“Genova ha i giorni tutti i uguali”, canta Paolo Conte in una delle sue più celebri canzoni. Chissà, in effetti, se il cielo che sovrasta la Lanterna in questa fredda domenica di gennaio ricorda ancora i fasti dello squadrone di Liedholm in quel maggio del 1983. Era ugualmente sereno, ma faceva più caldo. Si giocava sempre al Ferraris, ma nella vecchia versione. Chissà se quel pomeriggio di 34 anni fa è rimasto un pochino anche nella mente di qualche genovese. La corsa di Geppo per abbracciare il Barone, l’esultanza di Fiorini (che la terra ti sia lieve sempre, quel pianto di Lazio-Vicenza è arrivato al cuore anche di chi sta dall’altra parte del Tevere) che vale una salvezza. Le bandiere, la festa. Chissà se pure quel pomeriggio Genova ti accoglieva statica e diffidente come sempre. Con i suoi carruggi a tratti affascinanti e a tratti inquietanti. Di certo quel giorno c’era il Commando Ultrà Curva Sud, con tutte le sue storie. Quelle che riecheggiano oggi a 40 anni dalla sua nascita.

Genova si stende sorniona e silenziosa da Piazza Principe al Porto Antico. Con l’odore di qualche focaccia che ti entra nelle narici e quello aspro e malinconico del mare d’inverno che te lo spegne, facendoti stringere ancor più stretta la sciarpa al collo. Perché se arrivi con tre ore di anticipo sul fischio d’inizio dovrai pure impiegare il tempo in qualche modo. Genova l’ho descritta svariate volte. Nel volto genoano e in quello doriano. Eppure mi sorprende ogni volta.

Ho pensato lungamente a cosa scrivere in questo resoconto. E mi maledico forse nell’aver dato un incipit scontato. Perché non è vero in fondo che “Genova ha i giorni tutti uguali”. Genova ha i giorni più lenti di tante altre città italiane. Questo è vero. E così la sua gente è serafica, i suoi negozi aprono a stento nei giorni di festa e le sue strade sono cordiali ma distaccate. Lo invidio fondamentalmente. Perché la città di porto nasconde sempre i suoi misteri, i suoi artisti e le sue storie. Se Paolo Conte sbeffeggia affettuosamente Genova, Fabrizio De André le offre dichiarazioni d’amore. Anche se parla di puttane. Anche se parla di vecchi avvelenati ai tavolini della Città Vecchia. De André fa parte della nostra cultura popolare e sappiate che a Genova è possibile vederlo anche all’interno dello stadio. La sua effige è impressa su un bandierone della Gradinata Nord, a eterna memoria. “Ho una malattia”, disse Faber in un suo concerto. “Questa malattia si chiama Genoa”, continuò brandendo una sciarpetta rossoblu. Se i 40 anni del Cucs sono un evento liturgico per chiunque ami il mondo del tifo, i 18 anni dalla morte del cantautore (11 gennaio 1999) marciano di pari passo. Ed entrambi conservano quel fascino di chi scrivendo una storia ha saputo diventare leggenda.

Risalgo lentamente il centro storico per imboccare la Salita di Santa Caterina e poi trascinarmi fino a Brignole. Tutte le volte che vengo da queste parti la suddetta stazione funge da vero e proprio spartiacque. So che superato quello storico sottopasso, intriso di scritte attempate, sarò in zona stadio. Vedrò il torrente Bisagno e ripenserò alle prima trasferte fatte a queste latitudini. Il mio rapporto con Genova è di quelli ancestrali. Se parliamo prettamente di ultras non posso non tener conto della storia delle sue tifoserie. Curve che hanno scritto pagine bellissime e che da sempre ho abbinato a una maniera visceralmente passionale di seguire il calcio e a un tifo, sotto alcuni aspetti, quasi unico in Italia. Benché siano passati diversi anni e tante generazioni dall’expoloit calciofilo italiano. Dicono che sia una città calcisticamente inglese. Io, dal mio piccolo e insignificante pulpito, dico che è semplicemente molto italiana invece.

Lo schieramento di forze dell’ordine è ingente. Il treno con a bordo buona parte dei sostenitori capitolini è arrivato abbastanza presto e i pullman dalla stazione hanno fatto la spola per portare i tifosi allo stadio. La rivalità tra le due fazioni è ormai conclamata da qualche stagione. Anni in cui non sono mancate tensioni e dove l’amicizia tra liguri e napoletani ha certamente influito nell’accendere gli animi. Di certo il servizio d’ordine è pressoché perfetto e sembra difficile immaginare eventuali tumulti. Cosa che infatti non avverrà in tutta la giornata.

Quando entro all’interno del Ferraris il settore ospiti è quasi colmo nella sua parte superiore, mentre il resto delle gradinata sta andando man mano riempiendosi. Per ingannare il tempo gli ultras romanisti punzecchiano gli avversari, trovando pronta risposta dal gruppetto posto in Gradinata Sud che, a sua volta, provoca gli ospiti mostrando una bandiera del Napoli. I benpensanti odierni sarebbero capaci di condannare persino questo tipo di scene io, di contro, mi soffermo invece a incensare uno stadio dove determinate e stupide prescrizioni non sono minimamente presenti e chiunque può stare in piedi dove vuole, cambiare posto, cambiare anello e seguire la partita appoggiato su balaustre e muretti. Del resto il sorriso divertito di un bambino in spalla al padre mentre osserva le schermaglie tra romanisti e genoani la dice lunga su cosa possa portare le famiglie allo stadio e cosa le allontani. Un po’ come la risata neanche tanto repressa di un signore sulla cinquantina che, a pochi passi da me, sentendo le parole di un coro offensivo da parte giallorossa mormora: “Ma pensa questi che cosa sono andati a inventare”. Ecco, sappiate che a noi bestie da stadio nel 2016 piace da matti questa rozza e maleducata battaglia dialettica.

Ore 15, le squadre fanno il loro ingresso in campo. La Nord si colora con una sciarpata discretamente riuscita sulle note di “You’ll never walk alone”. Peccato, come ho detto lo scorso anno, che gli altoparlanti non mandino lo storico inno dei Grifoni (non conosco il titolo esatto, forse “Aprite le porte”?). Ci pensano i ragazzi della Nord a sopperire alla mancanza cantandolo successivamente. Lo stadio, come sempre, offre un buon colpo d’occhio tuttavia, va detto, la prestazione della Nord non sarà all’altezza di quello che è il blasone della tifoseria genoana e soprattutto di quello che sono stato abituato a vedere dagli ultras rossoblù. È infatti un manipolo centrale a tifare portandosi di rado dietro il resto del settore, un vero peccato. Buono il costante sventolio dei bellissimi bandieroni e la continua accensione dei classici fumogeni da porto di colore arancio. Purtroppo però troppo poco per una curva dal potenziale immenso. Ciò detto sarebbe sbagliato non ricordare tutti i problemi avuti dalla tifoseria organizzata del Genoa negli ultimi anni. Tra cui le decine di Daspo piovuti su personaggi carismatici l’indomani di quel famoso Genoa-Siena del 2012 (questo lo dovrebbe sapere anche chi sostiene che i tifosi non paghino mai le proprie colpe e trattino gli stadi come vere e proprie zone franche), oltre che una campagna mediatica diffamatoria condotta dai soliti noti.

Per quanto riguarda il settore ospiti, gli ultras romanisti, che già bel prepartita avevano riscaldato i motori, aprono le danze con il classico “Quando l’inno s’alzera” per poi sciorinare tutto il loro repertorio, tra cui parecchie manate e diverse torce accese al 30′ e nel finale, a vittoria ottenuta. Rispetto allo scorso anno il settore è apparso più compatto e numeroso (del resto nella passata stagione si giocava anche di lunedì alle 19 ed era l’ultima giornata, con un interesse sportivo pari allo zero) e il tifo si è mantenuto su buoni livelli per tutti i novanta minuti. Come detto tanti gli scambi “di veduta” con i dirimpettai che a tratti hanno contribuito ad accendere la contesa, scaldando anche il pubblico dei Distinti. Il Ferraris resta uno stadio reattivo, un luogo dove gli avversari non vengono a passeggiare. E questa, nell’anestetizzato calcio del 2016, è pur sempre una nota di merito.

In campo è la Roma ad avere la meglio, grazie a un rocambolesco autogol di Izzo nel primo tempo. Tre punti ottenuti con grande sofferenza ma fondamentali per la squadra di Spalletti, anche perché ottenuti laddove finora tutte le “big” erano fragorosamente cadute. Il Genoa può recriminare su qualche occasione mancata, tuttavia finora il campionato dei liguri non è stato negativo. Seppure, lo dico da spettatore esterno, sarebbe bello per una stagione rivedere tutti i marchi storici del calcio italiano primeggiare nella parte sinistra della classifica. So che è un sogno ma sognare almeno non costa nulla.

Il pubblico lentamente sfolla mentre i tifosi giallorossi permarranno all’interno del settore per un altro po’ di tempo. Per me è arrivato il momento di togliere il disturbo, con i freddo che prepotentemente è sceso su Genova e punge in maniera invereconda. Ecco, rispetto a quella giornata di maggio di 33 anni fa ci sono sicuramente tanti gradi in meno. Quindi non è vero che “Genova ha i giorni tutti uguali”.

Simone Meloni