L’atto finale dell’edizione 2023-2024 della Coppa Dilettanti Lazio prevede la sfida tra il Terracina e l’UniPomezia. Vincere questa manifestazione non significa soltanto mettere in bacheca un trofeo prestigioso, ma anche guadagnarsi la possibilità di giocare fuori dai confini regionali nella successiva fase nazionale, che nella maggior parte dei casi propone alle tifoserie coinvolte partite inedite, con l’opportunità di effettuare trasferte stimolanti in stadi nuovi.

Come scritto nell’articolo relativo alla partita Terracina – W3 Maccarese, la squadra tirrenica torna a disputare la finale di questo torneo dopo ventotto anni, mentre il sodalizio pometino si presenta all’incontro con due trofei in bacheca, ottenuti nel 2017 (vittoria sull’Itri a Latina) e nel 2018 (successo di misura contro l’Astrea a Ciampino). Le due squadre militano anche nello stesso girone dell’Eccellenza laziale, dove si stanno sfidando in un appassionante duello al vertice per la vittoria del campionato.

Terracina e Pomezia, le due città rappresentate in questa finale, sono, rispettivamente, il centro più meridionale e quello più settentrionale del territorio chiamato dai Romani Ager Pomptinus o Pometinus. L’Agro pontino è una pianura fertile e industrializzata, liberata definitivamente dalla palude e dalla malaria soltanto nel Novecento, che inizia ai piedi dei Colli Albani e termina nell’insenatura di Terracina, nel punto in cui i Monti Ausoni toccano il Tirreno.

L’area pontina, nell’antichità, apparteneva al Latium vetus e fu a lungo contesa dai Volsci e dai Romani, prima che questi ultimi ne assumessero definitivamente il controllo con la vittoria riportata nella Grande guerra latina (340-338 a.C.). Per alcuni studiosi il nome di questa pianura potrebbe derivare dall’insediamento scomparso di Suessa Pometia, di cui resta traccia solo nelle fonti letterarie antiche, in particolare nella Bibliotheca historica di Diodoro Siculo (I secolo a.C.) e nel terzo libro della Naturalis historia di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.), nel quale leggiamo che nella prima età imperiale non era più esistente.

Negli studi di topografia dell’Italia antica, data la mancanza di prove archeologiche, non è stata ancora raggiunta alcuna certezza circa l’ubicazione di Suessa Pometia. Restano, appunto, le spie letterarie e i richiami linguistici, come il nome stesso dell’attuale Pomezia, popoloso centro della parte meridionale della provincia di Roma, al confine con quella di Latina.

L’odierna Pomezia fu inaugurata il 29 ottobre 1939, dopo la posa della prima pietra avvenuta il 25 aprile 1938. Nata come centro rurale di bonifica, nella seconda metà del XX secolo la città di Pomezia conobbe un’intensa industrializzazione, in particolare nel settore farmaceutico.

Diversa la storia di Terracina, una delle città più antiche e ricche di monumenti del Lazio, la cui fondazione era attribuita, nell’antichità, a un gruppo di spartiati fuggiti da Sparta, polis greca del Peloponneso meridionale, in seguito alle riforme del mitico legislatore Licurgo. Gli spartiati erano la più importante classe sociale di Sparta. La leggenda è riportata da Dionigi di Alicarnasso, storico greco vissuto tra il 60 e il 7 a.C., autore di una Storia antica di Roma che arriva fino al 264 a.C.

Al di là delle suggestioni del mito, le origini di Terracina sono da riferire, con ogni probabilità, al popolo degli Ausoni. Alla fine del VI secolo a.C. il centro tirrenico cadde sotto l’influenza della Roma dei Tarquini, i re etruschi sotto i quali l’Urbe conobbe un decisivo rinnovamento istituzionale e urbanistico, diventando la città più importante del Latium.

Nel V secolo a.C., tuttavia, Terracina, come le vicine Satricum e Antium, fu sottratta ai Romani dai Volsci, una popolazione dell’entroterra appenninico che migrò nella pianura litoranea con l’obiettivo di impedire a Roma l’accesso alle vitali risorse del Lazio meridionale costiero, tra cui il grano delle terre intorno a Satrico. Al tempo della dominazione volsca Tarracina divenne Anxur. I Romani ripresero Terracina nel 406 a.C., nell’ambito degli scontri con i confinanti Volsci, Equi e Sabini, protagonisti dei quali furono personaggi mitizzati dalla tradizione storiografica, quali Cincinnato e Coriolano.

Come già scritto, però, solo dopo la battaglia navale dell’Astura del 338 a.C., che mise fine alla Grande guerra latina, Roma assunse il controllo permanente del Lazio meridionale. Nel 329 a.C. Terracina divenne, dunque, la seconda colonia maritima di diritto romano, in ordine di tempo, dopo Anzio. Fu poi raggiunta, nel 312 a.C., dalla prima autostrada della penisola, quella Via Appia fatta costruire dal censore Appio Claudio Cieco per permettere all’esercito romano di raggiungere rapidamente Capua (l’attuale Santa Maria Capua Vetere) e, da qui, la regione montuosa del Sannio, teatro del sanguinoso conflitto con i fieri e bellicosi Sanniti.

In età imperiale Terracina conobbe un grandioso sviluppo urbanistico ed economico, grazie al taglio del Pisco Montano, che velocizzò i collegamenti tra Roma e la Campania, e alla realizzazione di un importantissimo scalo portuale.

Come la città, anche il calcio terracinese vanta una lunga storia. Il football arrivò in riva al Tirreno nel 1925, grazie a un gruppo di pionieri, tra i quali si ricorda Bonaventura Matthias, primo presidente della Società Sportiva Francesco Di Biagio Terracinese, club intitolato all’aviatore caduto nella Grande Guerra e insignito della medaglia d’oro al valor militare. A Bonaventura Matthias era intitolato il vecchio stadio del Terracina, purtroppo abbattuto, un impianto pieno di fascino, collocato nel cuore della città, a un passo dal mare e all’ombra del tempio di Giove.

Il presente, dicevamo, vede il Terracina e l’Unipomezia in lotta sia per la vittoria del campionato di Eccellenza, sia per la conquista della Coppa di categoria. Le due settimane precedenti a questa finale sono state caratterizzate da una prolungata incertezza: dapprima relativamente alla sede dell’incontro, inizialmente individuata nel “Bartolani” di Cisterna di Latina (LT), poi spostata all’“Olindo Galli” di Tivoli (RM); quindi in merito alla vendita dei biglietti, iniziata soltanto nel pomeriggio antecedente la partita. Ai terracinesi è stata assegnata la gradinata coperta, ai pometini, invece, il settore scoperto, che in occasione delle gare della Tivoli è occupato dalle tifoserie ospiti.

I sostenitori terracinesi, giunti con autobus e macchine, si presentano in gran numero nell’impianto tiburtino per questa storica e attesissima finale. Gli ultras biancocelesti, quest’oggi accompagnati dai ragazzi di Formia e di Roccasecca, iniziano a cantare quando mancano ancora diversi minuti all’inizio delle ostilità. I primi cori, durante il riscaldamento dei calciatori, sono inequivocabili: la Curva Mare vuole assolutamente una vittoria, che porterebbe sotto il tempio il primo trofeo della storia calcistica terracinese.

Alle 14:30 gli atleti entrano in campo. La Curva Mare realizza una splendida coreografia, composta da teli bianchi, rossi e verdi che formano un tricolore. Al centro si osservano la coccarda della Coppa insieme alle iniziali e all’anno di fondazione del club. In basso uno striscione recita: “Questo è il nostro grande amoreConquistiamola!!!”. Subito dopo una fitta fumogenata, anch’essa tricolore, copre gli spalti. Lo spettacolo è meraviglioso, di quelli che non si dimenticano.

Nel settore pometino si può notare la pezza del gruppo Giovane Schiera. I sostenitori dell’Unipomezia accolgono l’ingresso delle squadre in campo sventolando delle bandierine rossoblù. Nel corso della partita, tuttavia, tiferanno in modo sporadico.

I terracinesi, terminata la coreografia, iniziano immediatamente a sostenere la squadra. Rumorosi e colorati, producono un tifo di ottima qualità. I bandieroni sempre in movimento, i due aste di ottima fattura e le bandierine creano un bellissimo effetto visivo. I cori sono soprattutto lunghi e ben ritmati dal tamburo. Tra quelli a ripetere si segnala un “Noi vogliamo questa vittoria” intonato con buona potenza. Risultano molto coinvolgenti i cori in dialetto, in particolare il classico “Giocano a palla, a racchettoni”, cui la tifoseria biancoceleste è particolarmente affezionata. Alla metà della prima frazione arriva il momento della sciarpata sulle note dell’inno della squadra, intitolato Forza, forza Tigrotti. A più riprese fanno capolino nel settore anche torce e fumogeni. In campo le due squadre si controllano e i primi quarantacinque minuti si concludono con uno 0-0 che lascia tutto in bilico.

Quando inizia la seconda frazione, gli ultras anxuriani ritornano subito ai propri posti per riprendere a tifare. Trascorrono pochi minuti e il Terracina passa in vantaggio: il forte attaccante Camara prende palla fuori dal limite dell’area di rigore, salta un giocatore dell’Unipomezia e scocca un tiro velenoso, di fronte al quale il portiere Borghi non può nulla. Sugli spalti i sostenitori tirrenici festeggiano con incontenibile entusiasmo il gol dell’atleta tigrotto.

Dopo solo un quarto d’ora, però, il sodalizio pometino trova la rete del pareggio con Piro, che realizza una bella marcatura sugli sviluppi di un calcio d’angolo. I ragazzi di Terracina non si fanno abbattere dal colpo subito, ma continuano a sostenere i propri undici, benché la tensione si tagli a fette. I biancocelesti espongono alcuni striscioni, tra i quali uno per il tifoso triestino Stefano Furlan, a quarant’anni dalla tragica morte avvenuta l’8 febbraio 1984, nel dopo gara del derby Triestina-Udinese. La partita non conosce altri sussulti fino al 90’, per cui il destino della finale si decide tutto nei supplementari.

Nell’extra-time i terracinesi tifano con ottima intensità, in particolare quando intonano il coro “E io canterò, fino al novantesimo”, che viene tenuto per diversi minuti senza calare in potenza. Solo nel secondo tempo supplementare, però, si materializza l’episodio che determina l’esito della finale: al 111’ l’onnipresente Camara fornisce a Carlini un prezioso assist, che il fantasista terracinese capitalizza infilando il pallone nell’angolino alla destra del portiere avversario. Il calciatore tirrenico, consapevole di aver realizzato il gol probabilmente più importante della storia del Terracina, corre insieme alla squadra sotto la Curva Mare per festeggiare insieme al popolo biancoceleste una rete che nessun terracinese dimenticherà mai.

Nei minuti finali l’Unipomezia si precipita in avanti alla disperata ricerca del pareggio, ma il Terracina resiste fino al triplice fischio, aggiudicandosi la finale. Per gli ultras della Curva Mare arriva il momento sognato da una vita: gli atleti con la tigre sul petto innalzano al cielo la Coppa, poi si recano sotto la grandinata per mostrarla ai tifosi e festeggiare insieme a loro.

Gli spalti del “Galli” sono testimoni dell’abbraccio di tre generazioni di tifosi, accomunate dalla stessa passione per la casacca biancoceleste. Tre generazioni che non hanno mai mollato, nonostante i numerosi travagli sportivi e societari che hanno segnato la storia del Terracina; tre generazioni che non hanno mai visto la C ma che, nonostante tutto, hanno sempre tenuto accesa la fiamma del tifo in una piazza che si è ritagliata uno spazio indiscusso nella storia del movimento ultras italiano.

Mentre si consumano gli ultimi festeggiamenti, il sole proietta le luci del tramonto sui boschi dei Monti Lucretili. Le gradinate a poco a poco si svuotano, ma la festa non finisce qui: al rientro a Terracina, la squadra viene accolta dai tifosi nel centro della città, per un abbraccio collettivo che rimarrà per sempre nei ricordi di ogni terracinese.

Andrea Calabrese