Finita la stagione non c’è nemmeno tempo di staccare mentalmente e farsi prendere dalla nostalgia dei gradoni mentre si sorseggia una fresca birra in spiaggia, che già cominciano le prime gare e le prime schermaglie sugli spalti (con F91 Dudelange-KF Tirana, preliminare di Champions infatti, è già ricominciata la nostra attività per il 2022-23). Passiamo dunque al nostro (non sempre) puntuale “recap” dell’anno appena trascorso prima che il nuovo arrivi a travolgerci con la sua ridda di impegni e attività.

Non si può che cominciare dalla Serie A, anche se è uno di quei campionati che seguiamo molto meno di quanto potremmo. Un po’ perché la deriva commerciale né ha mortificato gli aspetti più popolari, penalizzando spesso il tifo e di rimando facendo venir meno l’interesse di chi come noi guarda alle Curve e non agli attori in campo. Poi anche perché – sempre per gli stessi motivi di cui sopra – i diritti d’immagine della categoria maggiore sono stati talmente tanto esclusivizzati che, in barba al diritto di cronaca e all’ottemperanza della rivista ai doveri singolari e collettivi dati dall’appartenenza all’Ordine dei Giornalisti, spesso gli accrediti ci vengono rimbalzati senza pietà per favorire le grandi testate o quelle appartenenti alla claque societaria. Le voci discordi non piacciono tanto.

Ma lasciando perdere queste guerre perse e venendo al campo, questo è stato l’anno del grande ritorno del Milan, a completare la doppietta milanese dopo la quasi decennale egemonia della Juventus. Ci piace pensare, anche se non è del tutto così, che il declino dei bianconeri sia iniziato anche in virtù della censura indiscriminata che la società degli Agnelli ha attuato negli ultimi anni verso la sua tifoseria. A partire da prezzi disumani dei biglietti (anche quest’anno, per l’abbonamento più “popolare” bisogna sborsare ben 650 €…) per finire con la battaglia senza quartiere nei confronti dei gruppi organizzati. Certo mossa a partire da problematiche evidenti e innegabili poi esplose nel cosiddetto processo “Last Banner” della Procura di Torino che ha coinvolto diversi esponenti del tifo juventino oltre anche a soggetti della stessa compagine. Però l’ormai consolidato italico abuso che per tentare di educarne un paio (6 i condannati in primo grado) colpisce e penalizza migliaia di tifosi del tutto estranei non è un approccio equilibrato, come (quasi) mai equilibrati sono i rapporti fra società di calcio e tifo in cui lo SLO resta sterile burocrazia. Grande annata comunque per i milanisti dicevamo, che dopo vari tentativi hanno forse trovato la loro definitiva quadratura del cerchio offrendo un tifo compatto, numeroso e rumoroso. Stilisticamente sono fra i maggiori interpreti della nuova moda del “total black” negli stadi, sulla quale i pareri restano discordanti ma è comunque una tendenza che ridisegna l’approccio stilistico ultras e non può semplicemente essere ignorata. Il loro modo totalizzante di vivere la partita è stato oggetto di forti polemiche anche in occasione della gara scudetto in casa del Sassuolo (in realtà casa della Reggiana, ma vabbè…) quando, una serie di invasori di campo, dopo aver festeggiato il diciannovesimo titolo furono riaccolti nel settore a suon di “rieducativi schiaffoni”. L’evento ha dato ovviamente il la per rinfocolare le vecchie polemiche su alcuni tifosi rossoneri e sui loro precedenti schiacciando l’analisi da una prospettiva giustizialista che poco dice sul tifo rossonero nella sua interezza: è certo invece che dopo anni di sbandamento a seguito della dissoluzione della mitica triade FdL-Brn-CT, i milanisti sono tornati ad essere protagonisti sugli spalti sia in termini di quantità che di qualità e a prescindere da certo gossip, restano uno dei peggiori clienti con cui confrontarsi in una gara di tifo a 360 gradi.

Qualificate in Champions, oltre ovviamente ai campioni d’Italia, anche Inter, Napoli e Juventus che li hanno seguiti in classifica. Detto della situazione in casa Juve, nonostante la vittoria della Coppa Italia proprio a danno della Juve, resta invece un po’ d’amaro in bocca per gli interisti che hanno lungamente condotto la classifica e che hanno poi perso la possibilità del secondo scudetto consecutivo a causa di una seconda parte di stagione claudicante. Poco da rimproverare alla tifoseria che, può piacere o meno a seconda dei gusti, ma come la controparte cittadina è in un periodo di buona costanza nel tifo che trova negli spettacoli coreografici del derby il proprio acme, senza dimenticare le sempre ottime risposte in termini di fedeltà allorquando c’è da dimostrarla con abbonamenti e presenze: dal 2014-15 in cui furono i romanisti a far registrare il numero massimo di presenze, sono poi stati sempre e comunque gli interisti (fonte: www.stadiapostcards.com) quelli a portare più gente allo stadio e questo qualcosa dovrà pur dire.

Di gran lunga peggiore l’atmosfera che si respira a Napoli dove la piazza non ha certo fatto salti di gioia per questa qualificazione al massimo trofeo continentale, a cui arrivano oltretutto dopo aver accarezzato il sogno scudetto poi prontamente vanificato con una serie di prestazioni sottotono. Logorante il rapporto con De Laurentiis che ha sempre esercitato il ruolo di padre padrone del sodalizio, con posizioni e uscite divisive e mal digerite sulla città e la tifoseria, senza contare le politiche sfacciatamente anti-tifo come i prezzi tutt’altro che popolari dei biglietti o le casse sparate a tutto volume contro la Curva per zittirne i fischi o i cori di disapprovazione. Da qualche tempo poi è montata la protesta anche via social sotto l’hashtag #A16 per invitare la famiglia De Laurentiis a prendere definitivamente la cosiddetta Napoli-Bari (che in realtà finisce a Canosa: questione di lana caprina su cui si sono fossilizzati alcuni media partenopei) e preferire la compagine pugliese di cui sono proprietari. Oltretutto, dopo la vergognosa vicenda Salernitana in questa stagione, CONI e FIGC si sono pronunciate definitivamente contro le multiproprietà e volente o nolente entro il 2024-25 i noti produttori cinematografici dovranno vedere una fra Bari e Napoli.

Le due romane in Europa League, la Lazio senza strafare e a seguito di una stagione che può ritenersi di assestamento per l’ex tecnico napoletano Maurizio Sarri, che ha raccolto la non facile eredità di Simone Inzaghi, autore di belle stagioni alla guida delle Aquile. La Roma di Mourinho invece vede lo stesso bicchiere come mezzo pieno, sia per una ritrovata unità di quell’ambiente devastato dalla gestione Pallotta, sia per la vittoria nella neonata Conference League che sarà pure una coppa minore secondo i detrattori ma vincere piace ed è il miglior viatico per continuare a vincere anche nel futuro prossimo. Apoteosi della tifoseria giallorossa in quel di Tirana per la finale contro il Feyenoord, manifestazione nella quale sarà protagonista la prossima stagione la Fiorentina, tornata in Europa anche qui grazie a quel carburante che spesso il ritrovato entusiasmo costituisce. Proprio quando il credito del patron italo-americano Commisso cominciava ad esaurirsi, ci hanno pensato mister Vincenzo Italiano e i suoi ragazzi a rinfocolare la passione della piazza. O per meglio dire le due entità si sono alimentate a vicenda, visto che anche la tifoseria ha goduto dell’onda lunga per la fine dell’impero Della Valle, gestione che pur con il merito di aver fatto ripartire il calcio a Firenze dopo il fallimento, ha circoscritto l’attività entro limiti gestionali e di prospettiva che stavano diventando asfittici e mortificanti per i tifosi.

Retrocessi in Serie B invece Genoa, Cagliari e Venezia. Discorso molto simile a quello appena fatto in merito alla Fiorentina, lo si può estendere pari pari anche al Genoa. I rossoblù sono infatti stati rilevati dal gruppo americano 777 Partners che ha messo fine alla lunga e contestatissima gestione Preziosi, evento che – quasi pleonastico sottolinearlo – ha letteralmente incendiato la passione di una tifoseria che l’estenuante rapporto con l’ex presidente aveva annichilito. Anche in virtù di tutte le querelle e le accuse giornalistiche ma anche legali che hanno visto schierato l’imprenditore di origini campane contro la propria tifoseria. E se sei contro la tua stessa tifoseria, è forse il segnale inequivocabile che la tua storia in seno ad un sodalizio sportivo, che è anche patrimonio della sua tifoseria, non ha più ragion d’essere. Forse con Preziosi ancora al timone, il Genoa si sarebbe di nuovo salvato con l’ennesimo colpo di coda del suo patron. Il gruppo americano ha invece commesso alcune marchiane leggerezze nella gestione tecnico-sportiva, fra tutte la panchina affidata a Shevcenko, ma il traboccante e ritrovato amore della Gradinata Nord non ha davvero prezzo. Averlo ritrovato è indiscutibilmente l’arma in più del Grifone e per quanto la risalita avrà senza dubbio le sue difficoltà, siamo sicuri che – come in questo campionato – il popolo genoano tornerà comunque ad essere determinante.

Retrocessione quasi senza appello per il Venezia, nonostante un buon primo scorcio di campionato. Anche qui, l’ennesima proprietà americana, sembra ad un certo punto aver perso la bussola confondendo marketing e sport propriamente detto. Progetto nel quale, oltretutto, si sono da tempo perse le tracce dello spirito unionista sotto il quale il sodalizio era nato. Ad ogni modo, la stagione è risultata tutto sommato positiva per la tifoseria lagunare che, pur con qualche divergenza di vedute al suo interno, ha saputo superarle e tener dritta la barra facendo fino in fondo il proprio dovere, facendosi sempre trovare laddove richiesto. L’esatto contrario della squadra insomma.

La più inattesa è forse la retrocessione del Cagliari, ennesimo sodalizio a gestione americana dove le pretese manageriali si sono scontrate con l’impietoso verdetto del campo che li ha visti retrocedere in Serie B proprio nella stagione in cui, paradossalmente, i pronostici o le intenzioni dovevano rilanciarne le ambizioni. Reduci da una bellissima salvezza con Semplici in panchina, pronti-via allo stesso tecnico toscano è stato dato il benservito dopo sole tre giornate e da lì in poi le cose non sono andate certo meglio. Se il campo è stato avaro di soddisfazioni, forse ancora peggio è andata agli ultras che già da qualche anno sono oggetto di una repressione che a tratti esonda nella persecuzione: proprio qualche giorno fa, per esempio, gli Sconvolts sono stati coinvolti in una maxi-operazione che ha visto impegnati 200 agenti della Digos, della Polizia scientifica, unità cinofile e un elicottero per somministrare 33 misure cautelari con l’accusa di associazione a delinquere. Un vecchio spauracchio che ciclicamente, dai tempi delle Brigate veronesi, torna ad essere agitato contro ragazzi rei di aver fatto a pugni allo stadio. Che certo resta un reato punibile dalla legge, ma andrebbe punito come tale e non oltre. Se dopo tutti questi tentativi prima o poi un giudice riconoscesse tale aggravante, sarebbe il colpo di grazia definitivo al mondo ultras italiano.

A proposito di tifoserie accusate (invano) di associazione a delinquere, dopo anni di exploit strepitosi, l’Atalanta resta per la prima volta fuori dall’Europa proprio nell’anno in cui la Curva Nord resta orfana del progetto Supporters che in questi anni l’aveva animata con passione e grandi prestazioni di tifo. Annata di transizione in campo e fuori insomma, che si spera possa quanto prima essere succeduto da altre annate memorabili.

Tante le storie sportive meritevoli di menzione dallo Spezia che ha raggiunto la sua seconda salvezza consecutiva ai più famosi corregionali della Sampdoria, anch’essi riuscitisi a salvare in un’annata tormentata dal punto di vista societario e condizionata dall’arresto del presidente Ferrero. Quello che giornalisti e opinione pubblica volevano vendere come volto nuovo e fresco del calcio. Salvarsi nonostante tutto e soprattutto dopo il rocambolesco derby con cui hanno virtualmente condannato il Genoa, è una gioia che sicuramente rimarrà oltre il tempo. Un po’ come il goal di Boselli che in maniera inversa li condannò nel 2010-11. La bellezza del calcio è in questo eterno ritornare di storie appassionanti.

Buona annata del Verona capace di regalare ai suoi tifosi un’annata persino migliore di quella precedente con Jurić in panchina, che a sua volta è riuscito finalmente a far riemergere il Torino dalla mediocrità totale in cui era piombato negli ultimi anni. Restano purtroppo sullo sfondo lo stillicidio di diffide a carico della Curva Primavera frutto della perdurante battaglia contro Cairo, che almeno nel breve periodo non sembra potersi risolvere come successo in altre situazioni simili.

Si può parimenti ritenere positivo anche il campionato dell’Empoli, ormai piccola grande certezza del nostro calcio di provincia, mentre con occhi diversi vengono viste dai rispettivi tifosi le collocazioni a metà classifica di Sassuolo e Udinese. La compagine di proprietà della Mapei ha fatto registrare passi indietro rispetto alla gestione De Zerbi, ma certo non preoccupanti o comunque sempre perfettamente in linea con le linee programmatiche societarie. Alla fine quella neroverde sarebbe persino una società che lavora bene calcisticamente, se non fosse che la questione stadio continua ad essere vissuto come un tentativo di colonizzazione da parte di Reggio Emilia, rimasta fedele alla sua Reggiana in C anziché cedere alle lusinghe della massima serie. Oggi come ieri il calcio resta un elemento identitario e aver preferito acquistare lo Stadio del Tricolore a Reggio anziché ampliare il Ricci a Sassuolo ha finito per indispettire una piazza e stroncare ogni velleità di crescita e radicalizzazione all’altra. Senza infamia e senza lode infine anche il Bologna, uno stallo che per tanti comincia ad avere la puzza stantia della mediocrità e se la risposta della Curva Costa è stata comunque sempre positiva in termini di presenze e sostegno alla maglia, si registrano altresì anche una serie inequivocabile di segnali di insofferenza verso la proprietà canadese ed il suo entourage in loco. Una scossa sarebbe gradita in riva al Reno, insomma.

Ultima ma non ultima la Salernitana, salvezza folle che ha restituito qualcosa a questo campionato in termini di emozioni. Un po’ come la lotta Scudetto in cui ad un certo punto, le varie compagini sembravano fare a gara nel perderlo, anche la lotta per la salvezza è stata contraddistinta dalla disarmante pochezza delle contendenti. Liberata dal mortificante giogo della multiproprietà di Lotito, la Salernitana ha potuto e saputo approfittare dei claudicanti avversari per realizzare una rimonta insperata e galvanizzante che ha portato la città sull’orlo del collasso psicologico. Dato fondo a tutta la benzina che avevano in corpo, Ribery e compagni si sono inceppati proprio sul più bello. Clamorosa la sconfitta interna per 0-4 contro l’Udinese all’ultima di campionato. Come nella grottesca vittoria di Steven Bradbury di Salt Lake City nel 2002, ci ha pensato il Cagliari ad auto-condannarsi, non riuscendo ad avere la meglio del già retrocesso Venezia e lasciando la Serie A ai campani. La prima clamorosa salvezza che solo per le indiscutibili prove d’affetto della tifoseria (una su tutte la splendida coreografia contro l’Udinese) avrebbero meritato d’ufficio. Così come l’inferno patito a causa degli intrighi di potere che avevano permesso a Lotito di detenere due squadre nella stessa categoria. Inferno dalla quale speriamo non debbano passare prima o poi anche a Bari o in altre piazze. Nel frattempo la norma è stata cambiata: “Mai più un caso Salernitana” ci hanno detto, ma d’altronde è lo stesso che ci dissero qualche anno fa con il caso Parma e sappiamo tutti com’è andata.