Tra i miei viaggi in Italia spiccano sempre più spesso partite regionali o interregionali, visto che sono un po’ stufo del calcio moderno, del calcio dei soldi e delle TV. La Serie A – a parte la squadra del mio cuore – non la seguo più di tanto, sinceramente mi interessa molto di più una partita di Serie D o Eccellenza in qualche posto strano che il calcio professionistico. Poche settimane fa, ho viaggiato alla volta di Prato, questa volta tocca al Molise. Anche qui gioca una “nobile decaduta”, forse non inabissatasi del tutto ma comunque in Eccellenza sembra un pesce fuor d’acqua: Il Campobasso.

Tra il 2006 ed il 2023 ho visto la maggiore realtà Molisana quattro volte in circostanze diametralmente diverse fra loro. Il punto per me calcisticamente più basso è rappresentato dalla partita di fine Febbraio in un piccolo paese che si chiama Ururi. Avevo visto le foto dell’andata del mio collega di testata, con tanto di presenza ospite in tribuna in una circostanza, quella del compianto capitano Michele Scorrano, che lega le due piazze che per il resto non potrebbero essere più diverse fra loro. Proprio di Ururi era infatti originario l’eterno capitano rossoblu, morto prematuramente nel 2009, bandiera del Campobasso con cui giocò prima e dopo l’acme della Serie B negli anni ottanta, con più di 420 partite con indosso sempre quella stessa maglia.

Un altro elemento di curiosità ed attrattiva riguarda le radici Arbëresh di Ururi che per il sud italiano non è così insolito, ma lo è per me. Da Svizzero vivo in un paese che negli anni ’90 ha accolto all’incirca 100.000 profughi delle parti albanesi di Kosovo, Macedonia e Serbia. Ed essendo coinvolto in una società di calcio, sia da dirigente che da allenatore degli Allievi, mi interfaccio con la cultura Albanese ogni singolo giorno. Sono comunque ugualmente curioso di vedere com’è un tal posto, considerando che questi paesi non devono la loro influenza Albanese all’arrivo recente di profughi, ma esistono da secoli. Lo notavo, tra l’altro, anche nelle dette foto dell’andata, quando i tifosi ururesi portarono a Campobasso una bandiera di Skanderbeg, eroe nazionale dell’Albania.

Come al solito, anche questa volta opto per il treno come mezzo di trasporto. Da Bologna, dove ho dormito, sono circa quattro ore fino a Termoli, fermata Frecciarossa sul treno da Milano Centrale a Lecce. A Termoli, però, di coincidenze non ce ne sono: è domenica ed i pullman non sono operativi e la vecchia stazione di Ururi-Rotello è fuori servizio. Allora mi tocca sborsare un po’ di soldi per un taxi che mi porti ad Ururi, detto anche Rur in lingua albanese. A volte, alle soddisfazioni si arriva con sofferenza, ma soddisfazione comunque sarà. Anche se non è amore a prima vista quello con Ururi.

Il paese appare quasi deserto, a parte un Bar in Centro che però chiude pochi istanti dopo il mio arrivo. Ma siccome non manca troppo alla partita e ci tenevo a fare un giro, va anche bene così. Noto subito che c’è un “Centro Skanderbeg” in città e che i cartelli stradali sono redatti in due lingue, italiano ed albanese. Tra questi ci sono anche la Strada per lo Stadio ed il cartello dello Stadio stesso. Quest’ultimo mi accoglie con una leggere pioggia, ma all’ingresso la gente è molto tranquilla ed ospitale.

L’Aurora Ururi ovviamente non è una società professionistica ed allo Stadio ci sono 300 persone. Ma questo finisce per stuzzicarmi più che una partita di cartello nelle categorie maggiori. A parte l’erba artificiale (che in questa zona secca è forse inevitabile), sembra tutto affiorare da un mitologico ieri che è esattamente quello che cerco e che voglio vedere. Resto in special modo affascinato da qualche stemma della società dipinto sui muri e consumato dal tempo. Lo Stadio stesso consiste di una sola Tribuna al cui lato vi è ricavato un piccolo settore ospiti.

In quel settore prendono posto circa 100 tifosi giunti dal capoluogo del Molise. Ed è un bel fatto: non si sentono troppo nobili per seguire la loro squadra nei bassifondi dell’Eccellenza, ma fanno un tifo davvero notevole. Il tutto inizia con un omaggio a Michele Scorrano in forma di uno striscione ed una bella fumogenata. Anche in campo si inizia con il ricordo a Scorrano, c’è uno scambio di targhe ed è presente anche il sindaco di Ururi, tanto per sottolineare l’importanza della gara in programma oggi. Unico neo: la bandiera di Skanderbeg ed anche il gruppo di tifosi dell’Ururi visti all’andata non erano presenti. Peccato!

La gara a sua volta riserva poche sorprese. Il Campobasso, che è capolista ed una macchina da gol, annienta come all’andata l’Ururi per 5 a 0. Fatica molto per segnare il primo gol, i giallorossi locali sembrano aver preparato bene la gara ma alla fine vince il superiore tasso tecnico ospite. Qualche altra nota di colore su questa partita? Dopo pochi minuti, il guardalinee avvisa una delle due panchine, dicendo: «Se fumate in panchina vi butto fuori!» L’attaccante del Campobasso, Manuel Guillari, oltre a realizzare un gol bellissimo, ha cercato di segnare di petto quando sarebbe stato più ovvio e facile farlo di testa, scatenando l’ilarità del pubblico locale. Tra le fila ururesi spicca tale Sebastiano Scarati, un forte difensore che varie volte ha sfibrato psicologicamente gli attaccanti della capolista. E quando ho visto il subentrante Andrea Saetta, classe 2006, ho pensato che poteva essere uno dei miei ragazzi degli Allievi. Il migliore in campo, però, è stato senza dubbio Axel Traoré, attaccante francese del Campobasso a cui forse persino la Serie D starebbe stretta.

Per il resto, il palcoscenico è completamente ad appannaggio dei tifosi ospiti. Forse sbaglierò, ma il loro «Che cazzo ci facciamo in Eccellenza?» non era SOLO un modo per sottolineare la loro estraneità alla categoria ma anche, in qualche modo, una dichiarazione d’amore a queste dimensioni così umane del calcio. I controlli all’ingresso risultano quasi inesistenti e all’intervallo devono andare (in macchina!) in un Bar del paese per cercare un po’ di birra. Il loro coro sulle note de “I maschi” di Gianna Nannini è da pelle d’oca mentre, sempre in tema di “bionda passione”, molto emozionante il coro fra le cui parole spiccava il verso: «la birra in mano, il Lupo nel cuore». Infine, per pure questioni di identità, non si può non citare: «Non siamo Abruzzesi, nemmeno Marchigiani…»; seguito da «non siamo Termolesi e nemmeno Venafrani».

Insomma gli ospiti in questa categoria, nonostante vogliano ovviamente lasciarla in fretta, si sono divertiti parecchio. Cosa che si può dire alla stessa maniera anche sul pubblico di casa, dove un tifoso ha detto ad un amico: «Una bella domenica di Sport, mo prepariamo ‘na frittata.» Una perla di saggezza perfetta a chiusura di questa tranquilla domenica e di questo testo, ci tengo solo a fare un ultimo ringraziamento a Giacomo e al suo amico dell’ufficio stampa del Campobasso per avermi dato uno strappo fino alla Stazione di Larino: oltre ad aver rappresentato un piacevole incontro, sono riuscito anche a rimettermi sulla rete ferroviaria senza svenarmi ulteriormente con un taxi.

Remo Zollinger