Per questioni anagrafiche forse in pochi ormai ricordano l’epopea del Formia anni novanta, capace di stazionare in C2 dal 1990 al 1995 (bissando le tre stagioni disputate tra i professionisti dal 1978 al 1981) e gettando le basi a una tradizione sportiva consolidata, che come sempre ha marciato di pari passo anche con il calore e la costanza della tifoseria. In pochi guardano a Formia come città dove gli ultras hanno una loro notevole tradizione, soprattutto se comparata al panorama laziale. Eppure in giornate come queste, chi vive di stadio e chi vive il calcio strizzando sempre un occhio al suo aspetto più sentimentale, non ha potuto fare a meno di cogliere il germe mai appassito in una città che negli ultimi trent’anni ha conosciuto una serie infinita di amarezze sportive, annichilendo un vero e proprio patrimonio cittadino.

Formia è l’ultimo grande centro urbano del Lazio e penso di non far torto a nessuno dicendo che la sua millenaria appartenenza al Regno delle Due Sicilie e alla Terra di Lavoro (fino al 1927) ha fatto sì che la cultura locale richiami vistosamente quella campana. Dal dialetto a tante altre piccole sfaccettature. Sarà per ciò che questa storica città – tagliata in due dalla Via Appia e accarezzata da decine di dominazioni che hanno lasciato in eredità un invidiabile patrimonio artistico (malgrado i disastrosi bombardamenti alleati del 1944) – viene sempre vista nell’immaginario collettivo regionale come ai “margini”, una zona di confine. Del resto quando parliamo del Lazio va considerata una geopolitica alquanto forzata, nata nei primi anni del ‘900 ritagliando lembi di terra dalle attigue regioni. Basti pensare alle differenze culturali e di tradizioni che intercorrono tra l’area viterbese e la provincia meridionale di Latina, per l’appunto.

Tornando alla ragion per cui oggi mi diletto nello scrivere questo pezzo, i biancoblu dopo aver compiuto un percorso quasi perfetto – eliminando peraltro la schiacciasassi Sora – raggiungono questa finale di Coppa Italia Eccellenza con la concreta speranza di andare avanti e riconquistare quella Serie D perduta lo scorso anno dalla porta di servizio. Si gioca ad Artena, delizioso paesino incastonato tra Valmontone e Colleferro, e l’avversaria di turno è la LUISS, compagine appartenente all’omonimo ateneo che da qualche anno partecipa regolarmente (e con discreto successo) ai campionati dilettantistici. Per l’occasione tutti i biglietti a disposizione sono esauriti, con il settore più grande (circa 800 posti) destinato ai formiani, che già nelle settimane precedenti avevano richiamato tutti alla partecipazione, consci dell’importanza sportiva di questa giornata.

Vanno fatti anche vivi complimenti agli organizzatori dell’ordine pubblico. Si è persino riusciti a giocare una gara senza limitazioni e senza interferenze dell’Osservatorio. Certo, stendo un velo pietoso sulla meticolosità con cui avvengono i controlli presso l’impianto artenese (lo stesso in cui diverse tifoserie in campionato sono rimaste fuori, essendosi viste negare l’accesso a pezze per i diffidati). Nessuno nega la necessità delle perquisizioni, ci mancherebbe. Ma il rimandare indietro striscioni di carta non incitanti alla violenza, negare l’ingresso ai megafoni, impuntarsi su torce e fumogeni in una giornata totalmente rilassata e tranquilla e il voler per forza far valere un immotivato pugno duro nei confronti di chi si è preso una giornata di ferie per godersi un evento del genere, la dice lunga sull’ottusità con cui talvolta viene gestita la fase di afflusso nel nostro Paese. Ma a parte ciò, complimenti! Quantomeno si è giocato a porte aperte e al netto della capienza totale!

Già un’ora prima del fischio d’inizio i formiani sono intenti nel preparare la piccola coreografia da inscenare all’ingresso delle due squadre. Uno striscione “Conquista la vittoria, conquistala per noi” campeggia sulla ringhiera del loro settore, mentre dietro – non visibili per tutto il match – sono appese le pezze con cui il tifo biancoblu si identifica ormai da diverso tempo. Da segnalare, peraltro, la presenza dei gemellati roccaseccani, di cui a più riprese si vede un bandierone.

I motori cominciano a scaldarsi qualche minuto prima dell’inizio e quando le squadre fanno capolino dagli spogliatoi, ecco il settore occupato dai tifosi del Formia colorarsi di tantissime bandierine tricolori. Mentre, a sorpresa, anche nello spicchietto di sostenitori della LUISS viene inscenata una coreografia fatta di bandierine biancoblu e telone centrale. Sebbene – va detto – per tutto il match non ci sarà tifo da par loro.

Gli ultras formiani si ritrovano a gestire una folla che negli ultimi anni si è vista di rado al seguito dei biancazzurri, ma che attesta una passione mai sopita e un’identità ben radicata in città. I ragazzi della Curva CONI fanno il loro meglio per coordinare tutti i presenti e quello che ne viene fuori è un’ottima prestazione canora, colorata anche da una bella sciarpata e da qualche torcia sfuggita fortunatamente ai controlli. E coronata dalla vittoria della Coppa, che arriva in maniera sofferta e per nulla scontata.

Malgrado il vantaggio formiano e l’inferiorità numerica avversaria, infatti, i biancazzurri si fanno raggiungere e rischiano addirittura lo svantaggio in un paio di occasioni. La svolta è sicuramente la seconda espulsione a carico degli accademici e il via libera per il Formia. I ragazzi guidati da Gabionetta (vecchia conoscenza di Torino e Salernitana) a questo punto vanno in rete altre due volte, calando il tris e incidendo il proprio nome sull’albo d’oro della competizione.

Grande festa nel settore occupato dagli ultras, che si trattengono per lungo tempo con la squadra per festeggiare il trofeo. Coppa che passa dalle mani dei giocatori a quelle dei tifosi, suggellando una sinergia di intenti che in riva al Golfo mancava sicuramente da tanto tempo. Un dirigente mi passa vicino, mentre sono intento a immortalare il settore, e mi grida: “Lo vedi? Questo è il cuore di Formia”. Un’immagine che per qualche minuto riconcilia col calcio e mi fa ovviamente sorridere.

È un premio tutto sommato giusto per una piazza che anche in poche unità non ha fatto mai mancare la propria presenza e il proprio sostegno. Cosa per nulla scontata in un’epoca storica dove si contestano squadre prime o in lotta per il titolo e in cui addirittura le società – per assecondare questo folle atteggiamento – chiedono scusa dopo una partita non vinta, magari anche se si sta facendo un campionato ben oltre le proprie possibilità.

Lascio il campo quasi quaranta minuti dopo il fischio finale. Le celebrazioni sono durate molto, sintomo di quanta voglia di calcio ci sia a Formia e di quanto ora il popolo biancazzurro speri in una scalata, difficile ma non impossibile, nella fase nazionale. Lo stadio si è svuotato e sulle recinzioni resta solo lo striscione – ormai strappato – della coreografia. È un’immagine che trasuda felice solitudine. Quella del luogo dove qualche minuto prima si è scritta una piccola pagina di storia. Ora una masnada di macchine e furgoni si incolonnano verso il casello autostradale di Valmontone. Chi a suon di clacson, chi con le sciarpette fuori dal finestrino. Io mi avvio verso la stazione con la mia bicicletta, ma non posso far altre che apprezzare il momento di giubilo spontaneo.

Simone Meloni