” sono due degli appellativi con cui era conosciuta, nei favolosi Anni ’70/80, la compagine calabrese del Catanzaro. Davvero questa squadra, insieme ad altre terribili provinciali come Avellino, Ascoli, Cesena, Pisa, Como, Cremonese, Perugia e Vicenza ha rappresentato il Calcio italiano di Provincia più autentico, copertosi di gloria e ch’è stato capace di resistere nel tempo, permanendo nei ricordi e nei racconti di quanti hanno avuto la fortuna di viverlo. Un Calcio seppellito sotto quintali di polvere, di scandali e brutture, ma che risplende fulgido nel cuore e nelle menti di quanti non ne hanno voluto sapere di piegarsi alle logiche e alle sozzure della modernità, un Calcio visto come “mito” dalle nuove generazioni Ultras sensibili al fascino dei perduti anni che furono.
L’Unione Sportiva Catanzaro (nata nel 1929) è stata la prima società calabrese ad approdare in Serie A, in cui le aquile giallorosse hanno disputato 7 campionati di cui 5 consecutivi a cavallo tra la fine degli Anni ‘70 e i primi ’80, oltre a 28 stagioni di Serie B e una storica finale di Coppa Italia persa contro la Fiorentina all’Olimpico di Roma nel maggio del ‘66.
Furono proprio quei 5 tornei consecutivi nella massima serie gli anni più indimenticabili per tutti gli sportivi catanzaresi. Una squadra che, coi suoi numeri, riuscì a catturare l’attenzione mediatica dell’epoca, facendo spesso gridare al miracolo sportivo, divenendo in breve il vanto delle decine di migliaia di emigrati calabresi sparsi soprattutto nel Nord Italia, dov’erano approdati in cerca di lavoro e d’una vita migliore, oltre che naturalmente per tutti i calabresi che si riconoscevano nella fede giallorossa (al netto di coloro che seguivano e seguono le altre grandi squadre della Regione, tutte ricche di storia e tradizione: Reggina, Cosenza, Crotone e Lamezia su tutte).
Era il Catanzaro di Massimo Palanca, il più grande attaccante e bomber della sua storia, calciatore simbolo di quella squadra e della sua epoca, coi suoi incredibili goal (la sua peculiarità erano le marcature messe a segno direttamente da calcio d’angolo, ne realizzò in tal modo addirittura 13, una sorta di Van Basten ante litteram) trascinò i giallorossi in Serie A – era la stagione 1977/78 – per la terza volta nella loro storia. Addirittura nella stagione 1978/79, si laureò capocannoniere di quell’edizione della Coppa Italia, portando un incredibile Catanzaro in semifinale, battuto al termine di due tiratissimi match contro la Juventus di Scirea e Bettega.
Traguardo, quello della semifinale, che il Catanzaro bissò tre anni dopo, stagione 1981/82, perdendo stavolta ai danni di una altro mostro sacro, l’Inter di Oriali, Beccalossi e Altobelli. Nella stagione 1982/83 il Catanzaro disse addio alla Serie A, ruzzolando nel giro di un solo anno in C1, ritornando l’anno seguente di nuovo in B e retrocedendo ancora in C1 l’anno seguente, per poi tornare – nuovamente! – in B grazie alle prodezze d’un redivivo Palanca, tornato nella “sua” città, dove aveva trovato la propria consacrazione che non era riuscito a ripetere approdando presso altri lidi.
Il resto è storia più recente, con la squadra giallorossa che pure negli ultimi anni ha disputato qualche torneo di Serie B (l’ultima stagione nel 2005/06), ma più che altro la storica piazza calabrese s’è dovuta fare tantissima Serie C, categoria indubbiamente indegna per una tifoseria e una città che trasudano Calcio da ogni poro ma che – come purtroppo il Modern Soccer c’ha insegnato – loro malgrado si son dovute scontrare con la dura realtà fatta di bilanci societari disastrati e passione sportiva mortificata in nome del dio denaro.
Anche a livello Ultras, la tifoseria delle aquile giallorosse – che ha il suo cuore pulsante nella Curva Ovest – ha sempre fatto la differenza, con un tifo travolgente e spettacolare, condito da fantastiche e riuscitissime coreografie che fanno del capoluogo calabrese una delle migliori piazze del tifo italiano, rapportando il tutto alla grandezza della città (intorno ai 90.000 abitanti) e al bacino d’utenza.
Una tifoseria che, dalla metà degli Anni ’90, s’è messa in mostra anche per una spiccata attitudine british (in uno stadio, il Ceravolo – intitolato alla memoria del presidentissimo dei tempi d’oro – che con le sue gradinate miste a transenne, un po’ ricorda le romantiche side d’oltremanica degli anni ruggenti del Calcio inglese) che fa largo uso di drappi e due aste (assai curati e accattivanti), esprimendo una mentalità perfettamente in linea coi classici stilemi da football popolare, simbolicamente incarnati dalla mascotte più abusata del mondo Ultras, quell’Andy Capp di cui tutti si appropriano, ma che – tracannando ettolitri di Guinness e sgominando selve d’avversari – pare per davvero prender vita e fuoriuscire dalle pezze appese sulla recinzione dalla Ovest del Ceravolo.
E gli UC ’73 (acronimo di Ultras Catanzaro) rappresentano il gruppo Ultras storico di Catanzaro, capace d’accomunare sotto le proprie insegne generazioni di ragazzi, nel nome dello stile, della mentalità e dell’appartenenza. Nel disegno in questione, in cui ho voluto richiamare questi imprescindibili elementi del tifo catanzarese, gli UC e la Curva Ovest (intitolata al mai dimenticato e sempre vivo nei ricordi e nel cuore di tutti i tifosi giallorossi, Massimo Capraro), ho aggiunto il logo sociale del club (in una versione più inconsueta rispetto a quello classico), ponendo altresì in primissimo piano una figura assai calciofila, quasi in atteggiamento da “I wont you!”, estrapolata da una comic-strip (fumetto) inglese (semisconosciuto in Italia) dal forte sapore eighty, “Roy of the Rovers”, che narra le gesta sportive d’un calciatore del club di fantasia Melchester (chiaro riferimento alla quasi omonima compagine britannica del Manchester, sponda United). Le due sottilissime righe azzurre sui bordi esterni, richiamano il contorno del logo sociale, restituendo all’insieme un senso di finitezza e intraprendenza.

03. Forever Atalanta
Forever Atalanta:
Bergamo calcistica è una piazza che non avrebbe bisogno di presentazioni, come Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli. Con 54 campionati di Serie A, l’Atalanta Bergamasca Calcio (club fondato nel lontano 1907 e che prende il nome – assai originale per la verità – dall’omonima figura eroica della mitologia greca) è una vera e propria istituzione del nostro Calcio.
Considerata la “Regina delle Provinciali” – tra le squadre che non si sono mai aggiudicate uno scudetto è quella che vanta più partecipazioni alla massima serie. Nel suo palmarès – oltre alla partecipazione a due edizioni della Coppa UEFA – anche la vittoria di una Coppa Italia nella stagione 1962/63 e una semifinale di Coppa delle Coppe nel 1988, record europeo per una squadra di club che all’epoca disputava non la Serie A, ma il torneo cadetto.
Di grandi calciatori, tra le fila nerazzurre, ne sono passati a bizzeffe e occorrerebbe troppo spazio per ricordarli tutti. Una menzione è d’obbligo per il settore giovanile della società orobica, vera e propria fucina di giovani talenti, talvolta diventati tra i più grandi interpreti del Calcio italiano del Secondo Dopoguerra; tre nomi su tutti: Angelo Domenghini, bergamasco della provincia, uno dei più forti attaccanti italiani degli Anni ‘60 e ’70, nazionale, che nell’Atalanta mosse i primi passi; e Gaetano Scirea e Roberto Donadoni (storiche colonne, rispettivamente, di Juventus e Milan, nonché allenatore della Nazionale il buon Roberto) che pure provenivano dalle giovanili dell’Atalanta.
Se Bergamo calcistica deve necessariamente stare un passo indietro rispetto alle squadre metropolitane che si giocano la vittoria dei campionati e delle varie Coppe, per quanto concerne Bergamo Ultras il discorso è totalmente diverso. La tifoseria orobica se l’è sempre giocata alla pari con tutte le più grandi e se andassimo nel cuore delle Curve di Roma o Napoli e chiedessimo ai veri Ultras delle stesse, quali sono, secondo loro, le più grandi tifoserie italiane, sicuramente includerebbero, nella risposta, anche la tifoseria dell’Atalanta. Ciò per dire di quanto gli Ultras bergamaschi godano di univoca stima e considerazione, anche da parte nemica.
Una popolarità e un rispetto che la tifoseria nerazzurra s’è guadagnata nel corso dei decenni, sul campo, a mezzo di un tifo straordinario, caldissimo, senza mezze misure e ad una mentalità pura, estranea e restia alle mode, intransigente e in cui ogni Ultras d’Italia (e non solo) potrebbe guardare qualora cercasse il senso più profondo del tifo da stadio e le radici di questo mondo variegato e bellissimo.
Una tifoseria anche turbolenta quella atalantina, che non s’è mai fatta pestare i piedi da nessuno, tant’è che le trasferte a Bergamo, da nemici, sono temute un po’ da tutti. Davvero una piazza Ultras che di provinciale ha soltanto il nome, ma che per tradizione, blasone e senso d’appartenenza non teme confronti.
Nel mio disegno ho voluto rendere omaggio non alla Curva Nord, storico ed eterno tempio del tifo per la Dea, ma alla sua dirimpettaia, la Curva Sud, in cui da una decina d’anni staziona il gruppo dei Forever Atalanta, fondato, tra gli altri, da vecchi appartenenti alle mitiche Brigate Neroazzurre – uno dei gruppi di massa storici del panorama Ultras italiano, tra i più temuti, imitati e rimpianti – che staccandosi dalla “Curva madre” hanno dato vita ad un bel focolaio di tifo in un settore tradizionalmente più tiepido nell’incitamento. Il risultato è stato ottimo e i Forever Atalanta sono oggi una bellissima realtà.
Nel disegno ho voluto inserire un elemento molto “freak”, la caricatura d’un ragazzo (estrapolata da una vignetta del formidabile illustratore Tauro) pesantemente e visibilmente ubriaco, con tanto di bottiglia in mano (all’inglese) e che rimanda – oltre al sempiterno mito dell’alcool, intramontabile must d’ogni tifoseria che si rispetti – ad un’impostazione di tifo più trasandata e simpaticamente caotica, rincorrendo proprio il mito di vecchi gruppi come le sopracitate BNA, quando il tifo per l’Atalanta (ma in generale il tifo in ogni stadio d’Italia) era più spensierato e scanzonato, e seguire la squadra della propria città era un momento di mera aggregazione e incosciente divertimento (fino “al limite delle possibilità umane”, citando il rag. Fantozzi).
E questo disegno vuole, ancora una volta, ritornare con la mente a quella stagione di tifo, quando andare in Curva e in trasferta era la cosa più normale da fare alla domenica, senza tanti impedimenti e senza la spietata e immotivata repressione che purtroppo il movimento Ultras ha conosciuto negli ultimi anni, con leggi palesemente anti-costituzionali e che addirittura cancellano – talvolta – anche le più elementari libertà personali, con ragazzi trattati alla stregua di terroristi. E – in tal senso – proprio Bergamo ha conosciuto una spietata caccia alle streghe di cui la vicenda del capo-Ultras Claudio “Bocia” Galimberti ne è l’esempio più lampante e disgustoso.
Le scritte – tra cui il più inflazionato dei motti da stadio, quel “You’ll never walk alone” di liverpooliana memoria – utilizzando il bianco ma anche il giallo su sfondo blu (espediente talvolta usato dalla tifoseria orobica), sono anch’esse allucinate e – riprendendo pedissequamente il font utilizzato dai Forever Atalanta per il loro striscione – vogliono dare un senso di profonda giocosità mista a compattezza, intesa come forte senso d’appartenenza.

 

04. Sampdoria 05. South Terrace UC Samp 06. South Terrace UC Samp_2South Terrace Sampdoria: Abbiamo già visto della tifoseria blucerchiata in una precedente puntata di questa rubrica (One Step Beyond #13). Per questi tre disegni che vi presento, ho scelto come soggetto il simpatico e burbero Capitan Haddòck, personaggio del fumetto “Le avventure di Tintin”, uscito dalla matita (e dalla fantasia) del geniale fumettista belga Hergé (questo il nome d’arte di Georges Prosper Remi), scomparso negli Anni ’80, ch’è stato uno dei più importanti e influenti artisti nel mondo della “letteratura disegnata” e a cui hanno tributato artistica riconoscenza gente del calibro di Steven Spielberg e Peter Jackson.
Proprio nelle settimane scorse il suo personaggio principale – appunto Tintin – è balzato all’onore delle cronache in quanto, fumettisti di tutto il mondo lo hanno ritratto in lacrime dopo gli attentati che hanno sconvolto Bruxelles.
Sin da bambino questo fumetto mi affascinava e ricordo anche la serie a cartoni animati che il pomeriggio mandava in onda la trasmissione “SupeGulp! – Fumetti in TV”, mito per tutti i bambini e i ragazzi degli Anni ’70.
È anche un po’ colpa di questo tipo di trasmissioni se oggi, ad un’età in cui la maggior parte dei miei coetanei è in tutt’altre faccende affaccendata, io mi ritrovo qui sopra a parlarvi e a disegnare, vivendo la mia terza adolescenza!
E il personaggio del Capitano Haddòck, inseparabile braccio destro del reporter Tintin, mi affascinava sopra ogni altro. Collerico, attaccabrighe, orgoglioso e soprattutto ubriacone, non perdeva occasione di ribaltarsi d’alcool a dovere, con quel suo maglione blu dolcevita con l’àncora disegnata che m’intrigava più d’ogni altra cosa e che restituiva con quelle poche linee disegnate il senso di libertà, di mare e d’avventura. M’è venuto quindi naturale associarlo ad una delle squadre che, da sempre, più m’ispirano freschezza e simpatia, la Sampdoria, in un connubio che credo sia perfetto.
I due disegni lunghi potrebbero tranquillamente essere degli striscioni da esporre in balaustra e dietro cui fare quadrato, ma anche dei simpatici adesivi da attaccare in giro qua e là, per i labirintici vecchi carrugi di Genova.
L’altro disegno invece – fresco di realizzazione e che vi confesso essere uno dei miei preferiti – lo vedrei bene disegnato sulla fiancata di una nave chiamata proprio Sampdoria, di quelle che stazionano nel porto della città della Lanterna, pronta a mollare gli ormeggi e salpare sul far dell’alba, carica di merce che scotta, eludendo la polizia portuale che le dà la caccia e prendendo il largo, facendo rotta verso lontani porti del Nord Europa. Come ai tempi in cui la Samp – al culmine della sua fortuna sportiva – bazzicava gli stadi di mezzo continente, andandosi persino a contendere – in un’indimenticabile quanto sfortunata finale – la vecchia e romantica Coppa dei Campioni (vuoi mettere con la cacofonica Champions League?) contro il Barcellona allenato da Cruijff.

Luca “Baffo” Gigli.

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LE PUNTATE PRECEDENTI
One Step Beyond #1: Terni, Caserta, Samb, Lamezia, Milan, Parma, Lazio, Udine;
One Step Beyond #2: Palermo, Udine, Catania, Fiorentina, Pescara;
One Step Beyond #3: Verona, Roma, Milan, Inter;
One Step Beyond #4: Brescia, Napoli, Lazio, Palermo;
One Step Beyond #5: Livorno, Lazio, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #6: Lazio, Savona, Cavese, Manfredonia;
One Step Beyond #7: Crotone, Pescara, Catania, Napoli.
One Step Beyond #8: Roma, Lazio, Palermo, Milan;
One Step Beyond #9: Spezia, Arezzo, Virtus Roma, Nocera, Cavese;
One Step Beyond #10: Lazio, Genoa, Napoli, Roma, Palermo.
One Step Beyond #11: Viterbo, Torino, Savona, Napoli;
One Step Beyond #12: Torino, Castel di Sangro, Livorno, Lazio;
One Step Beyond #13: Hertha BSC, Ancona, Napoli, Roma, Samp;
One Step Beyond #14: Inter, Alessandria, Samb, Roma.
One Step Beyond #15: Lecce, Bari, Cavese, Genoa;
One Step Beyond #16: Campobasso, Napoli, Lazio, Carpi;
One Step Beyond #17: Juve Stabia, Palermo, Perugia, Livorno, Cagliari;
One Step Beyond #18: Taranto, Avellino, Lucca, Cavese;