La prima, vera, chicca che precede questo ottavo di finale dell’Europa League è fornita – manco a dirlo – dalla stampa e dal suo allarmismo per l’arrivo di circa quattromila “teste di gabbiano”. Un pericolo palese, soprattutto in una città che da anni ormai ha un rapporto difficoltoso con suddetti uccelli, talvolta sfacciati invasori delle zone adiacenti al Tevere. Altre volte intenti a volteggiare proprio sull’Olimpico, con il loro fare aggressivo. Comprensibile, dunque, il terrore di alcuni scribacchini, finemente eruditi in fatto di tifo (sic!). Gli stessi che nelle ore precedenti al fischio d’inizio si sono sbracciati nel puntare il dito contro i romanisti parlando di un episodio che sembra somigliare più a un “comune” atto di microcriminalità (furto) che all’azione contro una tifoseria che davvero non ha suscitato l’interesse di nessuno. Fortuna che ormai certi meccanismi risultano talmente rudimentali da non attecchire più di tanto. Così, tanto per la cronaca, l’unico segnale di vita lasciato dai supporter inglesi saranno le classiche birre consumate nel centro storico e un’attitudine da stadio meno partecipativa e movimentata anche rispetto a una scolaresca per la prima volta in gita al Colosseo.

Parlando di cose che si sottraggono al metaverso di suddetti “giornalisti”, la gara col Brighton è vissuta, ovviamente, con una certa suspense da parte di tutto l’ambiente. Il palcoscenico europeo richiama sempre un particolare pathos e il cammino dello scorso anno, culminato con la sanguinolenta sconfitta di Budapest, è ovviamente ancora impresso nella mente e nel cuore di tutti. Rappresentando un sogno, tormentato, per i romanisti: la Coppa Uefa, oggi Europa League, quella rassegna inseguita da generazioni e dolorosamente svanita a un passo dal trionfo. Passaggi che hanno rafforzato la fede, instillando nell’anima di intere generazioni la “ragione” della sofferenza. Mostrando il lato più autentico del non essere tifoso di Milan, Juve o Inter. Cosa che implica un rapporto “privilegiato” con la sconfitta e con i suoi strascichi. Fantasmi che ritornano e che ciclicamente creano una corazza più spessa e tosta per tutto l’universo giallorosso, che magari a volte eccederà con il suo entusiasmo e le sue recriminazioni, ma che continua a rappresentare un fulcro genuino in quanto a passione e attaccamento.

Quando manca poco meno di un’ora al fischio d’inizio buona parte dello stadio è già occupata dai tifosi, mentre in diversi settori e senza nulla di organizzato continuano a sbucare bandiere Palestinesi fatte a mano con i colori della Roma. Una trovata che negli ultimi mesi ha visto sempre più prendere piede, tanto da trovare il contrasto delle solerti autorità, le quali in più di un’occasione hanno provato a contrastare lo sventolio dei vessilli, trovando la risposta nell’aumentare degli stessi. Se è vero che l’unica cosa davvero libera e non autorizzabile che rimane oggi negli stadi italiani è la voce degli ultras e dei tifosi in generale, è altrettanto vero che la presenza di drappi che richiamano alla questione palestinese sta sempre più diffondendosi nel nostro Paese, non essendo ovviamente vista di buon occhio dall’establishment politico che prontamente sguinzaglia i suoi cani da guardia nel tentativo di sopire dimostrazioni non conformi al “potere” e ai suoi equilibri. E Roma non è da meno, basta farsi un giro in città. Dove si evidenzia anche la commistione con la militanza curvaiola tra scritte, murales e manifesti attaccati. Non amo la politica in curva, soprattutto quando rappresenta un elemento divisivo e limitante, ma va pure detto che quanto certe tematiche diventano trasversali, la loro presenza nei settori popolari è comunque segno di vitalità.

Tornando al match dell’Olimpico, come sempre viene sonoramente fischiato l’inno dell’Europa League. Fischi che si tramutano in coro unanime, invece, al momento dell’inno della Roma. Migliaia di sciarpe tese, fumogeni accesi qua e là e coreografia composta da bandierine in Sud: uno spettacolo tutto sommato ben riuscito nella sua semplicità, nonché un ottimo viatico per fomentare lo stadio e prepararlo alla battaglia contro una squadra che è stata presentata dalla stampa come invincibile, anche e soprattutto grazie al lavoro del nuovo maestro, filosofo ed esempio del football: Roberto De Zerbi. Tra i tanti striscioni appesi durante il match, sicuramente da menzionare quelli in memoria di Massimiliano Rognini, storico esponente del tifo romanista ricordato praticamente in tutti i settori. Mentre dissacrante il messaggio con cui Gruppo Quadraro allude a presunte doti della defunta Regina Elisabetta, peccato che di fronte non ci sia una tifoseria storicamente lealista o attaccata alla Corona: lo sdegno che avrebbe suscitato sarebbe stato divertente, anche considerato il vassallaggio che spesso i media italiani adoperano nei confronti dei reali inglesi, inspiegabilmente onnipresenti sui nostri giornali e telegiornali!

La Roma in campo parte forte e chiude il primo tempo sul 2-0, caricando il proprio pubblico che si produce in una buona prova di tifo. La Sud si mette in mostra con il solito repertorio fatto di bandieroni, manate e cori tenuti a lungo, mentre anche in Nord – come ormai di consueto – il gruppo lato settore ospiti sfoggia un’ottima performance, trascinandosi dietro buona parte della curva. Colore e bandiere sono ormai una costante anche in Tevere, con vari drappelli che animano la tribuna. Sugli inglesi, come detto, poco da dire: benché nei primi dieci minuti si facciano sentire con diversi sussulti, il prosieguo della gara li vedrà pressoché inermi. A volte vorrei avere la loro capacità di esercitare fascino e proselitismo dal nulla, pur non riuscendo a creare neanche minimamente ambiente e rumore. La forza di sobillare un mito svanito ormai da decenni e rinfocolato solo dalla patetica letteratura postuma e da film altrettanto imbarazzanti.

Nella ripresa la squadra di De Rossi va in rete altre due volte, mettendo una seria ipoteca sul passaggio del turno, sebbene nella Perfida Albione non vada mai dato nulla per scontato, soprattutto quando ti chiami Roma e sul groppone hai una discreta storia fatta di figuracce e rimonte impossibili subite in campo europeo. Nel finale, a risultato ormai acquisito, la Sud torna a sventolare le bandierine della coreografia, coinvolgendo lo stadio con un paio di cori e, in particolar modo, con quello a rispondere. Al triplice fischio applausi scroscianti per i capitolini, mentre anche il Brighton si reca sotto i propri supporter, con il vate De Zerbi in prima linea a ricevere il sostegno di una tifoseria che comunque, nel giro di pochi anni, è passata dalle divisioni inferiori agli ottavi di una competizione continentale. Ci sarà modo di bissare l’impari confronto sugli spalti tra qualche giorno, quando nella città britannica sbarcheranno circa tremila romanisti. Chissà se a Brighton parleranno di “artigli di lupa” in arrivo, oppure accoglieranno i tifosi ospiti con al giusta attenzione ma anche con la relativa tranquillità di chi vuol gestire un evento senza creare inutile allarmismo. Ma qua dovremmo tirar fuori il famigerato “modello inglese”, quello che spesso in Italia viene evocato senza conoscerne minimamente il modus operandi, le criticità e gli aspetti positivi (tra i quali, ad esempio, la totale assenza di divieti e l’irrorazione del Daspo da parte di un giudice e non della polizia). Intanto il primo round è terminato e sulle note di “Grazie Roma” l’Olimpico sfolla lentamente, andando a invischiarsi nel traffico del rientro.

Simone Meloni